Cultura

Nella terra di nessuno

Un traditore mutilato, un soldato senza certezze. E il cecchino pronto a sparare

di Raul Montanari

«No! No!» «Spia, spiona, spiaccia. Mmh? Non è vero che sei una spia?» «No, io non?» «Cosa usano le spie per spiare?» «Non potete! Sono un prigioniero!» «Cosa usano le spie per spiare? Gli occhi, dico bene?» «No! Lasciatemi! Lasciatemi stare!» «Adesso gli occhi non ti serviranno più.» L?uomo legato urlò a lungo, con una voce acuta che non era più la sua. «Piantala adesso, dài.» L?uomo urlò di nuovo, più forte di prima. «Lascialo andare.» «Non ci vedo più! Non ci vedo più, maledizione, oddio, oddio santissimo aiutami!» «Tu ce lo mettevi in quel posto, vero?» «Oh, Cristo, basta, ti prego, basta! Non ci vedo più, non ci vedo più?» «Usavi gli occhi per spiare e quell?altra cosa per metterlo in quel posto ai tuoi compagni, non è vero?» «No! Non ce la faccio più!» «Usavi questa cosa qui. O mi sbaglio?» «Non ci vedo più, Cristo! Per pietà!» «Noi ce ne andiamo. Lascialo stare, adesso. Finiscila.» «Ma adesso che non puoi più spiare, a che ti serve questo? Eh? A che ti serve? A che ti serve? A che ti serve più?» Era rimasto troppo indietro. Appoggiò il fucile a un albero e cercò di capirci qualcosa consultando quella vecchia mappa sbrindellata. Un po? quella, un po? il sole che filtrava tra i rami, e la sagoma della montagna, là in fondo ? prese una direzione, tirò su il fucile e si avviò. Lui e il suo plotone e il resto della compagnia stavano facendo quella che i cronisti, il giorno dopo, comodi sulle loro sedie, avrebbero definito una ritirata strategica: tornavano sulle posizioni di un mese prima, ma con calma, con molta calma, e intanto il nemico avanzava, anche lui senza fretta. Aveva fatto poche centinaia di metri quando sentì un lamento. Si fermò dietro un albero, la spalla contro la corteccia, e spianò il fucile, ma non vedeva nessuno. Di nuovo quel lamento, una voce che piangeva e chiamava aiuto, almeno così gli sembrava. Si fece avanti piano, scostando con una mano i rami bassi che gli graffiavano la faccia. Arrivò a uno slargo. «Oh, Dio santo, aiuto! Aiuto! C?è qualcuno? Aiutatemi!» L?uomo che vide era seduto a terra, le spalle contro un pioppo, le braccia che giravano dietro il tronco, i polsi legati. Si avvicinò lentamente, guardandosi bene intorno perché quella specie di radura sembrava l?ideale per prendersi una fucilata nella schiena, magari da un cecchino nascosto là in fondo, dove il bosco si faceva più fitto. Possibile che ci fossero già dei cecchini in quel bosco? Be?, sì, pensò. Era terra di nessuno, quella. Intanto continuava a camminare, e vedeva altre cose dell?uomo legato. Aveva un cartello appeso al collo, e una fascia stretta intorno alle tempie, che gli copriva gli occhi. La fascia era nera di sangue secco. L?uomo legato sentì i suoi stivali sulle foglie accartocciate, sparse a terra, e si voltò verso di lui. «Chi è ? Chi c?è? Chi c?è?» Prima frignava e chiamava aiuto, adesso sembrava spaventato all?idea che qualcuno fosse arrivato. «Chi c?è? Chi sei?» gemette ancora, ansiosamente. Lui gli si fermò davanti, lesse il cartello. «SPIA ? DOPPIOGIOCHISTA» c?era scritto in grande, e il sangue, quando ancora era fresco, era colato dalla faccia dell?uomo sul cartello. Sotto: «Noi lo abbiamo licenziato. Voi che gli fate?». Guardò meglio l?uomo. Aveva la bocca storta in un?espressione di dolore e disperazione, come quella di certe maschere che ricordava dai tempi della scuola, una maschera con gli angoli della bocca all?insù e una invece tutta piegata in giù come questa? qualcosa che aveva a che fare col teatro. «Chi c?