Cultura

Buenos Hermanos? Un bis degno di Buena Vista

Recensione del cd "Buenos Hermanos" di Ibrahim Ferrer.

di Enrico Barbieri

La storia è nota: Ibrahim Ferrer viveva la sua tranquilla vita cubana, con molti ricordi e pochi rimpianti. Classe 1927, negli anni 50 faceva faville nei locali dell?Avana con le più rinomate orchestre. Nel 1997 il primo disco con l?Afro-Cuban All Stars. Poi l?esperienza miracolosa di Buena Vista Social Club. Infine, l?esordio come solista, a 70 anni suonati: un milione e mezzo di copie e un Grammy come miglior ?nuovo? artista. Il talentuoso crooner cubano torna ora con Buenos Hermanos. E quell?emozione da debuttante che in fondo era stata la carta vincente di tutto il progetto Buena Vista ancora si sente forte. Gli architetti sono sempre Nick Gold e Ry Cooder, cui di nuovo presta la sua chitarra, e il figlio Joachim per suonare la batteria. Poi c?è il chitarrista Manuel Galbán, Cachaito Lopez al basso e Cucho Valdés al piano, che non fa rimpiangere il grande Rubèn Gonzalez. S?inizia con l?ondeggiante Boquiñeñe, e si capisce subito che quel sentimentalismo semplice semplice degli altri dischi è rimasto intatto. Le canzoni sono ancora abitate da donne crudeli o virginali, morenite, boliviane, profumatissimi fiori. La voce chioccia di Ibrahim s?insinua tra le percussioni e i ritmi vivi e sincopati. Dà il meglio, il buon vecchio crooner, quando si mette a fare il romantico, lasciando risuonare in tutta la sua freschezza il suo canto latino pieno di nostalgie. Troppo simile a Buena Vista? Meno male.


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