Mondo

Lager e pagode su carta patinata

La Birmania è oppressa dalla dittatura, l’opposizione raccomanda ai turisti occidentali di non portarle sostegno. E la nostra stampa che ti fa? Foto accattivanti e reportage che [...]

di Alfredo Somozza

La stampa turistica italiana ha decretato recentemente, con alcune sfumature, la ?normalizzazione? della situazione politica in Birmania, il Paese delle pagode d?oro che, in realtà, continua a essere afflitto da una pesante dittatura militare, come dimostrano le continue persecuzioni cui è sottoposta il Nobel per la pace Aung San Suu Kyi. L?osservatorio sulla stampa turistica di Aitr, l?Associazione italiana turismo responsabile di cui sono presidente, ha censito tra giugno e luglio sei articoli centrali e un supplemento speciale (Airone) dedicati al Paese asiatico. Il quadro che ne emerge è preoccupante (vedi box). Con diversi toni si invita a recarsi in Birmania, dove sarebbe in atto una ?liberalizzazione?, una ?apertura?, un ?allentamento della morsa? dei militari. Addirittura, ed è il caso più inquietante, Airone, che pur in passato aveva accolto la richiesta avanzata dall?opposizione birmana di boicottare il turismo finché non fosse ristabilita la democrazia, afferma che «adesso, all?interno dell?opposizione, c?è chi sostiene che il benessere portato dai turisti non lavora per la dittatura ma spinge la gente a chiedere di più e rafforza l?opposizione». Peccato che l?unico operatore suggerito dalla nota rivista sia ?Kel 12-Dune? di Mestre, specializzato in viaggi di taglio ?avventuroso di lusso? che escludono il contatto con la popolazione locale se non in condizioni di subalternità. E la cronaca di questi giorni smentisce quanto affermato da Airone: l?opposizione ha reiterato il 27 luglio l?invito a boicottare il turismo in Birmania. Il caso Birmania non fa che confermare un malcostume generalizzato, emerso chiaramente da una ricerca sulla stampa turistica italiana condotta dall?Icei (Istituto di cooperazione economica internazionale) di Milano nel 1997. Purtroppo, in questo importante settore editoriale, il giornalista è costretto ad allinearsi alla linea suggerita dagli inserzionisti che, più ancora dei lettori, sostengono economicamente la testata. L?etica diventa quindi un optional e si può arrivare anche ad adoperare la toponomastica del regime, come fa la rivista Viaggiare, che accetta tranquillamente di ribattezzare la Birmania Myanmar e la sua capitale Yangon. L?inchiesta giornalistica che mette a fuoco aspetti positivi e negativi delle destinazioni turistiche pare invece un genere sconosciuto. Sempre di più la stampa turistica si riduce alla riproposizione dei redazionali distribuiti dagli uffici stampa di tour operator, enti del turismo e compagnie aeree e mai vengono date informazioni per contattare la realtà locale o per muoversi al di fuori dei circuiti 4-5 stelle. L??operazione Birmania? coincide con la privatizzazione delle infrastrutture (alberghi, trasporti) costruite negli anni passati dalla dittatura al potere, con largo uso della manodopera dei detenuti politici. Queste strutture, sorte in luoghi precedentemente chiusi al turismo, hanno reso la Birmania una destinazione appetibile per le multinazionali del settore, complice anche il costo irrisorio della manodopera locale. Anche il regime punta fortemente all?apertura al turismo internazionale perché è fonte di valuta pregiata e perché può aiutare a fare dimenticare le gravi violazioni dei diritti umani di cui i militari si sono macchiati e il ruolo chiave del Paese nel traffico di eroina. Chi in Birmania si sta battendo per la democrazia merita tutto il nostro rispetto e la nostra solidarietà. Come dichiarato recentemente dal Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi, «quando la Birmania sarà un Paese democratico, i turisti saranno benvenuti e potranno, senza cattiva coscienza, godersi in pace il loro soggiorno». «Andate in Birmania, paese senza storture» Le guide turistiche più vendute del mondo, le australiane Lonely Planet (edite in Italia da Edt), nella prefazione al volume ?Birmania? premettono un discorsetto del tipo: vi diamo tutte le informazioni su questo splendido Paese, però sarebbe meglio che non lo visitaste, almeno finché sarà governato da una terribile dittatura. Oppure, se ci andate, fate almeno in modo che a trarre frutto della vostra presenza, in termini economici e umani, sia la popolazione locale. E in Italia, invece, che cosa si scrive? Ecco una triste antologia di brani apparsi sulle riviste nostrane. AIRONE, supplemento luglio 1998 – «Finora la Lega nazionale per la democrazia ha invitato i turisti a non recarsi in Birmania per colpire la politica economica della giunta militare. Ma adesso al suo interno c?è chi sostiene che il benessere portato dai turisti non lavora per la dittatura, ma spinge la gente e chiedere di più, crea aspettative crescenti e rafforza l?opposizione». I VIAGGI DI REPUBBLICA, 21.5.98 – «Un paese fermo, chiuso al resto del mondo. È stata la rigogliosa natura, prima ancora del governo militare, a decidere questo destino… Ora che spira una brezza di rinnovamento e di cauta apertura, anche la capitale, l?unica vera porta d?ingresso nel paese, ha cambiato nome: da Rangoon a Yangon». VIAGGIARE, 7.1998 – «Oggi il paese non vive più nell?isolamento: si è aperto al turismo, si è chiamato nuovamente Myanmar (il suo nome originale) ed è quello rimasto più ?intatto? sia dal punto di vista naturalistico, sia da quello culturale. Qui, tanto per fare un esempio, è sconosciuta la piaga del turismo sessuale e il fenomeno della prostituzione è praticamente assente. Andare oggi in Myanmar, significa arrivare in un mondo dove non esistono quelle storture che siamo abituati ad osservare in alcuni paesi vicini, forse troppo invasi dai costumi (e malcostumi) obbligatoriamente portati dal turismo. Una terra in parte ancora realmente ?non contaminata?. Dove la convivenza di etnie diverse, nel rispetto delle reciproche tradizioni e religioni, ne fa un laboratorio di società multietnica». torna su


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