Formazione

Cina, ambasciatore apre a Dalai Lama: «Ma a nostre condizioni»

Il reppresentante in Italia della Repubblica Popolare ha criticato le idee della guida buddista, sostenendo che prima dell’invasione cinese il Tibet fosse un regime feudale medievale

di Redazione

«La politica del governo centrale cinese per quanto concerne la questione del Tibet è chiara e coerente: la porta della Cina è aperta al Dalai Lama, che se vuole tornare può farlo quando vuole». Lo ha affermato oggi l’ambasciatore cinese in Italia Sun Yuxi, durante un incontro con i giornalisti, sottolineando, però, che «naturalmente ci sono delle precondizioni e il Dalai Lama deve per forza smettere tutte le attività separatistiche».

«Il Dalai Lama non è solo un leader spirituale, ma anche un politico in esilio sotto le vesti del leader spirituale – ha proseguito Sun – Se il Dalai Lama fosse solo un leader spirituale non sarebbe stato necessario creare un governo in esilio in India». Riferendosi poi ad alcune delle questioni che da tempo bloccano i negoziati tra il governo centrale di Pechino e i rappresentanti del Dalai Lama, Sun ha ricordato le richieste del leader spirituale dei tibetani di creare una «Grande zona tibetana», che comprenda «il Tibet e parte di quattro province limitrofe, arrivando a occupare un quarto del territorio cinese, in cui non dovrebbero essere presenti altre etnie eccetto quella tibetana». E la richiesta del «ritiro dell’Esercito del governo centrale» dal Tibet o dall’eventuale Grande zona tibetana, dove il Dalai Lama ha chiesto «un alto livello di autonomia»

«Ho avuto contatti con il Dalai Lama e con i suoi rappresentanti – ha proseguito l’ambasciatore – Abbiamo sempre avuto, e continueremo ad avere, contatti e negoziati. Abbiamo sempre chiesto la fine delle attività separatistiche del Tibet». Quanto, infine, alla condizione del Tibet di Regione autonoma, l’ambasciatore ha precisato che questo «status è garantito dalla Costituzione cinese e vogliamo mantenerlo». Per Sun, inoltre, «la vita del popolo tibetano è notevolmente migliorata negli ultimi anni», da quando era sotto la guida dei monaci ed esisteva come «un sistema feudale, simile a quello dell’Europa del Medioevo», dove la maggior parte della popolazione era costituita da «servi della gleba, privi di diritti umani» e dominati dal clero.

L?ambasciatore ha poi parlato del rischio del terrorismo islamico sul territorio cinese «Nel Xinjiang ci sono separatisti che vogliono usare la violenza per realizzare l’obiettivo dell’indipendenza» ha detto, riferendosi alla regione autonoma cinese della Cina nordoccidentale, dove vivono almeno otto milioni di uiguri di etnia turcofona e di religione musulmana. «Oltre un milione di persone è stato addestrato da al Qaeda. I separatisti sono pochissimi e le loro attività non coincidono con i voleri della maggior parte della popolazione».

Proprio oggi è giunta la notizia, non confermata da fonti ufficiali, della demolizione di una moschea del Xinjiang da parte delle autorità del governo cinese. Secondo il Congresso mondiale uiguro, si sarebbe trattato di una sorta di punizione in seguito al rifiuto di pubblicizzare le Olimpiadi di Pechino attraverso il luogo di culto. Durante l’operazione sarebbero state arrestate decine di persone e sequestrate copie del Corano.


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