Mondo

Dal nostro inviato tra i curdi in fuga

Nonostante i problemi cardiaci, il fondatore di Emergency è tornato a salvare chi è falcidiato dalle mine. «Non chiedetemi perché fuggono in Italia. Ma se volete saperlo...»

di Cristina Giudici

Di sé dice «Sono solo un macellaio», ma il chirurgo di guerra di Emergency, Gino Strada, è un uomo che ha costruito un vero impero di pace. E dall?ospedale di Sulaimaniya, sorto nel nord del Kurdistan iracheno, controllato militarmente dal Puk di Jalal Talabani, continua a sfidare tutti: il regime di Saddam Hussein che sulla sua testa, e quella dei suoi collaboratori, ha messo la taglia di 10 mila dollari, i signori della guerra che hanno seminato il Kurdistan di 10 milioni di mine antiuomo, soprattutto di fabbricazione italiana, e il senso comune che gli consiglierebbe di tornare a casa a curare il suo cuore malandato. Ma lui, ostinato, nonostante il by pass conficcato nel cuore non si arrende e continua a operare, a riabilitare i civili e combattenti delle tante guerre che si incrociano sul suolo iracheno del Kurdistan autonomo. «Qui non c?è una guerra sola: c?è l?embargo delle Nazioni Unite contro l?Irak e c?è l?embargo dell?Irak contro il Kurdistan; c?è il conflitto armato che oppone le due fazioni curde, il Puk di Talabani e il Pdk di Massud Barzani. E infine c?è la guerra delle mine che continuano a sventrare innocenti», ci dice dal telefono satellitare installato nell?ospedale. «Ora che i combattimenti si sono placati ed è arrivata la neve, chi può scappa, ma parlare di esodo curdo mi sembra una parola forte. Volete sapere perché scappano? Perché i confini sono chiusi, perché senza contrabbandieri qui non arrivano neanche gli antibiotici, perché la pace non arriva mai, perché ci si ammazza fra nemici, ma anche fra fratelli, e quando le armi tacciono sono le mine a parlare. E perché, in fondo a questo tunnel, per i curdi non c?è nessuna luce». Strada fino al 1987 lavorava come chirurgo al Policlinico di Milano finché è finito in Afghanistan, a prestare la sua ?mano? alla Croce rossa internazionale. Nel 1994 ha fondato Emergency, una struttura agile e specializzata per fornire assistenza medica ai civili colpiti dalle mine in Ruanda, in Angola, in Cambogia. Ha fatto raccapricciare tutti i suoi connazionali con le immagini di corpi di bambini sventrati dalle mine in tutto il mondo. Oggi, a Sulaimaniya, sente il polso delle emozioni e dei sogni delle centinaia di curdi che arrivano stremati in Italia, per chiedere asilo. «Quando ti arriva un dolore pazzesco al torace, non è difficile capire di cosa si tratta, specie se sei medico», aveva scritto di sé recentemente, «ma, nel caso, sei un medico di guerra, di una delle tante guerre di cui si parla poco. E nel tuo caso ti chiami Gino Strada, hai 48 anni e sei a Sulaimaniya, nel Kurdistan iracheno, dove tutti gli ospedali hanno sbaraccato, e non ci sono medicine. Il tuo no, perché è specializzato nell?assistenza a chi salta sulle mine, e quindi non ci sono medicine adatte». Strada è perentorio: «Non venitemi a chiedere perché i curdi scappano, ma chiedetevi perché non sono scappati prima. Ogni giorno vengono qui, all?ospedale a chiedere informazioni per sapere cosa stia facendo il governo italiano e per sapere se sta concedendo asilo politico. Sono soprattutto giovani e appena possono se ne vanno. Ogni giorno le autorità curde al confine fanno passare almeno 15 persone, ma quando si può si paga i contrabbandieri per andare in Turchia attraverso le montagne». Con Gino, ci sono nove volontari italiani e 600 curdi. Insieme fanno funzionare un ospedale che, dice Strada «farebbe impallidire d?invidia i miei colleghi milanesi. A volte lavoriamo 20 ore di fila, senza sosta. Qui curiamo civili e qualche combattente delle due fazioni curde, ma quando c?è un conflitto e anche noi siamo sotto tiro, non chiediamo ai feriti la loro carta d?identità perché abbiamo fatto una scelta di neutralità». Ora è finita anche la costruzione di un altro ospedale a Erbil, nella parte del Kurdistan controllato dal Pdk di Massud Barzani, dove Emergency vuole aprire anche un reparto pediatrico. Il nemico più insidioso di Gino Strada è sempre stata l?angoscia: l?angoscia del dolore, della morte, della guerra, della paura che a volte si trasforma in panico, durante i momenti di pericolo. Un pericolo che non lo abbandona mai perché i due ospedali, il centro di riabilitazione, i posti di pronto soccorso nelle zone di montagne sono tutti clandestini: «Entriamo in Kurdistan illegalmente, ma non vi posso