Filantropia

La Fondazione di Soros lascia l’Europa

Open Society, l’ente attraverso il quale il magnate di origini ungheresi ha finanziato per anni numerosi progetti della società civile europea, si sta ritirando dal Vecchio Continente

di Michele D'Alena

FILE - George Soros, founder and chairman of the Open Society Foundations, attends the Joseph A. Schumpeter Award ceremony in Vienna, Austria, June 21, 2019. Open Society Foundations said Wednesday, July 19, 2023, that they plan to limit new grantmaking until February, as the nonprofits transition to a new operating model run by billionaire investor Soros’ son, Alex. A spokesperson for the foundations said that the pause will not affect current grantees. (AP Photo/Ronald Zak, File)

La Fondazione Open Society, l’ente attraverso il quale il magnate George Soros ha finanziato per anni numerosi progetti della società civile europea, si sta ritirando dall’Europa.

La decisione, presa dal figlio Alexander, direttore dell’organizzazione da dicembre, arriva in modo netto mentre siamo in un momento delicato, non possiamo non vedere infatti una ondata di forze populiste di destra in tutto il vecchio continente. Dall’Italia, alla Spagna alla Svezia, ma anche ad Est e in particolare in Ungheria, luogo particolarmente caro a Soros, i gruppi di destra sono spesso in testa ai sondaggi ed hanno alle loro spalle notevoli finanziamenti spesso di origine poco chiara, come raccontato più volte da diversi media. 

La notizia colpisce: mentre per i gruppi che spingono agende ultra-conservatrici sono in aumento i sostegni, la direzione di Osf parla di «radicale riorientamento strategico» e annuncia che la maggior parte dei fondi precedentemente destinati all’Europa saranno stati spesi in altre parti del mondo. D’ora in poi, le risorse saranno “estremamente limitate” con più attenzione agli USA.

La nuova strategia della Fondazione Open Society non può essere analizzata solo come ristrutturazione interna. La decisione di concentrarsi su altre regioni del mondo riflette una serie di considerazioni, tra cui la crescente ostilità verso l’attivismo e i valori progressisti nel vecchio continente

— Michele D’Alena

Era il 2018 quando l’attuale ministro Matteo Salvini dichiarava in tv:  «Soros vuole riempire l’Italia e l’Europa di migranti, vorrebbe che l’Italia [diventasse] un gigantesco campo profughi perché gli piacciono gli schiavi». A 5 anni di distanza, mentre le  campagne volte a contrastare i matrimoni gay e a rafforzare le iniziative anti-aborto ricevono milioni di dollari (secondo un rapporto del Parlamento europeo), non possiamo non considerare questa notizia come un segnale di ritirata e debolezza che colpisce la società civile europea. Per questo la nuova strategia della Fondazione Open Society non può essere analizzata solo come ristrutturazione interna. La decisione di concentrarsi su altre regioni del mondo riflette una serie di considerazioni, tra cui la crescente ostilità verso l’attivismo e i valori progressisti nel vecchio continente e, considerazione su cui rilflettere profondamente, la diminuzione di attenzione dal mondo americano. 

La storia di Open Society è un simbolo ed è intrecciata con una serie di iniziative importanti, che hanno segnato un’epoca per quanto riguarda l’attivismo della società civile, dalla promozione di radio libere nell’Europa orientale degli anni ‘90, al contemporaneo sostegno contro la sorveglianza invasiva delle piattaforme digitale, alle tantissime e diffuse e costanti attività di inclusione dei Rom e dentro le carceri. Questa eredità di impegno per la democrazia, i diritti umani e il progresso sociale ora sembra essere in declino, guardando al ruolo che storicamente Open Society ha rappresentato. Come non citare infatti le attività che l’organizzazione ha sostenuto attivamente nei paesi ex comunisti anche durante periodi cruciali, inclusi momenti di cambiamento politico come durante le “rivoluzioni colorate” in Ucraina e in Georgia. Solo nel 2021, OSF ha distribuito 209 milioni di dollari in Europa e Asia centrale.

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Nel frattempo, i movimenti populisti di destra probabilmente accoglieranno la notizia del ritiro con favore, considerandola un segnale di debolezza del campo progressista prendendo forza anche dagli innumerevoli casi in cui, come fece Salvini, l’organizzazione fu presa di mira dalla disinformazione populista. 

E il nuovo? L’uscita di Open Society Foundation dall’Europa solleva interrogativi su chi prenderà il suo posto e se emergeranno nuovi filantropi progressisti in grado di continuare la sua eredità. Inoltre, come non notare la mancanza di copertura mediatica significativa in Italia? 

In definitiva, il ritiro della Fondazione Open Society dal Vecchio Continente segna non solo la fine di un’era di attivismo e sostegno filantropico guidato da George Soros ma evidenzia una nuova sfida che l’attivismo progressista deve affrontare in Europa: mentre i venti politici soffiano sempre più in direzione delle forze populiste di destra, le voci progressiste rischiano di perdere terreno in un clima politico sempre più ostile. Rimane da vedere se nuovi attori emergeranno per portare avanti l’importante lavoro di promozione della democrazia, dei diritti umani e della giustizia sociale in Europa.

In apertura George Soros. Foto AP/Ronald Zak

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