Famiglia
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La maestra Luisella Cavallari, 30 anni di insegnamento alle spalle, non ha dubbi. La scuola del futuro è a Milano, zona ovest, vicino al centro. Si chiama Istituto comprensivo Cadorna, due elementari, una scuola dell?infanzia e una secondaria. Alle elementari il numero di alunni provenienti da altri paesi ha superato quello dei nati in Italia. Sono oltre il 56%.
Milano, secondo i dati appena resi noti dal ministero dell?Istruzione, è il capoluogo con il maggior numero di studenti stranieri. Ma se la scuola in questi anni è cambiata, ancora non esiste un vero e proprio piano educativo che aiuti i bambini a integrarsi e i coetanei italiani ad allargare i propri orizzonti. Le scuole per lo più fanno da sole. «Hai un alunno cinese o arabo in classe e ti chiedi: adesso da dove comincio? Così viene la voglia di approfondire», dice Luciana Sala, insegnante di scuola elementare nel vimercatese, alle porte di Milano, un?area considerata ad alta densità di immigrazione.
Melting pot milanese
A Milano e provincia le scuole hanno cominciato una quindicina di anni fa ad affrontare l?emergenza. Oggi alcune offrono percorsi articolati di educazione interculturale. E cominciano a condividerli: in rete, tramite siti internet in cui gli insegnanti si scambiano materiale didattico, oppure con progetti interscolastici di conoscenza di altre culture e gemellaggi internazionali. All?Istituto Cadorna la prima tappa dell?inserimento di un bambino cinese o arabo è un corso per modellare l?argilla. «Un modo per aiutare i bambini che non sanno la nostra lingua a socializzare, poi passiamo ai disegni e alle prime parole», spiega la Cavallari.
I ?distaccati?
Nelle zone ad alta affluenza di immigrati esistono insegnanti come lei, che il Provveditorato consente alle scuole di ?distaccare? dalla normale attività didattica per gestire l?inserimento degli alunni stranieri. Ma i permessi arrivano con il contagocce. «L?anno scorso eravamo due, quest?anno il permesso è arrivato solo a me», spiega l?insegnante, «e anche i finanziamenti sono pochi, andiamo avanti perché ci crediamo». Al Cadorna avvisi alle famiglie e circolari sono stati tradotti in più lingue con l?aiuto degli studenti. Gli insegnanti hanno riscritto testi semplificati in tutte le materie. Tra le mamme è nato un gruppo di volontarie con diverse competenze linguistiche che dà una mano nella mediazione con le famiglie.
«La lingua è uno strumento importante per aiutare i ragazzi a superare i disagi psicologici dell?inserimento», spiega Annamaria Gatti, autrice di Benvenuto in classe (edizioni Erickson). «Sul mercato ormai c?è una buona offerta di libri di italiano per alunni stranieri, ma tutti danno per scontato il nostro alfabeto». Il libro curato dalla Gatti è il primo per chi parte da una situazione di ?estraneità linguistica?. Vale a dire cinesi, arabi, bengalesi, la cui scrittura ha caratteri diversi da quelli latini.
Ma la lingua non è il solo problema da risolvere. Lo dimostra il caso dell?Itis Marie Curie di Milano, zona Baggio. Altra età degli alunni e altro contesto, quello della periferia che conosce il degrado e l?insicurezza. «Abbiamo cominciato a fare educazione interculturale quando ancora non c?erano alunni stranieri nella nostra scuola», racconta Lorena Arosio, insegnante di religione. «A farci muovere sono state frasi razziste qua e là, segnali di intolleranza da parte dei ragazzi». La scuola ha deciso di destinare un budget di 3mila euro all?anno a un progetto interculturale che prevede moduli didattici tenuti da educatori specializzati, incontri con mediatori stranieri che vivono in Italia, iniziative di conoscenza delle altre religioni, con visite extrascolastiche, per esempio alla sinagoga della città.
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