Ambiente
Crisi climatica, sotto accusa le banche che finanziano chi inquina
Nonostante il cambiamento climatico in corso, paradossalmente crescono i finanziamenti concessi dalle principali banche mondiali alle industrie che contribuiscono ad accrescere l'emergenza. Un'analisi di ActionAid punta l'indice sulla disparità degli interventi finanziari rispetto agli investimenti dei governi in questo ambito
di Redazione
I combustibili fossili e l’agricoltura industriale sono certamente i due settori industriali che contribuiscono maggiormente al cambiamento climatico. L’urgenza della crisi climatica si fa sempre più evidente, eppure questi comparti continuano a espandersi e prosperare. Al contrario, le risorse per affrontare l’emergenza globale rimangono notevolmente sottodimensionate. A sette anni dall’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, l’analisi dei flussi finanziari in 134 Paesi del Sud globale mostra che le principali banche private mondiali hanno complessivamente investito 3,2 trilioni (vale a dire 3,2 miliardi di miliardi) di dollari nell’espansione dei combustibili fossili, mentre 370 miliardi di dollari sono i fondi destinati sotto forma di prestiti e garanzie all’agricoltura industriale.
La crisi climatica sta ricevendo dalle banche private finanziamenti ben 20 volte superiori rispetto ai finanziamenti dei governi del Nord del mondo per le soluzioni che potrebbero arginarla. È quanto emerge dal recente rapporto “How the Finance Flows” di ActionAid, che sottolinea il ruolo delle banche private mondiali nell’espansione all’industria dei combustibili fossili e all’agribusiness. Parallelamente, il sostegno finanziario dei governi del Nord a favore dei Paesi in prima linea nella crisi climatica è stato stimato tra i 21 e i 24,5 miliardi di dollari nel 2020. Uno squilibrio che sta gravemente danneggiando le comunità in Africa, Asia e America Latina.
Tra i gruppi bancari principalmente responsabili dei finanziamenti al settore dei combustibili fossili e dell’agribusiness figurano tra le altre Hsbc, Bnp Paribas, Barclays, Citibank, JPMorgan Chase e Mitsubishi Ufj Financial, con sedi negli Stati Uniti, in Europa, in Cina e in Giappone. Ad esempio, Hsbc emerge come la principale banca del settore dell’industria agroalimentare, con 17,2 miliardi di dollari destinati tra il 2016 e il 2022, seguita da JPMorgan Chase (14,2 miliardi di dollari), Bank of America (14 miliardi di dollari), Citigroup (13,9 miliardi di dollari) e Mitsubishi UFJ (13,2 miliardi di dollari). A beneficiare maggiormente dei finanziamenti per pratiche agricole industriali spicca la Bayer, che dal 2016 ha ricevuto circa 20,6 miliardi di dollari. Bayer, che possiede anche l’azienda di biotecnologie un tempo nota come Monsanto, è il secondo produttore mondiale di prodotti agrochimici, che a loro volta contribuiscono in modo determinante alle emissioni di gas a effetto serra.
«Fiumi di denaro stanno fluendo nella direzione sbagliata, destinati più alle cause della crisi climatica che alle soluzioni», afferma Marco De Ponte, segretario generale ActionAid Italia. «È inaccettabile che le banche più importanti al mondo dichiarino pubblicamente l’impegno sul clima, ma continuino a finanziare combustibili fossili e agricoltura industriale. A farne le spese sono le comunità in Africa, Asia e America Latina che subiscono l’impatto delle decisioni prese nei consigli di amministrazione nel Nord del mondo, dove si concentra il potere economico e decisionale. Ma ne fanno le spese anche gli italiani, dati gli effetti che il cambiamento climatico sta producendo anche in Europa. E anche in Italia le banche private e pubbliche, pur capaci di muovere somme meno ingenti, devono porsi domande su dove investire se davvero intendono preservare il pianeta».
Nell’ultimo anno, i disastri climatici hanno assunto una nuova dimensione e una nuova intensità. L’Europa e il Nord America hanno sperimentato recenti e sconvolgenti ondate di calore, incendi e inondazioni, con centinaia di record di temperatura infranti sulla terraferma e negli oceani. Tuttavia, gli impatti continuano a essere molto più gravi in Africa, Asia e America Latina, in Paesi che si trovano in condizioni di estrema vulnerabilità. Malawi e Mozambico hanno affrontato gli effetti terrificanti del ciclone Freddy, il più lungo mai registrato. Cinque stagioni senza precipitazioni hanno causato una grave siccità e una fame senza precedenti in tutta l’Africa orientale. Le devastanti inondazioni in Pakistan hanno sommerso un terzo del Paese. Non solo. I Paesi del Sud globale, già colpiti in modo sproporzionato dagli impatti della crisi climatica, ospitano un numero sempre maggiore di industrie fossili e agricoltura industriale ma la responsabilità della crisi climatica non è condivisa in modo uniforme.
Per affrontare questa emergenza è necessaria una trasformazione radicale dei sistemi energetici e alimentari: soluzioni come l’energia rinnovabile e l’agroecologia possono garantire il soddisfacimento delle esigenze locali di sicurezza alimentare, ridurre la deforestazione, limitare l’accaparramento di terre e sostenere i mezzi di sussistenza e le economie delle comunità del Sud globale. I finanziamenti a supporto dell’agricoltura industriale nel Sud globale stanno accelerando la crisi climatica danneggiando le comunità di piccoli agricoltori che stanno perdendo le proprie terre e i propri mezzi di sostentamento a causa dell’espansione dei giganti dell’agroalimentare. Ad esempio, i principali fattori di deforestazione in Amazzonia e nel Cerrado (una vasta area di savana tropicale in Brasile) sono la produzione di carne bovina e la soia, utilizzata principalmente come mangime per gli allevamenti.
«Le soluzioni sostenibili come l’agroecologia, che potrebbero sfamare il mondo e mantenere basse le temperature, sono minate dalle grandi multinazionali dell’agricoltura industriale, finanziate in modo eccessivo», sottolinea Mary Afan, agricoltrice e coordinatrice di una rete di produttori in Nigeria. «I governi e i finanziatori devono dare priorità all’aumento del sostegno e della formazione agroecologica per i piccoli agricoltori e incoraggiare la fine della deforestazione e dell’uso eccessivo di sostanze chimiche per la produzione di prodotti di base. Sostenere l’agroecologia significa muoversi verso il finanziamento del nostro futuro, piuttosto che della nostra distruzione».
In una nota diffusa oggi, ActionAid chiede alle aziende finanziate da banche private oggetto della propria ricerca, ma anche da fondi assicurativi, fondi welfare pubblici e banche partecipate dagli Stati, «un’immediata interruzione dell’espansione dei progetti legati al business dei combustibili fossili e dell’agribusiness. Ai governi l’organizzazione chiede una maggiore regolamentazione dei settori bancario e finanziario per fermare il finanziamento dell’espansione dei combustibili fossili e la promozione di transizioni giuste verso soluzioni sostenibili».
Nei mesi e negli anni a venire, #FundOurFuture lavorerà anche con gli investitori italiani, privati ma in particolare pubblici, per evidenziare le possibilità e dunque il dovere a cui tutti siamo chiamati, anche in Italia, di invertire l’incessante allocazione di risorse verso attività che alimentano la crisi climatica.
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