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Ho insegnato agli italiani a ballare a piedi nudi

Tasha Rodrigues

di Redazione

di fascino ed energia. È l’erede di Miriam Makeba,
ha cantato con James Brown (e con Fiorello) e ha portato in tv la forza dei ritmi afro della “sua” Angola.
Il sogno? Organizzare un live davvero speciale…Mi voleva quel regista romano… quello dei girotondi…». Chissà se davvero Tasha Rodrigues non ricorda il nome di Nanni Moretti. L’aveva scritturata per il suo Habemus Papam, poi all’ultimo ha cambiato idea. Ma lei non se l’è presa («si sa come vanno queste cose») e ha continuato a lavorare ai suoi progetti. Che sono soprattutto musicali, perché Tasha – angolana cresciuta in Italia – è considerata l’erede di Miriam Makeba.
Ha conosciuto la grande Mama Africa?
Sì, circa 12 anni fa, ma sapevo chi era fin da quando ero bambina. Avevo 8 anni: lei venne in Angola per un concerto. Si parlava molto di questa donna, di questa voce: era la prima cantante africana che si esibiva in Angola in uno stadio, con uno spettacolo con ballerini e trampolieri.
E l’incontro?
In occasione di un concerto a Recanati. Sono entrata nel suo camerino e ho detto: «Mamma mia, Makeba, I’m so happy to know you». Ho aggiunto: «Sono angolana». Lei mi ha abbracciato e ha pianto. Era commossa. Incontrare una persona dall’Angola, uno dei Paesi più martoriati dalla guerra… Poi ho detto: «Anche io canto». Un’estate prima che morisse ci siamo riviste all’Auditorium di Roma. «Non ce la faccio più. Ti prego di continuare quello che io faccio, hai tutte le carte per portare avanti la musica africana», si è raccomandata. Una cosa che mi è rimasta nel cuore.
In cosa si sente sua erede?
Makeba era una donna che non si arrabbiava, parlava con il canto. Non c’è una canzone in cui non parli della sofferenza e dell’amore nello stesso tempo. Pativa molto, come me, il razzismo verso le persone di colore: allora i neri non avevano accesso a niente.
In quale categoria farebbe rientrare la sua musica?
È world music, una combinazione di vari stili. Di base c’è la mia ritmicità e la cultura africane. Poi però c’è la componente occidentale – sono cresciuta in Europa – e quindi con il soul, il funky, il rhythm and blues. Ci sono arrivata dopo un lungo percorso. All’inizio facevo la background vocal per vari gruppi. Ho lavorato con Fausto Leali e Tullio De Piscopo. Fu un suggerimento del mio direttore musicale: «Trova un tuo stile, altrimenti diventi la ragazza di colore che fa la vocalista». Grazie ai suoi consigli dieci anni dopo ho realizzato il mio primo disco.
È stato facile trovare la sua strada in Italia?
Le difficoltà sono tante, soprattutto se vuoi fare questo lavoro a un certo livello. Per arrivare servono tanti sacrifici. Ho cominciato come ballerina, poi sono stata vocalist, ho fatto tv e cinema. Alla fine ho trovato una mia identità musicale, la world music appunto, cui sono arrivata passando per una fase afro-soul. Mi piace mescolare le culture. Nei miei spettacoli c’è anche una danzatrice italiana.
Una cantante africana che fa ballare un’italiana…
E danza “afro”, con i piedi nudi! Mi piace rovesciare i ruoli senza perdere la mia identità. È anche un modo per contrastare i cliché, che sono così tanti.
Per esempio?
Per esempio non accetto più ruoli da cameriera. In Italia c’è la tendenza a non valorizzare la gente di colore, a usarla solo come contorno. Anche quando ero alla trasmissione Alle falde del Kilimangiaro – dove ho lavorato tre anni – volevano vestirmi in un certo modo perché sono africana… Io dicevo: «Non c’è bisogno, si vede dalla mia pelle. Anche se mi vesto da Cenerentola non smetto di essere africana…».
Da dove viene il soprannome di “Orchidea nera”?
Da una mia partecipazione ad Harem, il programma di Catherine Spaak. Era il 2001, puntata su “black is beautiful”, con Denny Mendez e Fiona May. Era sui temi dell’integrazione. Alla fine qualcuno mi disse: «Ho sentito tutto, sei quella che ha parlato meglio senza perdere la tua negritudine, sei così unica… rara come un’orchidea nera».
Rispetto al 2001, il suo giudizio sull’Italia è cambiato?
Per certi aspetti è peggiorato; nel 2001 c’era la speranza che le cose sarebbero cambiate, c’era un trend verso l’integrazione e la caduta di certe barriere. Adesso il razzismo sembra che non ci sia, ma è solo camuffato.
Siamo diventati più ipocriti?
Mi pare che l’Italia si sia fermata: le persone sono diventate molto indifferenti, come se non avessero fantasia o voglia di creare.
Che progetti ha?
Lo scorso anno ho dedicato un disco a Obama, Humane Race. Adesso sto lavorando a un nuovo album: prevediamo l’uscita per la prossima primavera. Farò prevalere ancor di più la fusione afro-latina. Ci sarà un duetto con un cantante italiano, con uno angolano e una cover di Miriam Makeba. Poi farò l’African tour 2011 e forse “Angola for Italy”, un evento con cui vorrei far conoscere la mia cultura angolana.
Sembra un titolo provocatorio…
Lo è. In genere si tende a pensare che dall’Africa non possano venire cose di qualità. L’Africa invece ne ha tantissime, soprattutto l’Angola, che è in una fase di crescita musicale incredibile. Dunque, Angola for Italy!

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