Mondo
Kosovo, il dopoguerra è peggio della guerra
Aumentano i bambini di strada e la criminalità, diminuiscono gli investimenti. La fotografia di una regione nel caos.
La guerra in Kosovo è finita da quasi quattro anni. Ma dal giugno 1999 ad oggi le cose, per gli oltre due milioni di abitanti, vanno sempre peggio.Un paradosso: man mano che la memoria delle bombe si allontana, crescono delinquenza e povertà. Un panorama a tinte fosche che i cooperanti ancora presenti sul territorio vivono tutti i giorni. Ecco come.
Lo status politico
Nessuno è in grado di dire cosa sia giuridicamente il Kosovo. La comunità internazionale affronterà la questione nel 2004. Di fatto, a oggi, si tratta di un protettorato internazionale, anche se ufficialmente è una provincia autonoma della Serbia-Montenegro (la nuova denominazione dell?ex Federazione jugoslava). Un problema non solo formale visto che la mancanza di un interlocutore certo è un zavorra per chi si impegna nella ricostruzione della società civile. Ivano Zoppi è il responsabile per la cooperazione di Aibi: “Noi lavoriamo a Pristina, ci occupiamo di bambini e ogni volta che dobbiamo ottenere un?autorizzazione non sappiamo a chi rivolgerci: l?Unmik (ovvero l?Onu), l?Osce o il sindaco?”
Criminalità
Il generale Fabio Mini, capo della Kfor (la missione Nato), ha lanciato l?allarme: “C?è tensione. Oltre la tipica violenza fra gruppi etnici, è ripreso lo scontro fra albanesi”. I cooperanti confermano. Carla Corlatti si trova a Peia/Pec ed è il coordinatore di un programma di recupero ambientale del Coopi. “Negli ultimi tre mesi”, racconta, “di fianco alla nostra sede ci sono stati tre scontri a fuoco, è scoppiata un?autobomba ed è stato esploso un colpo di bazooka”. Bruno Maggiolo, invece, si impegna con il Cav-Caritas a Mitrovica: “Pochi giorni fa, di notte, 4 uomini a volto coperto e armati sono entrati a casa di una collaboratrice e hanno portato via tutto. Noi siamo qui dal 99 e di rapine a mano armata non ne avevamo mai subite”.
Profughi
Su 230mila fra profughi e sfollati che hanno lasciato le loro abitazioni, sono rientrate 5mila persone. “L?amministrazione internazionale”, punta il dito Nino Sergi, presidente di Intersos, “ha proceduto a furia di centinaia di rimpatri. Hanno catapultato migliaia di profughi in zone non più adatte alla convivenza e hanno così creato fortini militarizzati ingestibili”. “Tutto perché loro”, conclude Sergi, “hanno bisogno di fare numero per finire sulle pagine dei giornali, mentre per organizzare la convivenza bisogna ragionare per nuclei familiari”.
Bambini
Il Kosovo è il Paese più giovane d?Europa: circa il 50% della popolazione ha meno di 20 anni. Di loro e delle loro madri, nella zona di Pristina e nella vicina enclave serba di Preluzie, si occupa Aibi. Zoppi spiega come la guerra abbia prodotto anche in Kosovo il fenomeno dei bambini di strada: “Sono aumentati a vista d?occhio, il problema è che non si sa che fine facciano”. Qui, infatti, non ci sono istituti per minori. Il sospetto è che finiscano internati negli ospedali, “ma per entrare occorrono i permessi, e non si capisce chi diavolo li possa concedere”, conclude Zoppi.
Investimenti
Gianluca Antonelli è il responsabile area Balcani di Vis. La sua associazione si occupa di formazione di operai specializzati. A lui chiediamo che possibilità hanno di trovare lavoro i suoi studenti. “Fra fine del 99 e il 2001 abbiamo assistito a un boom di investimenti stranieri, tedeschi in testa. Oggi la situazione è diversa. L?emergenza è passata, le risorse prosciugate. Gli stranieri se ne stanno andando”. L?Italia ha approvato nel marzo 2001 una legge che stanziava 200 miliardi di vecchie lire per favorire gli investimenti nei Balcani. “Di questo fondo”, commenta Sergi, ” non si hanno più notizie . Poteva essere la chiave giusta per dare un orizzonte al Kosovo. Ma che fine hanno fatto quei soldi?”
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