Modernizzare la rappresentanza. È questa la scommessa riuscita alle cinque grandi sigle che lunedì 10 si sono associate nel Patto del Capranica. Confcommercio, Confesercenti, Cna, Casartigianato e Confartigianato assommano 4,5 milioni di imprese e 14,5 milioni di addetti. Costituiscono un pezzo portante del sistema economico italiano, e questi nomi lo documentano senza possibilità di smentita. La scelta di farsi rappresentare da un portavoce unico (la scelta è caduta su Carlo Sangalli), di «dare voce comune e identità, visibilità, capacità di rappresentanza e rappresentazione» all’Italia dell’impresa diffusa è una scelta coraggiosa e di discontinuità. Significa superare la frammentazione, darsi obiettivi meno parcellizzati e ben più impegnativi e ambiziosi. In un momento di crisi come quello che stiamo vivendo il Patto di Capranica rappresenta un segnale in assoluta e sorprendente controtendenza. I momenti di crisi sono quelli in cui ciascuno cerca di presidiare i perimetri e non perdere posizioni. Il fatto che cinque soggetti dalla lunga storia e da una storia fatta spesso anche di scelte di conservative abbiano invece fatto saltare i recinti e abbiano iniziato una strada in comune deve far riflettere. La prima riflessione riguarda il tessuto sociale e produttivo di un Paese che è molto più vitale di quanto molti suoi interpreti non suppongano. Ma non si tratta di sola determinazione nel lavorare, di sola cultura del fare. Il Manifesto con cui hanno dato contenuti al Patto siglato, rivela una capacità di visione che tiene insieme intelligenza e valori. Il “popolo del fare impresa”, come con una punta di legittimo orgoglio si definiscono, sono il volto di un’Italia che non ha nessuna intenzione di soccombere fatalisticamente sotto le grandi manovre dell’economia globale, né di restare in balìa della vecchia politica, perpetuando gli eterni riti della concertazione. Per questo, per essere più forti hanno fatto leva proprio sulla scelta di una nuova rappresentanza. E proprio qui si dimostra la bontà della strada intrapresa. Non si tratta di una semplice convergenza di interessi, di individuare i minimi comuni denominatori su cui costruire tratti d’azione comune. Una rappresentanza nuova comporta anche una nuova rappresentazione di sé (non è un caso che nel Manifesto le due parole vengano accostate). Significa sapere dove si vuole andare mettendosi insieme: darsi una nuova autocoscienza. Il che comporta anche che ci si candidi a suggerire scelte e rotte che riguardano tutta la collettività.
È un’indicazione che dovrebbe far riflettere anche il terzo settore italiano, che al pari del “popolo dell’impresa diffusa” costituisce un tessuto vitale che garantisce coesione sociale e produce in questo modo ricchezza. Ma a volte resta prigioniero delle parcellizzazioni e non riesce a dare quella rappresentazione di sé che ne farebbe modello e riferimento per i comportamenti e le scelte collettive. Il Patto del Capranica suggerisce che il coraggio di una discontinuità alla fine rende tutti più forti e più consapevoli.
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