Giovani
Giovani e violenza: «Da educatore vi dico non condannate quei ragazzi»
Con Daniel Zaccaro, ex bullo diventato educatore, entriamo dentro le vicende di Caivano e Palermo. «Giudicate ma non condannate, se vogliamo tenere aperta la possibilità di scrivere un finale diverso. La punizione da sola non basta», dice. «Quando inizi a trattare gli altri come un oggetto è perché tu per primo ti senti un oggetto»
di Alessio Nisi
Non condannateli. Giudicateli sì, ma non togliete ai ragazzi degli stupri di Palermo e Caivano la possibilità di avere un futuro e di cambiare il finale. Difficile, difficilissimo ascoltarlo. Forse, anche di più, è difficile dirle quelle parole: «Non condannateli». A pronunciare questa frase è Daniel Zaccaro, 31 anni, un passato complicato, oggi educatore: uno che il finale lo ha cambiato. Anche grazie alla comunità Kayròs di don Claudio Burgio.
Daniel Zaccaro, cresciuto a Quarto Oggiaro, tra violenze domestiche, sospensioni a scuola, atti di bullismo, rapine, carcere minorile, era come i ragazzi di Caivano e Palermo. Talmente simile da dire che il carcere da solo non basta. «Si dovrebbero cambiare gli schemi della giustizia minorile», dice, «e far fare a questi ragazzi ore di volontariato in comunità mamma-bambino per mettersi al servizio, per guardare e toccare con mano un mondo femminile fragile, indifeso, non protetto». Con l’obiettivo di «conoscere l’altro fino in fondo».
I casi di Caivano e Palermo sono la fotografia di quello che sono i giovani oggi: forse è arrivato il momento che le istituzioni facciano una riflessione e investano su di loro
Daniel Zaccaro, educatore
Zaccaro che idea si è fatto dei ragazzi protagonisti degli stupri di Palermo e Caivano?
È chiaro che ti sale subito lo schifo. Lavorando con i ragazzi però conosco le loro enormi fragilità. Vivono in una sorta di mondo senza regole in cui regna istinto e rabbia: se il domani fa schifo, perché mi devo impegnare ad essere una brava persona? Mi scateno e vivo solo il presente in modo impulsivo: una rapina, uno stupro, una rapina, un omicidio. Non ho la percezione delle conseguenze, perché questo implica già un domani. Casi come questi sono un po’ la fotografia di come sono i giovani oggi: forse è arrivato il momento che le istituzioni facciano una riflessione e investano su di loro.
Spieghi meglio.
Dobbiamo investire nella cultura e nell’istruzione: semi che lasci nelle persone e che piano piano vengono su.
Che cosa direbbe ai ragazzi?
Come educatore non potrei condannarli, né giudicarli. Cercherei di mettermi in ascolto e di conoscerli. Le azioni che si compiono sono frutto di un vissuto quotidiano e da educatore non posso guardarli con l’occhio della punizione. È chiaro che dal punto di vista della giustizia è giusto che paghino.
Mettersi in ascolto con quale obiettivo?
Per dare loro una possibilità e un’opportunità umana per crescere e riflettere su quello che hanno fatto, che è atroce.
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Secondo lei ci sono le basi per ricominciare e ripartire?
Ci sono sempre le basi per ripartire. A patto che non ci si fermi alla sola condanna da parte di un tribunale: un passaggio giusto, ma dal punto di vista educativo solo una fase. Può esserci un Kayròs anche per questi ragazzi, che li riporti alla loro umanità.
Ripartire sì, ma su quali basi?
Alla base di comportamenti dei ragazzi di Caivano e Palermo c’è una percezione sbagliata dell’altro. Per arrivare a commettere una cosa di questo tipo l’altro non lo devi proprio sentire: non sei in connessione con le sue emozioni. È tutto istinto. Quelle stesse emozioni che quei ragazzi non conoscono, per cui non sono consapevoli del male che stanno facendo. Insomma, quando inizi a trattare gli altri come un oggetto è perché tu per primo ti senti un oggetto.
Per arrivare a commettere una cosa di questo tipo, l’altro non lo devi proprio sentire: non sei in connessione con le sue emozioni. È tutto istinto. Quelle stesse emozioni che quei ragazzi non conoscono, per cui non sono consapevoli del male che stanno facendo. Insomma, quando inizi a trattare gli altri come un oggetto è perché tu per primo ti senti un oggetto.
Daniel Zaccaro
Aiutare a riscoprire un’identità, a chi spetta questo compito?
Tutte le agenzie educative devono farsene carico: dalla scuola alla famiglia. Ricordiamoci sempre che sono ragazzi e giovani adulti, molto svegli (anche grazie alla tecnologia), ma senza la maturità di sapersi conoscere fino in fondo. Su tutto questo si innestano poi le dinamiche del branco.
Daniel, proviamo anche a metterci in comunicazione con gli amici, quelli che non hanno partecipato direttamente alle azioni criminose, ma che rappresentano lo scenario di riferimento.
Quando sei vuoto, quello che fa più presa su di te e ti guida è la violenza. Se in quel momento ci si conoscesse fino in fondo ci si renderebbe conto che quello che si sta facendo è oltre, è troppo.
In apertura foto di Warren per Unsplash. Nel testo, foto dalla pagina Facebook di Kayros Onlus
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