Economia

Credito cooperativo? La sfida è re-inventare un modello realmente comunitario

«I ritocchi inseriti nel decreto Milleproroghe sono discutibili e marginali». Il punto è un altro: «In un mondo completamente cambiato, trasformato, e in un momento in cui le banche commerciali stanno facendo credito relazionale, vanno quindi in cerca di clienti e tornano sui territori, quale sarà il ruolo delle Bcc?». L'intervento del presidente di Euricse

di Carlo Borzaga

Tanto rumore per nulla. Dopo tuoni e crepitii, più che una tempesta è arrivata una pioggerellina primaverile. E per fortuna, verrebbe da dire. I ritocchi alla riforma delle banche di credito cooperativo, inserite nel decreto Milleproproghe, alla fine svelano la difficoltà della nuova maggioranza di governo nel comprendere il vero senso della complessità del nostro tempo. Ancora: dimostrano scarsa consapevolezza circa il significato, quello vero, di una territorialità ampiamente invocata ma che, anziché riversata solo nella governance, dev’essere ricerca e anticipazione di bisogni. Delle imprese, certo, ma anche e soprattutto della comunità.

A conti fatti, le tre correzioni inserite nel decreto sono ugualmente discutibili e ugualmente marginali. Penso alla prima: le partecipazioni sociali degli istituti di credito cooperativo nella banca capogruppo salgono dal 51 al 60%. Operazione inutile: un vincolo ulteriore e affatto sostanziale. Il controllo si manifesta già con il 51%, spingersi al 60% non porta nuovi vantaggi. La seconda modifica rivede il numero minimo dei rappresentanti delle Bcc aderenti nel consiglio di amministrazione della capogruppo, numero che cresce fino alla metà “più due” dei componenti. A mancare qui è la configurazione di una presenza terza: consiglieri puri vicini per cultura e storia personale alla cooperazione di credito senza essere amministratori. Terzo aspetto: viene ridotta la facoltà della capogruppo di sostituire direttamente gli amministratori. Viceversa la scelta verrà sottoposta a fronte di una rosa di nominativi. Un caso eccezionale trattato come se fosse pratica ordinaria e su cui si è discusso molto. All’origine pare esserci una sorta di sospetto, quasi uno scontro che di fatto non esiste: la capogruppo non è contro le banche di credito cooperativo; agisce piuttosto in loro funzione.

Forse la vera sfida era un’altra, ma pare essere sfuggita. Davvero era necessaria questa proroga per garantire la territorialità? Ma cosa intendiamo, davvero, per territorialità? Soddisfare come in passato la domanda di credito? Dimenticando magari che non è stata solo la cattiva governance a mettere in crisi le banche di credito cooperativo, bensì la crisi dei territori. Ecco, allora, che piuttosto andrà trovata la giusta mediazione fra bisogni dei territori e tutela della banca.

Lo stesso si può dire della mutualità, termine spesso ridotto a slogan e su cui scarsamente ci si interroga. In un mondo completamente cambiato, trasformato, e in un momento in cui le banche commerciali stanno facendo credito relazionale, vanno quindi in cerca di clienti e tornano sui territori, quale sarà il ruolo delle BCC? Come potranno trovare una relazione personale specifica? Non si tratta solo di stringere la relazione attraverso formule via via sempre più personalizzate di Home Banking, di consulenza, di gestione patrimoniale. Tutto ciò non basta. La scommessa è trovare ciò che rende queste banche ancora diverse dalle altre; garantendo, rilanciando, ripristinando e reinventando la relazione con i soci-proprietari.

Ed è questa l’occasione da cogliere: far sì che i risparmi dei cittadini (e dei soci) siano riversati in attività che abbiano una rilevanza e un impatto pubblico che viceversa non hanno le attività economiche tradizionali. Questo è il futuro. La domanda di servizi di interesse pubblico cresce ed è destinata a crescere. E se il mercato non sa risponde ai bisogni dei cittadini, qualcuno – alla fine – questi servizi deve produrli e qualcun altro deve sostenerli, finanziarli. Le banche commerciali ci stanno provando, ma l’impressione è che si tratti di iniziative tradizionali. Non bastano per affrontare la trasformazione radicale davanti a noi.

Tornare a essere territoriali significa allora capire i bisogni non solo delle imprese ma anche delle comunità. Quindi soddisfare una domanda che solo in parte emerge da sola, e che va anche aiutata ad emergere: rilanciando e ripensando quei luoghi e quei momenti in cui non solo si elaborava una strategia bancaria ma si cullava quel laboratorio di idee, di pensiero, capace di creare le risposte. E anticipare i bisogni della comunità.


*Presidente Euricse, Istituto Europeo di Ricerca sull'Impresa Cooperativa e Sociale

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