Formazione

Malvenuti nel Bel Paese

Messi su in fretta e furia fra Sicilia, Calabria e Puglia, assomigliano molto a campi di concentamento. Ospitano migliaia di clandestini ridotti alla disperazione. Intorno a loro, solo filo spinato...

di Gabriella Meroni

Arrivano senza sosta, a migliaia, come ormai succede da molte estati. Vengono dal Marocco, dalla Tunisia, dalla Sierra Leone, dal Kosovo, dal Kurdistan. Sono una parte dei 6 milioni di disperati che pagano ogni anno, secondo stime internazionali, oltre 12 mila miliardi di lire a trafficanti senza scrupoli che promettono loro una vita diversa in Occidente. Ma non è detto che la trovino. Molti di loro muoiono ancora prima di vedere le nostre coste (come gli otto annegati al largo di Lampedusa o i cinque asfissiati per l?incendio di una nave a Genova), altri finiscono i loro giorni in carcere, dopo essersi ribellati a ?campi di accoglienza? simili a lager (come il capo della rivolta di Agrigento, il ?cinese? Saber Abdelh). La maggior parte rimane lì, nei 16 centri di raccolta messi su in fretta e furia dal governo disattendendo le indicazioni di una legge ancora fresca, aspettando di conoscere la propria sorte. Una situazione disastrosa, quella che si sta verificando nel Sud d?Italia, i cui contorni non sempre sono stati descritti con chiarezza dai giornali. Più attenti alle dichiarazioni di questo o quel ministro che a far emergere il dramma di migliaia di persone (tra cui tanti, troppi bambini) che arrivano da noi indebitandosi fino al collo, convinti di trovare un futuro diverso. E che invece dovranno tornare tutti (o quasi) a casa. Ma non si doveva risolvere tutto con la nuova legge approvata a marzo? Proprio per cercare di fare chiarezza siamo andati a vedere qual è la situazione dei centri di raccolta, e abbiamo interpellato chi con gli immigrati sta vivendo ogni giorno, per capire cosa c?è dietro questa ennesima emergenza annunciata.

