Economia
Mezzogiorno, l’area della disuguaglianza
Il Mezzogiorno è oggi l’area italiana dove più acute e diffuse sono le disuguaglianze, come ci ricorda da ultimo l’Ufficio studi Confcommercio.La più palese è la disuguaglianza di riconoscimento: il Mezzogiorno è scomparso dall’attenzione pubblica, derubricato a tema locale, a rosario di emergenze territoriali e aziendali insolubili
L’ultimo quarto di secolo è stato per il Mezzogiorno il peggiore dell’intera storia unitaria. Ha perso abitanti, soprattutto giovani; è arretrata l’economia; è peggiorata la condizione sociale; sono cresciute le divisioni interne, tra montagna e aree urbane, tra le città; è cresciuta la distanza con il Centro-nord e, soprattutto, con le altre regioni europee. Non sono mancati segnali positivi e incoraggianti, sebbene per lo più isolati e frammentati, che solo in piccola parte sono riusciti a contrastare l’arretramento complessivo, demografico e produttivo. Le sempre più scarne e discontinue politiche pubbliche hanno al più attenuato il disagio sociale, ma non favorito l’adattamento dell’economia e dei servizi collettivi meridionali ai grandi cambiamenti globali. La recessione post-2008 e la pandemia da Covid-19 hanno infragilito la già gracile struttura produttiva, destrutturato e polverizzato ulteriormente l’economia locale, accresciuto la vulnerabilità della società meridionale.
Il Mezzogiorno è oggi l’area italiana dove più acute e diffuse sono le disuguaglianze, come ci ricorda da ultimo l’Ufficio studi Confcommercio.
La più palese è la disuguaglianza di riconoscimento: il Mezzogiorno è scomparso dall’attenzione pubblica, derubricato a tema locale, a rosario di emergenze territoriali e aziendali insolubili. C’è voluta la “Next Generation UE” per ricordare che gli aiuti comunitari devono essere indirizzati prioritariamente verso i paesi e le aree più deboli e in difficoltà: non è un caso che il nostro Piano nazionale di ripresa e resilienza sia così robusto sotto il profilo della dotazione finanziaria. Da decenni, la narrazione dominante si è concentrata sulle aree, sulle città e sui gruppi sociali considerarti dinamici, innovativi, performanti; manco a dirlo, quasi tutti concentrati nel Nord. E’ stato costruito un racconto di direzionalità a senso unico secondo cui è il Nord – la “locomotiva” – a trainare tutto il Paese, che solo lo sviluppo delle regioni settentrionali può garantire occupazione e reddito ai cittadini che vivono al Sud.
E’ ritornata con enfasi nella rappresentazione pubblica, in concomitanza con la richiesta di “autonomia regionale differenziata” da parte delle regioni settentrionali più grandi, l’idea del Mezzogiorno patologicamente dipendente, che sottrae risorse pubbliche alla crescita nazionale, di un’area compattamente impermeabile allo sviluppo e alla “normalità” civile, dissonante e cronicamente ammalata di clientelismo, inefficienza, corruzione, criminalità. Di converso, è finita nel dimenticatoio la consapevolezza che in un’economia nazionale successo e insuccesso socioeconomico delle singole sezioni territoriali sono esiti intrecciati, facce di una stessa medaglia, che complementarietà e interdipendenza tra le parti sono fattori determinanti per lo sviluppo del tutto.
In secondo luogo, il Mezzogiorno subisce una scandalosa disuguaglianza di cittadinanza. Nell’insieme, i meridionali possono fare riferimento a servizi pubblici essenziali, in primis istruzione, salute e mobilità, di minore entità e soprattutto di più bassa qualità rispetto ai cittadini che vivono nel Nord. Il benessere degli italiani sembra sempre più legato a una sorta di lotteria: se nasci al Nord, tanto più se hai la fortuna di appartenere a una famiglia benestante, puoi accedere in media a servizi pubblici diffusi e di buona qualità; se nasci al Sud, a maggior ragione se provieni da una famiglia povera, puoi usufruire mediamente di servizi poco diffusi e di modesta qualità. Il diritto a una buona istruzione così come il diritto a essere ben curati se ammalati, si stanno sempre più trasformando da diritti costituzionali, universali a diritti legati al reddito o alla residenza.
In terzo luogo, il Mezzogiorno soffre di una pesante disuguaglianza di opportunità. Chi vive al Sud, a maggior ragione se risiede in un’area interna, ha basse e calanti opportunità di aspirare a una vita dignitosa. Innanzitutto perché l’opportunità di trovare un lavoro stabile e ben retribuito è diventata una chimera, soprattutto per i più giovani. A molti ragazzi del Sud è preclusa la libertà sostanziale di scegliere se restare o partire: per mancanza di occasioni di lavoro adeguate o di condizioni di vita sostenibili sono costretti ad andare via, impoverendo i paesi e le città di origine e, di contro, arricchendo di nuove energie e competenze le città di arrivo, peraltro senza averne sostenuto i costi di formazione. Allo stesso modo, ammalati del Sud che non possono fare riferimento in loco a strutture sanitarie adeguate, sono obbligati ad alimentare il flusso di mobilità sanitaria verso presidi ospedalieri centro-settentrionali, pagando costi elevati in termini personali e familiari. Senza trascurare che i flussi non fisiologici di mobilità sanitaria portano con sé cospicui trasferimenti di risorse monetarie dai sistemi sanitari meridionali verso quelli del resto del Paese, contribuendo a depotenziare ulteriormente l’efficienza delle strutture locali e a potenziare quelle ospedaliere di destinazione.
Disuguaglianze drastiche e persistenti rischiano di attivare vere e proprie trappole del declino. Il Mezzogiorno non è una piccola e povera isola territoriale. Al contrario, è una grande regione europea fittamente integrata nei circuiti umani, produttivi e sociali nazionali. Non è un’«altra» Italia. I meridionali sono cittadini italiani a tutto tondo, che dovrebbero godere di diritti di riconoscimento, di cittadinanza e di opportunità comparabili a quelli degli italiani che vivono nel Nord. Si trascura, spesso intenzionalmente, che meridionali dotati di appropriate libertà sostanziali e di adeguati servizi collettivi contribuirebbero con più intensità alla crescita civile e allo sviluppo del Sud e del Paese. La forza dell’Italia è l’interconnessione delle sue varietà, non l’omologazione e la separatezza. Il Mezzogiorno e il Nord, anche a ragione delle loro differenze socio-economiche, sono risorse complementari per lo sviluppo. Disconoscerlo è un danno per l’Italia nel suo insieme.
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