Formazione

Scuola

Ieri quasi tutto quello che c’era da imparare lo si imparava qui. Oggi accade il contrario. Per questo la scuola deve invece puntare sulla “com-prensione”...

di Sara De Carli

La complessità è la specialità di Mauro Ceruti. Forse è per questo che il ministro Fioroni ha scelto lui per cercare la cura per la scuola pubblica italiana. Anche se ?complesso? per la scuola di oggi è ancora poco, verrebbe più da dire che è un ?casino?. Il professor Ceruti comunque, 53 anni, filosofo della scienza, direttore del Centro di ricerca sull?antropologia della complessità e preside della facoltà di Scienze della formazione di Bergamo, riscriverà le indicazioni nazionali per la scuola dai 3 ai 14 anni. Da Bergamo veniva anche Giuseppe Bertagna, autore delle precedenti indicazioni. Il 3 aprile la Commissione che Ceruti presiede ha presentato la cornice preliminare delle indicazioni, contenuta nel documento Cultura, scuola, persona.

Vita: C?è davvero bisogno di una nuova riforma della scuola?
Ceruti: Bella domanda. È la stessa che ho fatto io al ministro. Da tempo se ne parla, ma il rischio è che il dibattito politico vada direttamente a cercare idee operative. Invece io penso che ciò che rende necessaria una riforma della scuola – non solo in Italia ma in tutti i Paesi europei – ha a che fare con il radicale cambiamento dello scenario sociale all?interno del quale la scuola vive. È da lì che bisogna partire. Le nuove indicazioni nasceranno così.

Vita: Cosa incide così tanto sulla scuola?
Ceruti: Si sono moltiplicati gli stimoli cognitivi e le opportunità di apprendimento. Ma il fatto decisivo è che questi stimoli sono fuoriusciti da ogni perimetro che la scuola possa ragionevolmente pretendere di controllare o contenere. Fino a pochi anni fa tutto quello che di importante c?era da apprendere lo si apprendeva all?interno della scuola; oggi no. Anzi, direi che oggi l?80% degli apprendimenti un bambino li fa fuori dalla scuola. La domanda allora è: qual è il compito della scuola?

Vita: Qual è?
Ceruti: Molti dicono che siccome la scuola non può controllare le esperienze formative dovrebbe rinunciare a essere agente di formazione e limitarsi alla trasmissione di tecniche e competenze. Io penso l?opposto. Il moltiplicarsi delle occasioni di apprendimento impone alla scuola un rinnovato compito di formazione e socializzazione, in particolare il compito di filtrare le esperienze formative del bambino e metterle in relazione fra loro, in modo che ciascuno possa costruire le proprie cornici di senso. Sa qual è il vero rischio oggi? Che i bambini hanno accesso a molte tecniche e competenze, possono avere una buona specializzazione, ma a scapito di una formazione più completa che dia coerenza non solo allo sviluppo degli apprendimenti ma anche allo sviluppo di una personalità integrata.

Vita: È questo il neoumanesimo che è già diventato ?l?etichetta? della sua proposta?
Ceruti: Sì, il neoumanesimo è la risposta all?esigenza di integrazione. La mia idea è quella di rilanciare una formazione di base molto solida, che favorisca un pensiero critico e dia chiavi di lettura per interconnettere tutte le informazioni che piovono addosso al bambino, senza nessun filtro. Questo è ciò che chiede anche il mondo del lavoro: come diceva Montaigne secoli fa e come dice ora Edgar Morin, servono teste ben fatte, non teste ben piene. Visto che oggi tecniche e competenze diventano obsolete nel giro di cinque anni, il problema non è aggiornarsi, aggiungere qualche dettaglio ai saperi che già si hanno, ma riformulare i quadri organizzativi dei saperi e apprenderne altri, diversi.

Vita: Ha detto che cercare subito idee operative è sbagliato, ma come si fa?
Ceruti: Basta osservare il pomeriggio-tipo di un bambino: guarda un cartone animato giapponese, poi uno della Walt Disney, legge le favole dei fratelli Grimm o Pinocchio, gioca con un dinosauro e con un videogioco con i Cyborg. Un bambino oggi fruisce di mondi lontani nello spazio e nel tempo, senza alcun filtro interpretativo. Questa è un?esperienza ambivalente: da una parte è rischioso perché erode il senso di realtà del bambino, che impara a fruire di questi mondi in modo naturale ma senza percepirli nella loro congruità o diversità. Nello stesso tempo può essere un?opportunità straordinaria se un adulto aiuta il bambino a costruire chiavi di lettura. Perché allora diventa educazione alle diversità, alla storia intera dell?umanità: non serve molto, basta che l?insegnante si introduca nel mondo che già il bambino vive. Questo tra l?altro è l?embrione per dare un nuovo senso al compito originario della scuola pubblica italiana: «fatta l?Italia, facciamo gli italiani».