è?» ripeté l?uomo, ma sembrava meno spaventato, adesso. «Chi ti ha conciato così?» domandò, in tono indifferente. La domanda era inutile. L?uomo pronunciò il nome della parte per la quale anche lui combatteva. «Tu?» chiese poi, esitante «sei di?» «Anch?io. Sono dei tuoi» rispose lui. L?altro tremò tutto, come se dovesse assorbire quella che probabilmente era una buona notizia, ingoiarla e mandarla giù con uno sforzo che distorse ancora di più i suoi lineamenti. «Sono finito» gemette piano. «Mi hanno ammazzato, quei? Non sono più buono a niente. Non sono più niente.» Lui si accovacciò, appoggiando il fucile a terra dopo aver lanciato un?altra occhiata verso il bosco. Non lo convinceva, quel bosco. Poi si voltò verso l?uomo, che piangeva in silenzio, sussultando. Fece per togliergli la benda dagli occhi, ma l?altro gridò subito, allora gliela lasciò. Abbassò lo sguardo sul cartello, e qualcosa che vide sui pantaloni dell?uomo, coperti per metà da quel pezzo di cartone, gli fece aggrottare le sopracciglia. Scostò il cartello e guardò sotto, stringendo le labbra e annuendo piano con la testa, come per dire a se stesso che l?aveva capito subito che non gli avevano strappato solo gli occhi (e non era vero), e che era tutto quello che una spia si meritava (e questo forse era vero, almeno lui pensò così). Lasciò andare il cartello e alzò lo sguardo. L?uomo disse qualcosa che non capì. «Cosa hai detto?» chiese, in tono asciutto. «Aiutami» mormorò di nuovo l?altro. «Aiutami. Non è vero, che mi aiuti?» «Se credi che ti liberi?» «No!» rispose l?altro con una strana violenza accorata, come se l?idea gli facesse orrore. «E poi» sogghignò lui «dove andresti? Dalla fidanzata?» L?uomo scosse la testa con due, tre movimenti secchi, spostando il mento e la faccia tutta a destra, poi tutta a sinistra, e poi di nuovo. «È vero quello che c?è scritto sul cartello?» chiese. Altra domanda inutile. Forse la vista di quel corpo attaccato alla pianta lo disturbava più di quanto volesse ammettere, lo imbarazzava, in qualche modo. «Avevo paura» rispose l?altro, e ricominciò a piangere forte, come prima. «Come, avevi paura? Cosa vuol dire?» L?uomo scosse ancora la testa con quei suoi movimenti da insetto. «Tu non lo puoi capire. Scusami» aggiunse subito fra i singhiozzi, come per non offenderlo. Lui sogghignò di nuovo. «Scusami, sarebbe? troppo lunga da spiegare. Ho cominciato per? perché avevo paura, avevo paura di loro, e poi quando gli altri mi hanno scoperto? Cosa potevo fare? Hanno detto che avrebbero? sarebbero andati a cercare mia madre, capisci? Mia madre, se non lavoravo per loro. Cosa potevo fare? Cosa potevo fare?» alzò la voce, poi la riabbassò. Lui si sfregò il naso, poi lo soffiò fra due dita. Di nuovo, l?uomo disse una parola a bassa voce, quasi un borbottio. Da quando una granata gli era scoppiata vicina non ci sentiva più tanto bene, lui. «Non ho sentito cosa hai detto.» «Uccidimi» ripeté l?altro. «Uccidimi, per piacere.» «Sei matto?» «Non lasciarmi a loro. Non ce la faccio più. Non lasciarmi così? Non voglio più? star male. Per favore. Sparami, uccidimi. Te lo chiedo per la tua famiglia.» «Non parlare della mia famiglia!» gridò lui. «Magari me l?hai fatta massacrare tu la mia famiglia, spia, spia schifosa!» gridò ancora, ma era una rabbia fasulla, lo sentiva, era tutta una piccola, stupida commedia perché non sapeva cosa fare davanti a una richiesta così logica, così giusta. Allungò una mano e prese fra le dita la guancia del cieco, strizzando la pelle e digrignando i denti. Si poteva fare tutto, a quel corpo, come se le mutilazioni gli avessero tolto ogni diritto. «Hai capito?» ringhiò. «Hai capito che tu dei miei non devi parlare?» L?altro gemette piano, la faccia deformata dalla stretta. Lo lasciò e si alzò in piedi, furioso, stanco com?era. «Non andare via!» lo supplicò il cieco. «Non lasciarmi qui! Uccidimi, uccidimi subito, Cristo! Sparami nella testa! Sparami, un colpo solo, sparami e basta! Non ce la faccio più! Non voglio che mi mettano le mani addosso anche loro!» «Sta? zitto!» «Non voglio più star male, non voglio? Mi faranno a pezzi se mi trovano così, lo sai! Ti chiedo solo questo, ammazzami! Sparami in testa, sparami?» «Ti ho detto di stare zitto!» «Ammazzami tu? Sono una spia, ammazzami! Ti chiedo solo di ammazzarmi!» «Sta? zitto! Sta? zitto!» urlò lui, e sentì la propria voce echeggiare fra gli alberi. «Avevi ragione» cambiò tono l?altro, e una risata orribile cominciò a scuoterlo mentre la bocca prendeva una piega furba, beffarda, o almeno ci provava. «Hai detto che hanno fatto fuori i tuoi, eh? Quando è stato? Il rastrellamento? quello di un mese fa? Allora sono stato io! Vi ho traditi io, io!» Lui fece un passo indietro e gli puntò il fucile in faccia. «Ammazzami» sussurrò