Migranti

La clinica che cura con il diritto

Un punto di approdo e di ripartenza per chi cerca di rifarsi una vita prima di tutto sopravvivendo alla burocrazia italiana. Per la “Clinica legale Migrazioni e Diritti” di Palermo è ormai un principio morale prendersi cura di tutti quei cittadini stranieri che navigano a vista tra leggi che, non solo impediscono loro di avere diritti, ma anche di mantenere la dignità di uomini e donne che, prima di toccare il suolo italiano, sono costretti ad affrontare violenze e soprusi di ogni genere

di Gilda Sciortino

Stemperiamo la sofferenza altrui affrontando insieme i carichi emotivi

— Alessandra Sciurba

Quando entri non capisci subito il tipo di servizio che viene offerto. Ai tavoli trovi giovani e meno giovani stranieri intenti a raccontare la loro storia e le vicissitudini legali che li hanno portati in questo edificio del Dipartimento di Giurisprudenza dell’ateneo palermitano. Sai che si tratta di un servizio legale dedicato ai cittadini migranti che si trovano ad avere a che fare con la legge italiana, ma solo dopo avere parlato con quei tutor e studenti che hanno in carico l’umanità di turno, capisci bene che si tratta di qualcosa che non esiste non solo nel territorio siciliano.

Nasce nel 2015 la Clinica Legale Migrazioni e Diritti dell’Università di Palermo, oggi definita definisce da una convenzione tra il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Palermo, il Dottorato di ricerca in “Diritti Umani: Evoluzione, Tutela e Limiti” e l’associazione CLEDU.

Un servizio che non ha eguali, a partire dal fatto che sia i 12 avvocati – tutte donne, tranne uno, sia tutor e studenti, così come la professoressa di Filosofia del Diritto dell’Università di Palermo Alessandra Sciurba, coordinatrice del progetto, mettono a disposizione il loro tempo in maniera assolutamente gratuita. E non si tratta solo di ascoltare chi viene a chiedere aiuto, dalle 15 alle 19 di ogni mercoledì, perché una volta finito il front office e gli utenti vanno via la porta si chiude e si comincia con il back office, durante il quale si studiano tutti i casi della giornata e gli studenti, insieme ai tutor che hanno assistito, raccontano agli altri per poi decidere tutti insieme la strategia da seguire.

L’accoglienza un diritto che va garantito a tutti coloro che arrivano da paesi di conflitto (foto d’archivio)

Un luogo che accoglie, cura e, se può, guarisce. Come accade ogni volta che si decide di dedicarsi agli altri, trasformando un impegno, una passione, in una vera e propria missione. I numeri parlano anche chiaro. Dal 2015, infatti, la Clinica Legale ha accolto e seguito 150 persone all’anno, in tutto circa 1200 persone quelle prese in carico sino a oggi.

«Qual è il doppio valore di tutto questo? Intanto insegniamo ai nostri studenti a praticare il diritto. A contempo offriamo alle persone un servizio gratuito di accesso diretto alla giustizia».afferma Alessandra Sciurba«Studenti studentesse vengono formati sul campo, oltre a studiare i codici, avendo l’opportunità di capire che il diritto è tanto altro: che può essere uno strumento di repressione e che le leggi hanno ripercussione sulla vita delle persone; di contro si accorgono concretamente che può essere uno strumento di tutela ed emancipazione. Sai che stai formando i futuri avvocati e magistrati con un approccio diverso, più aderente alla realtà. E poi offri un servizio che per tanti aspetti è unico, uno sportello legale gratuito che non trovano nessun’altra parte.  Non è, infatti, un caso che da noi arrivino anche persone mandate da Questura, Prefettura, Comune. Il sostegno dell’università è fondamentale, aldilà degli spazi che offre alla clinica e del rapporto con gli studenti. Se, infatti, scrivo alle Poste con il logo dell’Università dicendo che rifiutare di aprire un conto-corrente a uno straniero presuppone l’apertura di una causa per discriminazione, tutto assume un altro valore».

Non indifferente e comune a tutti coloro i quali entrano a fare parte della Clinica legale il dedicarsi totalmente a questo servizio. Alcuni hanno cominciato come studenti nel 2015 e sono ancora qui. Forse dovuto all’energia di tutti, forse anche al fatto che un grande impulso è stato dato da un direttore di Dipartimento come Aldo Schiavello, fatto sta che nessuno ha mai esitato confermando la sua presenza e il sostegno.

