Europa
Sostenibilità, l’Ue sceglie gli standard (e dà più tempo alle Pmi)
La Commissione Europea adotta gli standard di rendicontazione sulla sostenibilità. Per l'entrata in vigore degli obblighi punta sulla gradualità, ma si comincia dal gennaio 2024
di Alessio Nisi
Sono 12 standard che coprono l’intera gamma della sostenibilità: dalle questioni ambientali, sociali e di governance, compresi i cambiamenti climatici, la biodiversità, l’economia circolare, le risorse idriche e marine, ai diritti umani. Sono i temi a cui le imprese devono fare riferimento per integrare nei propri bilanci le informazioni relative alla sostenibilità. Dati che forniranno anche informazioni preziose agli investitori per comprendere l’impatto sulla sostenibilità delle società in cui investono.
Trasparenza e sostenibilità nel mercato
Gli European Sustainability Reporting Standards – Esrs, i principi di rendicontazione di sostenibilità, sono stati adottati ieri dalla Commissione Europea, un passaggio chiave in vista dell’entrata in vigore (a inizio 2024) della Corporate Sustainability Reporting Directive – Csrd, la normativa europea che obbliga le aziende a pubblicare report dettagliati sui loro dati di sostenibilità, con l’obiettivo di ridurre il greenwashing, rafforzare l’economia sociale del mercato Ue e gettare le basi per standard di trasparenza sulla sostenibilità a livello mondiale.
Le società che sono tenute alla Csrd
Gli obblighi di segnalazione verranno introdotti gradualmente (la Commissione ha scelto la linea “morbida”) nel tempo per le diverse società. La direttiva non impone nuovi obblighi di comunicazione alle Pmi, ad eccezione delle Pmi quotate. Per le Pmi quotate, la direttiva prevede comunque un regime di rendicontazione proporzionato: le Pmi quotate non sono tenute a comunicare informazioni sulla sostenibilità fino all’anno finanziario 2026, con la possibilità di un ulteriore posticipo di due anni.
Nel dettaglio. I nuovi obblighi di trasparenza sulla sostenibilità si applicheranno a tutte le grandi imprese, quotate in Borsa o meno, e dovranno adeguarsi anche quelle estere che fatturano più di 150 milioni di euro nell’Unione europea. Anche le piccole e medie imprese dovranno adattarsi alle nuove regole, ma avranno più tempo per farlo. Secondo i dati comunicati da Bruxelles la raccolta e la condivisione di informazioni sulla sostenibilità diventeranno la norma per quasi 50mila aziende, quasi cinque volte tanto quelle coperte dalle attuali norme (11.700).
Il calendario
Le tappe previste dalla Csrd sono queste: si inizia il 1° gennaio 2024 quando scatterà l’obbligo per le aziende con più di 500 dipendenti (già soggette alla Direttiva sulla Dichiarazione Non Finanziaria), che dovranno pubblicare i dati entro il 2025. Il 1° gennaio 2025 sarà la volta delle grandi imprese non ancora soggette alla Direttiva sulla Dichiarazione Non Finanziaria (con più di 250 dipendenti o 40 milioni di euro di fatturato o 20 milioni di euro di attività totali): per loro la scadenza per la pubblicazione dei dati è fissata nel 2026. Da ultimo saranno coinvolte le Pmi e le altre imprese quotate per le quali è stata fissata la scadenza nel 2027 (le Pmi potranno però scegliere di non partecipare fino al 2028).
I contenuti
Gli European Sustainability Reporting Standards adottano una prospettiva cosiddetta di “doppia materialità”, ovvero obbligano le imprese a rendicontare sia sui loro impatti su persone e ambiente, sia su come le questioni sociali e ambientali creare rischi e opportunità finanziarie per l’azienda. Il primo standard (“requisiti generali”) stabilisce i principi generali da applicare nella rendicontazione secondo lo European Sustainability Reporting Standards e non stabilisce di per sé specifici requisiti di informativa. Il secondo standard (“Informazioni generali”) specifica le informazioni essenziali da divulgare indipendentemente dall’aspetto della sostenibilità preso in considerazione. È obbligatorio per tutte le società che rientrano nell’ambito Csrd.
Che vuol dire. Tutti gli altri standard e i singoli obblighi di informativa e punti dati al loro interno sono soggetti a una valutazione di materialità: clima, inquinamento, acqua e risorse marine, biodiversità ed ecosistemi, uso delle risorse ed economia circolare, personale proprio, i lavoratori nella catena del valore, comunità colpite, consumatori e utenti finali, condotta commerciale. Significa che la società riporterà solo le informazioni rilevanti e potrà omettere le informazioni in questione che non sono rilevanti per il proprio modello di business e attività.
Chi si rifiuta, spieghi
Gli obblighi di informativa soggetti alla materialità non sono volontari. Le informazioni in questione devono essere divulgate se sono rilevanti e il processo di valutazione della rilevanza dell’impresa è soggetto a garanzia esterna in conformità con le disposizioni della direttiva contabile. Gli standard impongono alle imprese di eseguire una solida valutazione della materialità per garantire che tutte le informazioni sulla sostenibilità necessarie per soddisfare gli obiettivi e i requisiti della direttiva contabile siano divulgate.
Se un’azienda conclude che il cambiamento climatico non è un tema materiale e pertanto non effettua la rendicontazione in conformità a tale standard, deve fornire una spiegazione dettagliata delle conclusioni della sua valutazione di materialità in relazione al cambiamento climatico. Questo requisito riflette il fatto che il cambiamento climatico ha impatti di vasta portata e sistemici in tutta l’economia.
La foto in apertura è di Appolinary Kalashnikova per Unsplash
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