Qui Sicilia
Benvenuti in Sicilia, la terra dove i centri di raccolta per gli immigrati nascono dalla sera alla mattina. Per far fronte ai continui sbarchi dei clandestini, la legge prevedeva che fossero creati degli appositi centri di permanenza in cui identificare, entro 30 giorni, i nuovi arrivati e rimandarli ai loro Paesi di origine. Ma a metà luglio era attivo soltanto il centro di Trapani. Così gli altri 10 campi ?di concentramento? (definizione certamente più vicina al reale), con tanto di filo spinato ai muri, sono sorti nel giro di una settimana, uno per provincia (ma due ad Agrigento e Ragusa). Questa l?unica certezza che regna sull?isola. Sul resto, e specialmente sul futuro che attende i 1500 clandestini (ma quanti saranno domani?) che vi si trovano, nessuno sa nulla. «A settembre ricomincia la scuola? Lo so, è un problema» allarga le braccia il dottor Cassisi, capo di gabinetto della prefettura di Ragusa, dove quasi 200 persone sono ammassate in due palestre scolastiche. Quando se ne andranno? E chi lo sa. Prima bisogna identificarli, poi rimpatriarli, operazione resa molto difficoltosa dal fatto che spesso gli immigrati danno false generalità e mentono anche sul Paese di provenienza. «I rimpatri sono difficili», riconosceva anche il presidente Prodi sul ?Corriere? del 31 luglio. «Siamo in attesa di disposizioni», ripetono in questura. E intanto poco lontano, a Siracusa, dove 350 immigrati occupano un?altra scuola, i genitori dei ragazzi hanno già protestato: trovate un?altra sistemazione, altrimenti i nostri figli come faranno? La sistemazione per il momento non c?è, e si tira a campare. Ma la tensione si fa sempre più alta. «Il fatto di essere rinchiusi rende nervosi gli immigrati, che vogliono sapere cosa avverrà di loro» spiega don Giuseppe D?Oriente, responsabile della Caritas di Agrigento, sede del campo più ?caldo?. «Altrimenti la situazione diventerà ancora più esplosiva. Non si possono tenere le persone in questi capannoni surriscaldati dal sole. L?emergenza è stata gestita senza un?idea chiara, senza programmazione, si aspettano solo gli eventi e poi li si inseguono in maniera maldestra». «Le informazioni che diamo agli immigrati sono le stesse che leggiamo sui giornali» conferma Marco Lorenzo, delle Misericordie di Caltanissetta, nel cui campo c?è stato nei giorni scorsi un tentativo di fuga in massa che ha provocato due feriti. «Noi ci adoperiamo per rendere più confortevole la loro permanenza, gli portiamo perfino il gelato. Secondo me non sono violenti, solo esasperati dall?attesa». Ma non sono gli unici. Anche tra le forze di polizia comincia a serpeggiare un atteggiamento critico sull?andamento dell?intera operazione. Come ci racconta un funzionario della questura di Agrigento che chiede di non essere nominato: «I centri scoppiano perché si è scelta un?applicazione molto rigorosa della legge che prevede l?identificazione degli immigrati uno per uno per poi rimandarli ai loro Paesi. E intanto gli sbarchi continuano. Ormai nelle questure siciliane l?attività è bloccata, facciamo solo identificazioni. A ranghi ridotti, oltre tutto, perché quasi tutti gli uomini disponibili sono distaccati ai campi per fare vigilanza. Il 14 agosto i primi arrivati dovranno lasciare il campo, e se non saremo riusciti a identificarli riceverano solo un?intimazione a lasciare l?Italia». E i volontari, dove sono? Vi aiutano? «Non me ne parli. I volontari sono troppo pochi. Pensi che la prefettura ha dovuto fare una convenzione con una ditta di catering, di quelle che fanno i banchetti di nozze, per portare i pasti, e questi clandestini vivono come animali. Spero nella mia vita di non trovarmi mai in una situazione simile alla loro».