Alessandra Sciurba (foto Sciurba)

«Le cliniche legali esistono dai primi del Novecento». – prosegue Sciurba«Si basano sull’idea che il diritto si impari facendo e che gli studenti possano lavorare su casi concreti. Qualcuna ha obiettivi molto diversi dai nostri, occupandosi anche di banche, ma la maggior parte delle cliniche legali italiane lavora per garantire l’accesso alla giustizia a persone e gruppi su temi fondamentali: quella di Bergamo, per esempio, si dedica ai diritti ambientali assistendo nelle class action contro chi devasta l’ambiente; quella di RomaTre è molto simile alla nostra. C’è, poi, chi ha scelto il tema dei diritti Lgtb. Noi ci siamo concentrati sul diritto dell’immigrazione, ma perché le cliniche funzionano se ascoltano il territorio. Ci troviamo nel cuore del centro storico, quindi è stato naturale occuparci delle persone migranti. Seguiamo tutti, ma con una discriminante positiva che è quella relativa alla disponibilità economica, nel senso che seguiamo chi non ne ha. Cerchiamo di tenere insieme, anche se faticosamente, due aspetti: fare crescere i nostri ragazzi e dare sostegno legale di alta qualità e professionalità, non solo perché gli avvocati sono bravissimi ma anche perché, grazie al confronto e allo scambio di idee, arrivano i risultati migliori».

Un’energia e una voglia di mettere il diritto veramente a disposizione di chi ha bisogno che può anche fare cambiare idea rispetto al proprio percorso professionale e di vita.

 «La mia esperienza ha inizio circa 3 anni fa». – racconta Giada Cascio, 26 anni, dottoranda -. «Stavo facendo il tirocinio e mi sarei laureata di lì a poco. Ero certa di volere lavorare in ambito legale ma in giro per il mondo, per esempio con qualche Ong. Avevo anche vissuto per qualche tempo in Grecia e fatto alcune esperienze in Palestina. Non volevo fare pratica in Italia perché pensavo che fare l’avvocato in uno studio sarebbe stato noioso.  Una volta conosciuta la Clinica legale e il lavoro di squadra, tutto ha assunto un’altra luce. Qui la presa in carico è sempre collettiva.  Ho, così, cominciato ad approcciarmi al diritto delle migrazioni, del quale si occupano in pochi perché economicamente poco redditizio. L’appagamento umano, invece, è enorme e questo mi fa fatto rivedere le mie convinzioni. In questo momento, per esempio, stiamo portando avanti una battaglia in sinergia con tante associazioni del territorio sull’ iscrizione anagrafica delle persone migranti, al momento inesistente. Sono grata a questa dimensione di accoglienza e ascolto che respiriamo e creiamo noi stessi all’interno del gruppo. Pensavo che oggi sarei stata da tutt’altra parte, invece eccomi qui. La clinica mi ha totalmente cambiata la vita in un modo che non avrei mai pensato. Impariamo sul campo, un po’ come quando ci insegnano a nuotare, lanciandoci in acqua. Qui la stessa cosa».

Di diversa nazionalità anche alcuni studenti e tutor della Clinica legale Migrazioni e Diritti dalla quale in questi anni sono passati cittadini nord africani, della Nigeria, provenienti da Cista d’Avorio, Gambia e, ultimamente, soprattutto negli ultimi mesi ucraini e russi.

Anche per Avarna Sivakumar, 25 anni, la clinica è stata una scoperta, ma soprattutto l’occasione per rispondere a tante domande.

«Io sono arrivata qui due anni fa dopo avere partecipato a un seminario con la professoressa Sciurba» – dice Avarna«e mi sono trovata subito bene, il posto ideale per crescere. Il mio obiettivo è fare l’avvocato. Ho trovato quel che cercavo perché all’università non abbiamo una materia sul diritto all’immigrazione che ci permetta di approfondire un ambito interessante per molti giovani. Qui troviamo la praticità, scriviamo gli atti, i ricorsi, interagiamo con la storia personale delle persone».

«Tocchiamo con mano cosa vuol dire accoglienza». – aggiunge Gabriele Mallia, 24 anni -, «tema sul quale c’è molta discriminazione. Per esempio, tra chi arriva dall’Ucraina e chi da altre zone di guerra. Ci addolora vedere che si fanno differenze solo in base al colore della pelle. Il mio interesse è per l’ambito europeistico internazionale e, vivendo a Palermo, ho la possibilità di approfondire questo aspetto. La nostra è una città che offre tantissime storie e numerosi spunti di riflessione. Una città nella quale non puoi rimanere indifferente».

