Cultura

Vita

Parla Roberto Esposito:« E' l’universale per eccellenza e il singolare più unico. E'indefinibile, tanto che per parlarne occorre dargli una sponda.»

di Sara De Carli

vita , s.f. 1. Insieme delle funzioni che rendono un organismo animale o vegetale capace di conservarsi, svilupparsi, riprodursi e mettersi in rapporto con l?ambiente e gli altri organismi. 2. Spazio compreso tra la nascita e la morte. 3. Modo del vivere umano. 7. fig. Scopo per cui si vive (dal Dizionario italiano Sabatini Colletti) Vita: Vita è per eccellenza una parola che è sempre uguale e sempre diversa, talmente diversa che forse il suo significato è singolare. È un?ambiguità inevitabile? Roberto Esposito: Potrei rispondere come già hanno fatto altri, dicendo che la vita in quanto tale è indefinibile e che anzi l?elemento che definisce la vita è la sua indefinibilità. La vita è un collettore talmente ampio, in cui si inseriscono fenomeni talmente diversi – la vita biologica, l?esperienza individuale, la storia, le collettività – che tentare una definizione secca diventa un?impresa ardua. Io ritengo che l?unica cosa da fare sia pensare la vita in riferimento a qualche altra cosa, che costituisca un argine e un orizzonte. Nella storia i due riferimenti più potenti sono stati quello teologico, che vedeva la vita umana come creatura, in relazione con il Creatore, e quello biologico, per cui l?uomo da un lato è assimilato all?animale e dall?altro scopre una dimensione comune che gli consente di superare il concetto di razza. Vita: Quali sono le sponde in relazione a cui il ragionamento sulla vita si fa più significativo per l?oggi? Esposito: Il riferimento della politica. La biopolitica nasce dall?implicazione tra vita e politica e il fatto che in questo modo la stessa vita acquista una sua definibilità. Un altro referente a cui oggi si può accostare la vita è la tecnica, con tutto il discorso delle biotecnologie, con le loro mille problematiche e sfumature. O ancora il diritto e l?economia: sono tutti modi per dare all?espressione troppo generica di ?vita? una sua dicibilità. E poi resta la sponda teologica, che non è affatto fuori gioco, anche se siamo in un mondo che sembra totalmente laicizzato. Pensiamo a tutta la questione sul darwinismo, all?idea controversa di insegnare il Corano nelle nostre scuole? Tutto questo ci dà la prova netta che la questione del nodo fra teologia-biologia-politica non è affatto chiusa. Vita: Perché la politica oggi è diventata così importante per definire la nostra percezione della vita? Esposito: Perché dire singolarità non significa dire isolamento. Il singolo non è un atomo separato da tutti gli altri. Anzi, singolarità è sempre qualcosa che si associa a pluralità, addirittura i latini non usavano mai il termine singulus al singolare, sempre singuli al plurale. Dal mio punto di vista gli uomini sono sempre in comunità non nonostante il fatto che siano anche enti singolari, ma proprio in ragione di questo. Se la vita è fin dall?inizio vita collettiva, vita sociale, e in quanto tale vita politica, se ogni vita è una forma di vita, inserita dentro un orizzonte di altre vite, è necessario pensare vita e politica come qualcosa di originariamente congiunto, non come due sfere separate che a un certo punto si incontrano. Perché se pensiamo a vita e politica come due sfere staccate, è chiaro che l?incontro fra le due non può che avvenire nei termini di un tentativo di acquisire potere l?una sull?altra: in genere, per quel che abbiamo visto nella storia, di una politica che pretende di dominare la vita. Vita: Secondo lei è possibile invece una politica ?della? vita, contro questa politica ?sulla? vita? Esposito: Io penso di sì, e sento molti racconti, testimonianze che lo attestano, che mostrano come in tante parti del mondo c?è il tentativo di pensare e praticare la vita come soggetto della politica, non come suo oggetto. La risposta a questa domanda quindi è diversa a seconda del piano che consideriamo. Sul piano filosofico alla filosofia affermativa stiamo lavorando; sul piano dell?esperienza pratica invece è già in atto, già ci sono mille forme di biopolitica affermativa, dal volontariato alle donazioni, alle forme del ?mettersi in mezzo? di cui parla Aldo Bonomi e che raccontiamo su Communitas. Questo tema dell?intromettersi per evitare conflitti, stringere nodi, determinare relazioni fra mondi diversi e non garantiti, sono tutte forme di biopolitica affermativa. Se lei invece vuole una definizione più filosofica, c?