Qui Puglia
A parte la triste barzelletta sugli albanesi, che è cambiata, per il resto in Puglia tutto è uguale; la tragedia degli immigrati illegali non accenna a placarsi. Si dice infatti che i clandestini di Tirana con 800mila lire si comprino biglietto di andata e ritorno perché non fanno a tempo a scendere dal gommone che sono già di nuovo a Valona. Purtoppo, però, i centri di Lecce scoppiano. Gli illegali arrivano dal mare, da terra, da altri centri chiusi perché inagibili, da nuovi campi da più parti definiti come lager. Insomma, l?esodo continua. Al centro di prima accoglienza Regina Pacis di Lecce, trasformato dalla nuova legge in un centro di permanenza temporanea, i nuovi arrivati si mescolano a quelli ancora in attesa di una destinazione. Fuori ci sono otto uomini delle Forze dell?ordine; dentro, per ora, 313 persone fra uomini, donne e bambini assistiti dai volontari della Caritas. Don Cesare Lodeserto, responsabile del centro, esprime il proprio sentimento di impotenza: «Cosa vuole che facciamo, cerchiamo di rendere compatibili le diverse nazionalità, impedire che scoppino conflitti. Li assistiamo, chiedendo loro di avere pazienza. Vengono dall?Afghanistan, Iraq, Serbia, Iran, Turchia. Molti hanno chiesto asilo poltico, ma più i tempi si allungano e più si incattiviscono. Per quanto mi riguarda aprirei i cancelli, tanto prima o poi scappano; le autorità non possono risolvere il problema e intanto la tragicommedia va avanti. La città fa finta di niente perché anche la solidarietà va in vacanza. Certo, quando li portiamo al mare allora se ne accorgono tutti e i bagnanti inorridiscono…». Parole che pesano come macigni quelle di don Cesare, che riflettono l?amarezza, sua e di tutti coloro che portano solidarietà nei campi trasformati in carceri. «Mi auguro che il centro chiuda presto», dice don Cesare, «che questa gente non debba vivere scapppando e che un giorno la Puglia non debba più caricarsi sulle spalle le colpe dell?intera Nazione». Sempre a Lecce è nato da nulla un altro centro, gestito dall?associazione Ctm-Movimondo, che nei mesi scorsi aveva presentato un progetto da realizzare in un?aerea dismessa. Si doveva chiamare ?Villaggio della solidarietà? e in un lampo è diventato Lorizzonte, come l?ha chiamata il presidente di Movimondo, Vinicio Russo. «La prefettura ci ha chiamato e ci ha detto ?Tutto ok per il vostro progetto. Avete 54 posti per questa sera??: nel giro di pochi giorni sono diventati 200. Fuori ci sono le Forze dell?ordine che piantonano, dentro ci siamo noi che facciamo il possibile per rendere loro sopportabile la prigionia. La prefettura in compenso non mette una lira e noi ci indebitiamo per alimentarli».
Intanto nell? aeroporto militare Palese di Bari il numero degli occupanti è salito a 191. «Vengono tutti dal Kosovo», asserisce il comandante del campo, colonnello Tarantini. «Ma è la questura a decidere tutto, ci hanno detto che questo diverrà un centro di smistamento, comunque noi siamo qui a titolo volontario». Tonino Silvestri, volontario di protezione civile, sbotta: «Questo è un vero lager, con tanto di filo spinato e muro di recinzione. Sono ammassati dentro le roulotte che bollono, l?asfalto cuoce, ci sono pidocchi, scabbia e 64 bambini sono in pericolo, alcuni sono stati colpiti dalla gastrointerite e all?ospedale non ne vogliono sapere. Hanno messo anche albanesi e serbi del Kosovo nella stessa roulotte, cose da pazzi. Noi portiamo schede telefoniche e con l?ambulanza li portiamo nei posti medici, ma ci fa rabbia che nessuno si è fatto vedere. Questo è un posto isolato e nessuno vede come sono conciati questi poveracci». A Brindisi invece, nella ex caserma Caraffa, allestita per l?ultimo esodo degli albanesi, non c?è ombra di volontario: tutto è stato lasciato in mano alla prefettura. La dottoressa Clara Minerva, funzionaria della prefettura, dice: «Gli immigrati presenti al campo sono stati rintracciati a Lecce, vengono dal Kosovo e hanno un permesso di soggiorno temporaneo per motivi di asilo. Stano aspettando la diaria di 25 mila lire della prefettura per andare nei centri di accoglienza o presso parenti».

Qui Calabria
In Calabria il centro di permanenza temporanea installato nella scuola Antonio Rosmini di Crotone è stato chiuso. I 115?ospiti?, in maggioranza curdi, hanno ottenuto il permesso provvisorio di soggiorno in attesa di essere riconosciuti come rifugiati politici. La popolazione locale ha gareggiato a portare la propria solidarietà e alcuni di loro sono stati ospitati nel paesino di Corfizzi dove 15 minorenni aspettano di ricongiungersi con i parenti in Italia e NordEuropa. A Lamezia Terme, nella sede della cooperativa ?Malgrado tutto?, continuano ad arrivare gli illegali ?blindati? dai centri della Sicilia. Cinquanta marocchini e cento di diverse nazionalità. La responsabile Teresa D?Attilo afferma «Nel centro c?erano già 42 curdi che hanno ottenuto asilo politico, ma non abbiamo avuto problemi di convivenza e anzi la popolazione sta dimostrando la propria generosità. I centri sono piantonati e per le persone proveniente dal Marocco non ci sono speranze. Verranno sicuramente respinti tutti».

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