Storie che arrivano alla Clinica legale e che hanno anche una soluzione felice. Come quella di Mohamed.

«Eravamo andati alla Stazione centrale di Palermo»pesca nei ricordi Sciurba«e stavamo in piedi sulle panchine a fare informativa legale. Era il 2016 e allora gli sbarchi a Palermo erano pubblici, c’era la prassi di dare il foglio di via senza interessarsi delle singole situazioni. Spiegavamo loro i diritti che avevano nel nostro Paese. Ci aiutava una ragazza che parlava arabo. A un certo punto vidi Mohamed che timidamente mi disse di non essere solo egiziano ma anche palestinese da parte di madre. Gli spiegai che era stato identificato in Italia e che per il Regolamento di Dublino doveva chiedere aiuto qui e lo aiutammo intanto a trovare un posto alla Missione di Speranza e Carità di Biagio Conte».

«Partito nel 2014 dal mio Paese, sono arrivato due anni dopo in Italia avendo fatto tappa negli Emirati arabi, in Sudan e Libia. Grazie alla Clinica legale»racconta Mohamed «ho avuto il permesso di soggiorno, ho imparato la lingua e mi sono dato da fare per trovare un’occupazione. Sono un cuoco e ho lavorato per due anni in un ristorante. Oggi sono operatore in un centro di accoglienza e anche in una comunità per minori stranieri, ma faccio anche il mediatore. Non potrei non dare una mano alla clinica che mi ha aiutato a costruirmi una vita. Senza contare che mi sono anche spostato con una ragazza palermitana. L’ avere lasciato il mio Paese perché avevo bisogno di liberà è oggi solo un ricordo lontano».

Storie di successo che purtroppo sono sempre troppo poche.

«Mohamed sta oggi dando un grande contributo alla società. La sua storia è rappresentativa di tantissimi ragazzi che a loro volta sono stati sostenuti dalla clinica legale e che poi alla fine vengono ad aiutarci di loro spontanea volontà, ma tante sono quelle che non hanno questo esito felice. Noi abbiamo una prospettiva privilegiata per vedere l’impatto delle leggi sulle persone. come quando arrivano da noi italiani che vogliono assumere ragazzi senza documenti volendosi assumere ogni responsabilità anche economica. Purtroppo, però, ci scontriamo con una legge che non lo consente. A quel punto non possiamo fare nulla».

Un gioco al massacro che vede tornare nella clandestinità molti giovani. Come quelli che spacciano. Sono i ragazzi che nel 2018 si sono ritrovati improvvisamente senza più niente, finendo per strada. I loro casi ci dimostrano quanto le leggi remino contro per creare insicurezza e ulteriori fragilità.

Come affrontare emotivamente situazioni anche molto delicate?

«Dobbiamo esser sempre pronti ad affrontare le situazioni più disparate. Come quando arrivano ragazzine che ci raccontano di avere subito mutilazioni genitali – sottolinea la professoressa Sciurba – storie drammatiche che non sempre le studentesse riescono ad affrontare in prima battuta. Mi sono, infatti, trovata a gestire emotività forti. Bisogna capire come applicare il diritto davanti a una rifugiata che ti racconta storie di stupri, torture, sapendo che ha avuto dinieghi e fare ricorsi. Pensate con che animo i nostri ragazzi si mettono a studiare, tutto un altro modo e mondo. Sono comunque sempre bravissimi e in pochissimo tempo arrivano i risultati».

Mettere ordine nel dolore, una vera missione.

«Lo dobbiamo fare per esempio quando le persone devono andare davanti alla commissione che dovrà decidere se hanno diritto a restare sul nostro territorio. Le prepariamo a raccontare la loro vita». – conclude Alessandra Sciurba«avvertendole che la procedura è vittimizzante. Bisogna pensare che, quando si è vittima di continue violazioni, una persona non le identifica come tali. Così capitano ragazzi che ci raccontano di episodi futili mentre invece hanno avuto una vita di soprusi inimmaginabili. Io mi sento molto male perché siamo in un sistema violento, all’interno del quale noi facciamo riduzione del danno. Noi siamo un’antenna privilegiata rispetto a ciò che succede, ma siamo anche recettori di tanta sofferenza. Stemperiamo la tragedia, affrontando tutti insieme questi carichi emotivi. Diversamente non potremmo sopravvivere neanche noi».

Nella foto di apertura un momento di lavoro della Clinica Legale delle Migrazioni (foto: ufficio stampa)


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