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Braccia nere, torneranno la Calabria lo sa

di Redazione

giovani eleganti o vecchie Panda di quelli che sembrano anziani operai e contadini. Sciami che corrono su e giù dalla collina, si fermano al bar, fanno due chiacchiere davanti ai negozi. Controllano e si guardano in giro. Verso la fine del pomeriggio compaiono anche le biciclette. In sella, quel che resta dei braccianti africani. Giovani vestiti con camicie colorate pedalano verso i punti di telefonia o sulla strada del ritorno a casa, dopo una giornata spesa a zappare nei campi. Le loro abitazioni sono in centro, nelle case più diroccate, dove pagano 50 euro più spese per un posto letto. Ibrahim Buaro, detto Barone, un giovane ventenne del Senegal, si ferma. «Io non ho paura. Sono qui da quattro anni, e non penso che gli scontri si ripeteranno», spiega un po’ sulla difensiva. Ha occhi grandi e sorride, timido. Subito sopraggiunge Ousmane Diallo, detto Mustafà, dal Gambia. È un uomo alto, possente, dalla faccia grande e la parlantina facile. «Io ero fotografo. Continuo a sognare di tornare in Africa, girare di villaggio in villaggio e fotografare le persone. Loro sarebbero contente». I ragazzi africani di Rosarno ci sono, salutano i passanti, e continuano a fare base a casa di Norina Ventre, meglio conosciuta come «Mamma Africa». Basta nominarla che scoppia la festa. «Ti portiamo noi da lei! Io so la strada! No, io te lo posso dire!». Alla fine, si va tutti insieme. Una vera invasione a casa di questa donna eroica e travolgente. «Ah, disonesto!» dice a Mustafà. «Siete venuti eh? Cosa vuoi, una camicia a maniche lunghe o corte?» Comincia la distribuzione. I ragazzi seduti ordinati sul divano, si scambiano battute, abbracciano questa mamma adottiva che da oltre vent’anni si prende cura di loro. «Se il Signore me li manda qui, cosa vado a fare in Africa?». La signora Norina è piccola e tonda. Il vestito a fiori, colorato, mille preoccupazioni. «Avete dipinto i rosarnesi come razzisti, ma noi abbiamo messo in piedi la mensa per questi ragazzi!». Anche i commissari hanno scritto un biglietto a Mamma Africa. «A Norina, una mamma speciale», alza gli occhi al cielo, «ma altro che bigliettino, che mi mettano l’acqua corrente dove organizzo la mensa!». Le istituzioni sono il vero bersaglio di questo fiume in piena di 84 anni. Lo sguardo si fa sconsolato quando pensa all’abbandono delle istituzioni, che «sapevano e non hanno mai fatto niente. Si sono dimenticati che eravamo peggio di loro». Ma in questo misto di calabrese («che lo devono imparare!») e di italiano, Norina prepara una merenda in veranda: orzata, aranciata e crostata di agrumi, ovviamente. Tra risate e un’occhiata alle vecchie fotografie con i suoi ragazzi, lo sguardo le si illumina di nuovo. «Quando morirò, voglio che siano loro a portarmi al cimitero». Loro rispondono: «tT porteremo ballando, Mamma Africa!».

L’inverno è una trappola
Dalle merende si passerà alla nuova stagione di raccolto. Ancora non sono tornati tutti, gli africani. Ma torneranno. Questa è la voce che passa di casa in casa. Questo è il destino di chi è deportato da una regione d’Italia all’altra, in corsa dietro le stagioni. Dalla Sicilia a Rosarno, da Gioia Tauro alla Puglia per la raccolta dei pomodori. La trappola che soffoca questa “Calabria infame” si chiama ‘ndrangheta. È per questo che la ribellione di gennaio ha in sé anche il germe del cambiamento. La “tela senza ragno” ha allungato le zampe su tutte le attività economiche della Piana, instaurando per decenni il regime delle “arance di carta”, nutrito dalla connivenza di alcuni agricoltori e finte cooperative. Le truffe ai danni dell’Unione Europea puntavano ai finanziamenti, elargiti in base alla quantità di arance prodotte. Ma due anni fa il sistema si è inceppato. Le truffe sono venute a galla e oggi i soldi arrivano in base agli ettari di terreno coltivato. «Per dare un’idea dei danni prodotti da questo meccanismo parassitario», spiega Nino Calogero, segretario della Cgil della Piana, «basta dire che prima un ettaro di terra generava 7/8mila euro, ora siamo sui 1.200 euro». Il prezzo delle arance è crollato fino a 5 centesimi al chilo, e non solo per via della concorrenza. La produzione di massa spesso ha prodotto arance buone per il macero, non accettabili in un mercato libero. Tra le furbizie, anche le truffe all’Inps. Pensioni maturate grazie al lavoro nero di migranti sfruttati. La magistratura di Palmi ha colpito periodicamente queste truffe, «come ha fatto con il caporalato, ma sappiamo che entrambe le situazioni si ripresentano», afferma Calogero. Poi è venuta la crisi economica. Solo Sisa Calabria negli ultimi mesi ha mandato in cassa integrazione centinaia di operai. Il Porto di Gioia Tauro è in crisi cronica. Dall’inizio del 2010 diverse aziende hanno licenziato personale della sede portuale. «La crisi si avverte per le strade», spiega don Pino Varrà, parroco di Rosarno. «Come Caritas abbiamo cominciato ad assistere anche i rosarnesi, non solo ai migranti». Il futuro è un’incognita. «La gente si chiede come farà, come si potrà affrontare un’altra stagione di raccolta». La marea nera di braccia lavoratrici tornerà. Scenderà con i treni dalla Puglia. Un altro inverno in arrivo. Rosarno attende.

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