la spia, protendendosi verso il fucile come se in qualche modo lo potesse vedere. Doveva avere intuito i suoi movimenti. «Tira il grilletto. Spara.» «I miei sono morti un anno fa. Sotto un bombardamento. Tu non c?entri, stronzo» disse con calma. L?altro abbassò la testa, come se di colpo non avesse più niente da dire. Un sospiro profondissimo lo attraversò, sembrò gonfiarlo per un attimo, poi spirò dal naso e dalle labbra socchiuse. Lui mosse il fucile, piano. La canna arrivava a sfiorare la benda. Non pensava a niente. Abbassò la canna sul naso, sulla bocca. Poi la gola, l?incavo tra le clavicole lasciate scoperte dalla camicia. E, subito sotto, il cartello. «In nome di Dio» disse infine l?uomo, e nella sua voce entrò una curiosa solennità, quasi sentisse di avergli rivolto un appello supremo. Mirò alla fronte. Una mosca gli danzò davanti agli occhi, lui la allontanò togliendo la sinistra dalla cassa del fucile e sventolandola nell?aria. La canna, il mirino. La fronte. L?indice della destra sfiorava il grilletto, e l?uomo legato all?albero teneva la testa abbassata e respirava piano, l?uomo che non era più un uomo o forse lo era, e chissà cosa vuol dire essere un uomo, pensò per un attimo, poi di nuovo la sua testa si svuotò di ogni pensiero. E va bene. Lentamente, piegò l?indice. Uno sparò risuonò nel bosco. Il cieco ebbe un fremito e alzò di scatto la testa, e intanto lui barcollava sulle gambe, poi cadde faccia in avanti come se una mano pesante, gelida, gli si fosse appoggiato alla base della schiena e l?avesse spinto giù. «Il cecchino!» mormorò finendo con la faccia sul cartello, schiacciandolo e piegandolo e strappando un grido all?uomo, e intanto altri spari risuonavano, da varie direzioni, in punti diversi del bosco, e poi scese un silenzio improvviso, innaturale, forse perché oltre ai fucili tacevano anche gli uccelli, ora, e lui riuscì a pensare che dovevano averlo individuato, il cecchino, perché gli spari venivano più o meno tutti da quella parte. «Cos?è successo?» chiese il cieco, la voce nuovamente stridula. Provò a muoversi. Non sentiva più le gambe. Il dolore gli chiudeva la schiena come in una morsa, ma non era un dolore di quelli nervosi, raschianti. Era quasi piacevole, come quando ti fa male la pancia, forte, proprio intorno all?ombelico, ma tu sai che basta aspettare e la sensazione si sposterà più in basso, ti darà sollievo. Stavolta però il sollievo non veniva. «Cosa c?è? Cos?hai?» chiese ancora la spia. Lo sentiva tremare sotto di sé. «Taci» disse lui. Provò a prendere il fucile, che gli era caduto poco più in là, ma era come inchiodato a terra, e il braccio destro era tutto intorpidito. No, il sollievo non veniva. Portò la sinistra dietro la schiena, e sentì il sangue e poi lo squarcio, proprio alla base della spina dorsale. Uno spasimo lo costrinse a rilassare il braccio, e a portarlo lentamente davanti a sé. «Oh, Cristo» sospirò. Il cielo sopra di loro era appena velato, non c?era più il sole di prima. Chissà perché il cecchino aveva aspettato tanto a sparare? Doveva essersi appostato lì, prevedendo che qualcuno si sarebbe fermato, prima o poi, incuriosito dall?uomo legato. Allora, perché non aveva sparato subito? «Sei ferito?» chiese l?altro, sommessamente. Magari si era addormento. Perché no? Che ne sapeva, lui? Poteva essere stanco morto, distrutto da una notte di marcia? Magari erano tre notti che non dormiva. Cinque notti. «Mi senti?» disse il cieco, e si mosse per quanto gli riusciva. Il dolore non aumentava, il torpore sì. Non sentiva più le gambe, non sentiva più niente dalla vita in giù, e il braccio destro era già quasi paralizzato. Abbandonò la testa sulle gambe dell?uomo, e guardò ancora il cielo. Non aveva paura, non era nemmeno disperato, eppure sapeva bene cosa voleva dire una ferita come quella. Si sentiva solo strano, come mai in vita sua. Stortando gli occhi, guardò la faccia del cieco. La benda sporca faceva meno impressione delle labbra tutte rotte e piene di croste. L?orrore vero, in fondo, era quello che stava sotto il pezzo di cartone, e sotto la sua testa. «Povero pezzo di merda» pensò, ma senza parlare. «Di?? qualcosa» lo pregò l?altro, a bassa voce. Allora lui