Fondazioni di impresa

Filantropia mitteleuropea

Generali, big delle assicurazioni e non solo, ha messo in campo un braccio sociale da 15 milioni di euro all'anno: The Human Safety Net, che si occupa di inclusione lavorativa dei rifugiati e di sostegno alle famiglie fragili con bambin 0-6 anni. Abbiamo intervistato il segretario generale, Emma Hursich

di Giampaolo Cerri

Quelle che segue è la versione integrale dell’intervista comparsa nel numero di aprile del magazine e dedicato alla filantropia corporate, Fondazioni Spa. Si tratta di una conversazione con Emma Hursich, segretario generale di The Human Safety Net, la fondazione di Generali. Una realtà che, nel 2021, ha erogato 6,2 milioni di euro: 3,1 milioni di euro a favore dei progetti per le famiglie ed i rifugiati, 2,2 milioni di euro dalle business unit di Generali in 23 Paesi. A Trieste, sede della storica compagnia ma anche della fondazione che pure ha anche un bellissimo palazzo a Venezia, considerano poi giustamente il valore del volontariato d’impresa utilizzato nei progetti: calcolato secondo i criteri del Bussiness for social impact – B4si è stato pari a 892mila euro. The Human Safety Net inoltre ha gestito nei suoi progetti risorse da co-finanziatori e partner esterni per 3,7 milioni di euro.

Nel Bilancio sociale, uscito da poco, si legge che le risorse interne sono salite nel 2022: 10,1 milioni, composti da 3,6 milioni dalla fondazione, 5,5 milioni dalla business unit Generali, mentre le ore di volontariato – 36mila – sono state valorizzate a 1 milione. Non poche anche le risorse esterne: 1,1 milioni arrivati dalla raccolta fondi e 3,8 milioni cofinanziati dalle organizzazioni partner. Per un totale di 15 milioni.

Dal Bilancio sociale 2022 di The Human Safety Net

Parliamo di Governance, Ursich, quali sono le relazioni con l’azienda madre? A chi “riportano”, i vertici della vostra fondazione? Qual è il grado di autonomia con cui la vostra realtà opera?

The Human Safety Net è nata cinque anni fa, con l’intento di dare una missione internazionale a quella che era la Fondazione storica di Generali, che ha sempre avuto un focus più italiano. È un ente filantropico, quindi iscritto al Registro unico del Terzo settore – Runts dall’inizio di quest’anno. Ha un suo statuto, i suoi obiettivi e una strategia che abbiamo delineato in un percorso condiviso con gli stakeholder. Io, come segretaria generale, riferisco al board della Fondazione, a cui porto le richieste di erogazione.

Anche senza evocare il rischio di green e socialwashing, le legittime esigenze di marketing e di comunicazione dell’azienda madre, possono riverberarsi nell’azione della fondazione corporate. È un tema che sentite come reale?

Abbiamo la fortuna di avere alle spalle una grande organizzazione come Generali per amplificare il nostro impatto sociale; l’importante è essere basati sui bisogni, misurare il ritorno e cercare di mettere a disposizione tutte le leve per migliorare la vita delle persone. Penso che il nostro possa essere un buon esempio di collaborazione tra profit e non profit: non intendiamo essere un doppione o un’aggiunta, ma creare valore proprio per chi siamo e per quello che possiamo portare, come competenze, come conoscenze e come rete.

La scelta delle persone è un momento importante nella nascita e nello sviluppo di una fondazione. Sempre più spesso si registra la ricerca di profili con un marcato background socio-ambientale o filantropico. Qual è la vostra esperienza?

Ci piace mescolare: noi abbiamo nei nostri team persone che provengono sia dal mondo del profit che del non profit. In particolare, nei programmi, tutti hanno avuto esperienze pluriennali sul terreno, anche all’estero, nelle onlus o nelle fondazioni. Per noi questo è importante, perché permette di lavorare meglio, di mettersi nei panni di chi sta dall’altra parte e di individuare più facilmente i bisogni, non solo in termini di fondi, ma anche di capacity building.

Qual è il vostro modello di fondazione? Come è stato scelto?
È frutto di un’idea precisa, ex-ante, o si è andato assestando/perfezionando nel tempo? E come?

Su questo tema dobbiamo molto al nostro management, che ci ha dato l’opportunità di riflettere, partendo da quello che fa Generali, che si occupa delle persone e le aiuta nella realizzazione dei propri sogni, su quello che può essere il nostro impegno e di essere ambiziosi nel farlo. Con Simone Bemporad (attualmente a capo della comunicazione del gruppo Generali, ndr) abbiamo lavorato insieme a tutta la comunità di Generali per rendere reale e concreta questa visione della rete di persone che aiutano persone: così è nata The Human Safety Net che, come la casa madre, ha voluto concentrarsi su coloro che non hanno una rete di protezione attorno a sé.

Il posizionamento, come è stato definito? Più in generale, come si decidono le aree di intervento? È un’idea che nasce dentro la fondazione?

All’interno della nostra visione, che è molto ampia, ci siamo dati una serie di parametri per definire il nostro ruolo. Innanzitutto, ci siamo detti che vogliamo essere presenti dove è presente Generali, nei territori di cui già conosciamo i bisogni. Abbiamo fatto un percorso coi dipendenti per delineare le aree su cui avremmo potuto concentrarci: così siamo arrivati a definire due temi, il sostegno all’inclusione lavorativa dei rifugiati e alle famiglie vulnerabili con bambini da zero ai sei anni. Nella scelta, ci siamo avvalsi di un comitato interno, formato da colleghi, ma anche di un comitato scientifico esterno.

Un tema molto “caldo”, per il non profit che collabora col mondo filantropico, è quello della programmazione. Prevedete il coinvolgimento del Terzo settore o operate direttamente? E, nel primo caso, come individuate gli enti non profit da coinvolgere?

Siamo partiti nel 2017 e adesso siamo presenti in 26 Paesi e abbiamo 77 partner. Sono quasi tutti con noi fin dall’inizio, perché l’idea è di conoscersi, non di lavorare per bandi: insieme ai colleghi sul territorio cerchiamo di capire chi, all’interno della comunità, è già posizionato in quello spazio in cui vogliamo entrare, che tipo di lavoro sta facendo e come possiamo essere utili. Di solito è un percorso che si fa assieme: i nostri contratti di filantropia durano tre anni e stabiliscono, assieme alla donazione, anche un’attività di accompagnamento.

Valutazione degli esiti: la applicate e come? Chiedete alle realtà partner di farlo? Quanto è importante, per voi, misurare l’efficienza gestionale e con quali strumenti lo fate?

Abbiamo cercato di sviluppare un sistema di misurazione che funzionasse al meglio  senza essere troppo complesso per le controparti e che fosse in grado di aggregare i dati dei 77 partner, pur nelle loro diversità, in un unico portafoglio d’impatto. Abbiamo tutta una serie di strumenti, sia per chi lavora con noi sia al nostro interno, per capire se il progetto sta funzionando e, in caso contrario, l’obiettivo per noi non è soltanto cambiare i numeri, ma capire come agire insieme per rivedere il percorso e migliorare.

Ha collaborato Veronica Rossi


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