Economia

La dimensione etica della finanza islamica

Per non avere paura della finanza islamica bisogna conoscerla. Ecco perché, anche su questo punto, serve più educazione finanziaria

di Marco Marcocci

Di questi tempi più che mai, quando si parla di finanza islamica la mente ci porta dritti dritti al terrorismo e, più precisamente, alle modalità con le quali questo terribile cancro dei giorni nostri si approvvigiona delle necessarie risorse per poter seminare morte in ogni angolo del mondo.

Ma siamo davvero sicuri che la finanza islamica sia il sinonimo di finanza del terrorismo? Non potrebbe essere che questo famigerato abbinamento sia frutto di una percezione mediata da innumerevoli fattori contingenti e, soprattutto, da una scarsa – o meglio totalmente assente – conoscenza della materia.

Del resto è tristemente noto (ed arcinoto) che le nozioni finanziarie degli italiani presentano gravi lacune, figuriamoci, quindi, se l’argomento da trattare è la finanza islamica: meglio tagliare corto e dire che è il modo con cui il terrorismo batte cassa.

In realtà la finanza islamica appare, per molti aspetti, come una nuova frontiera della finanza etica, o meglio come una dimensione di quest’ultima.

Molti dei prodotti e servizi presenti nell’offerta finanziaria islamica presentano caratteristiche che, se applicate ad un qualsiasi prodotto della finanza tradizionale, farebbero gridare senza indugio ad una struttura palesemente etica del prodotto.

La dimostrazione è presto fatta prendendo ad esempio tre settori aspramente combattuti e condannati nel nostro Paese: il gioco d’azzardo, la pornografia e l’alcol. Mentre nella finanza tradizionale nulla vieta ad investire in tali ambiti e soltanto quando vi è la garanzia che la raccolta dalla banca non sarà poi impiegata in queste attività, allora quel prodotto offerto al risparmiatore potrebbe definirsi etico, nella finanza islamica sono esclusi a priori gli investimenti “immorali”. Il gioco d’azzardo, la pornografia e l’alcol sono soltanto alcune delle attività economiche per le quali non è possibile investire, in quanto proibite (haràm) e considerate contrarie alla Shari’ah, la legge sacra islamica.

Anche l’assicurazione islamica, la takàful, presenta degli spiccati connotati etici. Gli assicurati, infatti, cooperano tra loro partecipando alla realizzazione di un fondo mediante una donazione. Da questo fondo così costituito saranno prelevate le somme da riconoscere per il pagamento dell’indennizzo in favore di coloro che hanno subito un sinistro. In pratica la configurazione del takàful è quella della mutua assicurazione o cooperativa: vi è una corrispondenza tra partecipante al fondo ed insieme dei partecipanti (proprietari del fondo e assicurati sono le stesse persone) e non tra assicurato e assicuratore come nelle assicurazioni tradizionali.

Etica è poi la zakàh, la tassa fissa sulle ricchezze che il musulmano deve versare e che si configura come un dovere morale idoneo a purificare il patrimonio del fedele. Un pagamento, quindi, che trova la sua ragion d’essere negli obiettivi di equità e giustizia economico-sociale che sono alla base del modello islamico e che, in questo caso, riguardano la distribuzione della ricchezza. Non per niente il gettito proveniente dalla zakàh costituisce per molti paesi islamici uno strumento di politica economica per conseguire obiettivi di welfare e per combattere la povertà. E’ bene menzionare, però, il rovescio della medaglia della zakàh in quanto non sempre è completamente tracciabile la destinazione ultima di questo flusso di denaro che, quindi, potrebbe accasarsi anche presso gruppi terroristici senza che il donatore ne sia a conoscenza.

In conclusione si torna al solito discorso: per non aver paura della finanza islamica bisogna conoscerla, avanti con l’educazione finanziaria!

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