allungò il braccio sinistro, che cominciava appena a perdere sensibilità intorno alla spalla. Lo spinse giù di traverso al corpo, arrivò alla pistola, fece saltare il bottone. Torcendo il busto per quanto ancora gli riusciva, stringendo i denti, afferrò il calcio della pistola e la sfilò dal fodero. «Cosa fai?» chiese il cieco. Si rigirò l?arma nella mano, la impugnò. Tolse la sicura, la puntò alla gola del cieco, spingendo la canna appena sotto, dove l?osso del mento si divide in due e diventa mascella. L?altro mosse la testa, fece come per sottrarsi, e lui lo seguì cercando l?inclinazione giusta per non correre il rischio di fargli male e basta. «No! Aspetta!» ansimò il mutilato, perché aveva capito solo adesso e solo adesso la morte gli faceva davvero paura, dopo averla tanto invocata, ma lui premette il grilletto e uno schizzo di sangue spruzzò la corteccia di quel povero pioppo innocente, dietro la testa dell?uomo. Il corpo al quale era appoggiato ebbe un lungo spasmo, poi si rilasciò come se le ossa, dentro, si fossero sciolte. Ecco. Ecco fatto. Lasciò ricadere il braccio e respirò a fondo, due, tre volte. Mosse le dita della mano sinistra, l?indice imprigionato dal semicerchio metallico che proteggeva il grilletto. Pollice, indice, medio, anulare, mignolo. Così. E di nuovo: pollice, indice, medio, anulare, mignolo. Poi tutte insieme, come per fare ciao a qualcuno, o a qualcosa. Era finita, pensò. Lo aveva detto anche la spia, prima? Non se lo ricordava. Era finita, e gli sembrava che tutto stesse accadendo a un altro. No, non era questo. Gli sembrava che non fosse così grave, quello che gli stava succedendo. Forse ne aveva viste abbastanza, in quei tre anni. Per un attimo si domandò se il torpore gli avesse raggiunto anche il cervello, e questo pensiero era così assurdo, il pensiero e tutto il resto, che sbuffò una breve risata a labbra strette. Alzò gli occhi al cielo, sempre più grigio. Il cieco aveva la testa piegata su una spalla, e il sangue colava giù e gli inzuppava una manica della camicia. Il bosco continuava a tacere. L?avevano preso di sicuro, il cecchino, gli avevano dato la sua paga. Lui era vivo, invece. Per poco, magari, ma vivo. Tutto qui. Strinse la pistola nella sinistra, accomodò meglio la testa fra le gambe del morto, e sorrise come se niente più potesse fargli paura, ormai. I racconti dell?estate settimana per settimana Continua la nostra rassegna di racconti scritti da alcuni dei più affermati, ma insieme scomodi, scrittori italiani. Dopo i cicli dedicati alle città (1995), alla tv (1996) e all?essere padri e figli (1997) quest?anno è a tema la carità. Sul n. 28 di Vita ha aperto la serie Adriano Sofri, con ?Il cuore di Kadid?, scritto per noi dal carcere di Pisa. Sono seguiti Franco Loi (sul n. 29) con ?Quel portafogli caduto dal cielo? ed Erri De Luca (n. 30) che ci ha proposto una personale memoria con ?Premure da marciapiede?. Ora è la volta di Raul Montanari che, anche sul tema della carità, non dimentica il suo stile duro, ma insieme raffinato, di raccontare. Seguiranno: Guido Conti, Luca Doninelli, Dario Voltolini, Enzo Fontana e Aurelio Picca. Raul Montanari:una carità ?choc? Raul Montanari nasce a Bergamo nel 1959, ma si trasferisce presto a Milano dove ancor oggi vive e lavora. Laureato in lettere classiche e in comunicazione di massa, ha al suo attivo traduzioni di autori classici (Sofocle e Seneca) e contemporanei (tra cui Borges, Greene, Vargas Llosa, Wilde). Autore teatrale, è consulente del Teatro Out-Off di Milano. Ha scritto numerosi racconti e romanzi tra cui ?Il buio divora la strada? (Leonardo, ?91), ?La perfezione? (Feltrinelli, ?94), ?Sei tu l?assassino. L?ultimo giallo possibile? (Feltrinelli, ?97). Le sue ultime opere sono ?Dio ti sta sognando? e ?In metropolitana con Dio? edite quest?anno assieme alla raccolta di racconti, da lui curata, ?Il ?68 di chi non c?era (ancora)?. Il racconto sulla carità scritto appositamente per noi sarà pubblicato a settembre, da Rizzoli, con il titolo ?Terra di nessuno? nel libro di racconti ?Un bacio al mondo? che prende il titolo proprio dal racconto apparso su VITA nel luglio 1997.


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