dire da dove, e se un giorno verremo fermati da qualche soldato di Saddam Hussein finiremo male, molto male perché il codice penale iracheno prevede la pena di morte per chiunque collabori con degli stranieri. In ogni caso non valiamo molto, visto che la taglia che hanno messo sulla nostra testa è solo di diecimila dollari». Nel suo diario dal Kurdistan così scrisse Gino Strada nel settembre del 1996: «Il villaggio di Degala è sotto i colpi di cannone. Un razzo centra il cavo dell?alta tensione. Jamal Hama, 18 anni, riconosce le urla di un amico, va a soccorrerlo ma tocca il cavo che lo scaraventa a 15 metri più in là. A Sulaimaniya arriva in condizioni disperate e per salvarlo dobbiamo amputargli il braccio e la spalla, carbonizzati. Si rimette ma non può più camminare. Per Farad, invece, è una mina antiuomo a dilaniarlo, una mina che sembrava un barattolo e che lui voleva vendere al mercato. All?ospedale di Emergengy gli vengono amputate entrambe le gambe. Ora Jamal e Farad vivono nella stessa stanza d?ospedale. Farad è famoso perché sulla sua sedia a rotelle sfreccia velocissimo e così si è guadagnato il sopranome di Schumacher. Jamal invece, che non riesce a mantenersi in equilibrio, si appoggia alla carrozzella del suo amico e si guadagna il nome di Turbo. Ora corrono insieme per l?ospedale. Ma quale futuro ci può essere per due handicappati curdi in un paese che vive di espedienti e non offre altro lavoro che quello della guerra? Così nasce l?officina Schumacher-Turbo, che produce stampelle, protesi e carrozzelle». Nell?ospedale di Sulaimaniya dal novembre del ?96 Strada e i suoi collaboratori hanno curato ambulatorialmente 4500 persone e operato 1230 feriti. Durante l?offensiva turca dello scorso ottobre hanno lavorato 24 ore al giorno senza sosta, né riposo. Per Gino Strada i requisiti di un buon medico di guerra sono : una piccola vena dove guizza un po? di follia, molta sensibilità per ascoltare gli altri. Eroe per caso, ultimo dei mohicani, uno con le palle, o semplicemente un medico chirurgo che ha scelto di fare il lavoro che gli piace, Gino Strada è soprattutto un uomo che cade sempre nella tentazione di resistere a tutti i costi, perché al dolore della guerra, come dice lui, non ci si abitua mai. «Fra qualche settimana me ne tornerò in Italia per qualche mese, ma prima dovrò andare su, in montagna, dove gli abitanti di un villaggio mi hanno preparato un banchetto e ammazzeranno una capra per l?occasione. Sì, perché i curdi sono persone straordinarie, e non è un banalità. Per loro, lasciare che un amico se ne vada senza un degno commiato è un delitto. Per il momento spero solo che smetta di nevicare perché è più difficile individuare i terreni minati quando c?è la neve. Ma non chiedetemi perché i curdi scappano e vengono in Italia, sennò vado su tutte le furie». La sfida di Emergency Dieci milioni di mine antiuomo L?ospedale di Sulaimaniya, nel Kurdistan iracheno, ha aperto i battenti nel febbraio 1996. E dal dicembre 1997, è pronto anche quello di Erbil. Entrambi sono situati in territori di guerra controllati dalle due fazioni avversarie del Kurdistan, ma Emergency, organizzazione non governativa nata nel 1994 per portare assistenza medica alle popolazione civile colpita dalle mine antiuomo in moltissimi Paesi del Sud del mondo, non si è certo tirata indietro. Gino Strada e la sua équipe di tecnici sono entrati illegalmente nel Paese, sfidando i divieti del regime dittatoriale di Saddam Hussein per portare aiuto alla popolazione civile curda, perseguitata, ma anche afflitta da 10 milioni di mine antiuomo. Oltre ai reparti destinati agli interventi chirurgici, a Sulaimaniya c?è anche un centro di riabilitazione soprattutto per i bambini dilaniati dalle esplosioni, e un centro di formazione professionale per insegnare un mestiere ai ragazzi disabili. Diversi i laboratori in cui i ragazzi lavorano il legno, l?alluminio, la pelle e la plastica per costruire le protesi, stampelle, carrozzelle destinate a altri pazienti. A Erbil, se i finanziamenti e gli aiuti internazionali lo permetteranno, verrà aperto anche un reparto pediatrico. L?ultimo progetto di Emergency è vitale per i curdi che, soggetti a un doppio embargo, quello delle Nazioni Unite e quello dell?accerchiamento iaracheno, non hanno ospedali, medicine e medici a cui ricorrere. Per aiutare Emergency, potete versare contributi sul ccp 28426203 intestato a Emergency, via Bagutta 12, 20121, Milano. Oppure telefonare allo 02/76001104.


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