è ancora da lavorare… Vita: Come è possibile questa politica della vita? Esposito: La vita umana per essere tale deve essere messa in condizione di vivere dignitosamente, di non essere in dipendenza da altri, di decidere il proprio destino. Naturalmente i modi in cui ciò si traduce in pratica cambiano moltissimo a seconda delle convinzioni di ciascuno e del gruppo di appartenenza, però la politica non può non tenerne conto. Vita: Lei in Immunitas ha suggerito di intendere la vita come evento che accade, non come proprium. Questo spunto può far pensare sia a un datum, a un destino immodificabile, sia a un dono. Qual è la sua idea? Esposito: Entrambe le cose. Nel ricevere la vita c?è l?elemento destinale per cui nessuno sceglie il contesto in cui nasce, e qui ha ragione Heidegger, siamo gettati nel mondo. Questo però si associa anche a un atto di donazione: anche senza riferirsi all?elemento divino, noi siamo un dono che altre due persone ci fanno. Quindi dentro il datum c?è il donum. La donazione può essere colta all?interno dell?intera vita, che è tutta una commistione di atti di appropriazione e atti di donazione, in ogni momento. Non è necessario che la donazione sia un progetto: spesso è solo un?esperienza, ma c?è. Munus però in latino è allo stesso tempo legge, carico e dono. Colui che è nato, essendo stato donato, ha l?obbligo di rapportarsi con gli altri: dal munus nasce la comunità, che è riconoscenza rispetto all?alterità che ti ha donato. Il terzo elemento è l?idea di rischio, implicito nel dono. L?immunità è la possibilità di non essere messi in gioco, di non correre rischi; la comunità invece è il mettersi in gioco. La vita come munus è il contrario dell?immunitas, anche se poi questo della communitas diventa un pericolo rispetto a cui si tende a immunizzarsi, isolandosi. Però questo resta il carattere più radicale dell?esistenza. Vita: Di fronte a una definizione di vita come tempo tra la nascita e la morte abbiamo una resistenza innata. C?è una sporgenza, qualcosa per cui la vita è più della vita. Per Dante, in Catone, era la libertà. Per noi, oggi? Esposito: C?è un punto in cui la vita sta oltre se stessa. Ciò che caratterizza l?uomo è l?essere sempre al di là di se stesso, il non coincidere mai con il dato biologico: la vita umana è un altrove, seppur radicato nel dato biologico. è la questione del senso, che è ineliminabile, anche oggi che non è più possibile dire che il senso della vita è una cosa piuttosto che l?altra. Il fatto che non ci sia più ?un? senso della vita significa che vengono liberati infiniti sensi singolari. Il nostro senso, per ciascuno di noi, è che il senso va inventato di volta in volta a seconda delle esigenze, dei desideri e delle possibilità del singolo. Vita: Vuol dire che la vita non ha un senso in sé e siamo noi che gliene diamo uno? Esposito: Sì. E aggiungerei qualcosa di più: il senso che diamo alla vita è sempre e soltanto singolare, vale solamente per chi lo dà e nel momento in cui lo dà. Non è possibile nemmeno dare un unico senso alla propria vita nel corso del tempo; cambia di volta in volta. Vita: Vita e persona, due termini di cui si discute molto. Esposito: Io non amo molto il riferimento alla persona. Persona è maschera, implica una distanza fra l?esperienza soggettiva e il corpo. Io sto lavorando a questo. Si tratta di superare l?idea di persona per parlare della soggettività. La persona riporta sempre la questione dal piano del comune al piano del proprio. Invece si tratta di pensare in termini di ?impersonale? o, meglio, di comunità. Vita: Un?ultima domanda: Roberto Esposito cosa canterebbe al posto di Vasco Rossi? Voglio una vita…? Esposito: Spericolata. Anche io, sì. Nel senso che il periculum fa parte della vita stessa, ha la stessa radice di esperienza, c?è un rapporto etimologico in quel –per. L?esperienza ha sempre una dimensione implicita di pericolo, la vita è di suo spericolata, non c?è una vita non pericolosa rispetto a cui scegliere una vita spericolata. Una vita non pericolosa è una vita senza esperienza, è una non vita. La vita come munus è una vita connessa essenzialmente al pericolo: non si potrebbe non volerla così. Chi è Roberto Esposito Il filosofo della vita spericolata Roberto Esposito, napoletano, classe 1950, insegna Filosofia teoretica presso l?Istituto italiano di scienze umane a Napoli e a Firenze. È stato direttore della rivista di filosofia politica Il Centauro ed è condirettore della rivista Filosofia Politica. Tra i suoi ultimi libri, Communitas: Origine e destino della comunità, Einaudi, 1998; Immunitas. Protezione e negazione della vita, Einaudi, 2002; Bíos. Biopolitica e Filosofia, Einaudi, 2004. Attualmente lavora sulla definizione della soggettività al di fuori della categoria di persona, privilegiando la dimensione comunitaria.


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