Vita: Fare gli italiani?
Ceruti: Educare a una nuova cittadinanza. Il compito originario della scuola era ridurre le diversità locali per condividere una comune identità nazionale. Oggi la sfida è valorizzare le diversità di cui sono portatori i singoli: gli stranieri rispetto agli italiani, gli stranieri fra di loro e gli italiani fra di loro. La presenza di alunni di origine straniera evidenzia un problema che ci sarebbe comunque: dare valore alle diversità. Siccome si sono moltiplicati gli stimoli fuori dalla scuola, i bambini oggi portano in classe il proprio ipertesto, la propria singola selezione di apprendimenti rispetto a un numero enorme di apprendimenti possibili. Il problema è valorizzare questa diversità cercando di sviluppare valori condivisi. Il compito della scuola deve essere quello di fare un cittadino italiano che sa di essere un cittadino planetario. Penso però che non ci può essere una generica educazione alla cittadinanza planetaria, come non può esserci un?educazione di bambini astratti: pensare a un?educazione generica alla cittadinanza planetaria è l?errore capovolto di chi pensa a un?educazione etnocentrica e omologante. La sfida è creare contesti in cui le diversità possano non solo essere riconosciute ma messe in relazioni reciproche. E questo avviene sempre partendo dal territorio.

Vita: Il ministro ha centrato molto su una scuola che dà battaglia al vuoto esistenziale. Ma a Catania, dopo la morte di Filippo Raciti, alcuni docenti avevano risposto così alla richiesta di ragionare sul senso del vivere e del morire di alcuni studenti: «Proporvi o imporvi delle verità è integralismo, questo atteggiamento non può aver luogo nella scuola pubblica». Come reagiranno gli insegnanti alla sua proposta?
Ceruti: Né il primo umanesimo né il nuovo umanesimo sono fondati sulle risposte, ma sulla capacità di formulare buone domande. Il primo umanesimo proponeva un?idea astratta di uomo universale; quello di oggi deve essere un umanesimo concreto, fondato sul riconoscimento della condizione umana. L?idea di una umanità partecipe di un destino comune oggi è una realtà concreta, dovuta alla consapevolezza dell?interconnessione fra microcosmo personale e macrocosmo dell?umanità. Per questo non serve l?accumulo di informazioni ma la ?com-prensione? della condizione umana: fin dalla scuola dell?infanzia bisogna diffondere la consapevolezze che i problemi di oggi esigono collaborazione fra le discipline e le culture.

Vita: Quali caratteristiche dovrà avere il prof che domani farà questo?
Ceruti: Dovrà dare al bambino mappe attraverso cui orientarsi ed educare all?esperienza del conflitto controllato, poiché la cultura del conflitto sarà fondamentale. Poi ci sono alcuni saperi tipici della nuova condizione umana: cogliere gli aspetti essenziali dei problemi, comprendere le implicazioni delle scienze e delle tecnologie, sapere che il loro uso non è neutro. Oppure la capacità di valutare i limiti delle nostre conoscenze: ciascun bambino si trova di fronte innumerevoli possibilità di esperienza ma non ha la capacità di darsi un limite, dei criteri per cui scegliere un?opportunità e rinunciare a mille altre. Un?altra competenza è la capacità di vivere e agire in un mondo incerto: un?esperienza emotiva e cognitiva che come educatori affrontiamo per la prima volta.

Vita: Nel documento non c?è accenno alla questione autorità/autorevolezza: non è un tema decisivo?
Ceruti: Sì, ma non la si può imporre per regola. Ogni insegnante sa quanto è difficile far fare l?esperienza dell?autorevolezza, ovvero della fiducia dentro una relazione educativa. L?autorevolezza non è una premessa ma la conseguenza di una buona relazione educativa: serve un?iniezione di autenticità alla relazione, che si gioca hic et nunc. Per questo penso che la cornice di un nuovo umanesimo sarà la premessa di una riconquistata autorevolezza, perché può riportare nella scuola il carburante, cioè la passione, direi proprio l?eros per il sapere. È l?eros che libera la curiosità del discente perché risuscita ogni giorno la curiosità del docente.

Vita: Ma lei ci tornerebbe a insegnare in una classe?
Ceruti: A me piacerebbe insegnare nella scuola elementare. Io ho insegnato tanti anni in Francia e sono sensibile al gioco di parole che in francese si può fare con connaître, che vuol dire sia conoscere sia nascere insieme. Nella scuola primaria hai la possibilità di vivere l?insegnamento come cosmogenesi di sé e del mondo, perché tutto concorre all?apprendimento, è davvero uno sviluppo integrale della persona. E se l?insegnante è sensibile può rinascere lui stesso ogni volta daccapo.

Vita: E la secondaria di primo grado?
Ceruti: È forse il pezzo di scuola italiana più difficile e meno compiuto. La cornice è la stessa, la sfida sarà ancora più interessante perché è la più difficile. Un consiglio? Riscoprire che la cerniera indispensabile per stabilire una relazione è la passione del conoscere come nascere insieme, e che la relazione chiede di essere educata e accettata nella sua costitutiva incompiutezza.

Mauro Ceruti 53 anni, nato a Cremona, è preside della facoltà di Scienze della formazione a Bergamo e dirige il Centro di ricerca sull?antropologia della complessità. Presiede la Commissione che scriverà le nuove indicazioni nazionali per la scuola dell?infanzia e per il primo ciclo di istruzione e fa parte dell?Osservatorio sull?educazione interculturale del ministero. Tra i suoi libri, Educazione e globalizzazione (Raffaello Cortina, 2004).


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA