Scappati dalla guerra e dalla fame, milioni di siriani rifugiati in Turchia sono poi stati colpiti dal sisma nel febbraio 2023. La loro condizione di profughi li ha resi ancor più vulnerabili e discriminati, soprattutto quando in famiglia c’è un bimbo con disabilità
«Sono scappata da Aleppo a novembre 2016. Non era più possibile restare in città, ci stavano uccidendo con ogni tipo di arma. Per tante notti non ho dormito, temevo di morire. Credevo di aver conosciuto il vero volto della paura. Poi ci siamo rifugiati qui a Gazientep e abbiamo ricominciato a vivere». Alae sospira mentre racconta la sua storia, senza mai smettere di sfregarsi le mani. Sotto le bombe ha perso alcuni familiari e amici e la sua tranquilla vita di giovane donna si è sgretolata come si sono sgretolati i palazzi, le scuole, gli ospedali, i siti archeologici di Aleppo e di altre città siriane. «Quando siamo fuggiti ero in attesa della mia primogenita e ho vissuto malissimo la gravidanza, tra terrore e privazioni. Mi chiedo sempre se la disabilità fisica di mia figlia non sia una conseguenza proprio di quello stato. Qui abbiamo trovato una condizione di sicurezza e stabilità che ci mancava da anni, nonostante lo status di profughi ci ponga di fronte a mille ostacoli. Non ci saremmo mai aspettati che un giorno sarebbe arrivato il terremoto a sconvolgere nuovamente le nostre vite».
Mi chiedo sempre se la disabilità fisica di mia figlia non sia una conseguenza di quello stato di paura che ho vissuto. Qui abbiamo trovato una condizione di sicurezza e stabilità che ci mancava da anni. Non ci saremmo mai aspettati che sarebbe arrivato il terremoto a sconvolgere nuovamente le nostre vite
— Alae
Mentre Alae si racconta le altre donne intorno a lei annuiscono e ognuna dice la sua. Sono tutte rifugiate siriane, madri di bambini con disabilità fisica e/o psichica che frequentano al Anees Center for Children with Special Needs, un centro che si trova a Gazientep, nella Turchia meridionale, dedicato proprio all’accoglienza e alla cura di minori siriani profughi con disabilità che non vengono accolti nei centri turchi specializzati. L’impossibilità di accesso alle strutture pubbliche locali è dovuta a motivi burocratici. Basta la non coincidenza tra domicilio e residenza o la mancanza di qualche documento per escludere i bambini dalla possibilità di essere presi in cura. La situazione era già critica prima del terremoto, ma il crollo di quasi 300mila edifici in Turchia ha peggiorato ulteriormente la situazione, perché molte famiglie siriane sono state nuovamente sfollate e si trovano ora in campi temporanei o in case diverse da quelle dove hanno ufficialmente la residenza. Questa concomitanza di situazioni ha aggravato pesantemente lo stato di isolamento e vulnerabilità dei piccoli siriani e delle loro famiglie.
Un terzo degli ospedali ancora inagibili
Secondo il ministero degli Esteri di Ankara il sisma ha provocato oltre 50mila vittime in territorio turco, tra cui oltre 7mila rifugiati, in prevalenza siriani e afghani, e 7mila in Siria, Paese già tanto duramente provato da anni di guerra. Ben 107mila persone sono rimaste ferite e/o mutilate. Quasi 300 persone risultano ancora disperse. Si stima che i danni causati dal terremoto in Turchia superano i 100 miliardi di dollari, secondo una stima del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite, Undp. Secondo il United Nations Population Fund-Unpa, su oltre 136 ospedali presenti nell’area colpita dal sisma, almeno 42 sono ancora inagibili in modo totale o parziale. Secondo Save the Children «il peggioramento della situazione economica in seguito ai terremoti potrebbe far nuovamente aumentare i livelli già alti di lavoro minorile e di matrimoni precoci ed esporre i bambini e le bambine a maggior rischio di sfruttamento sessuale, traffico e reclutamento nei gruppi armati».
I racconti delle madri siriane si somigliano tutti e nel ripensare agli istanti del sisma, ai giorni e alle settimane successive, la parola più ripetuta è proprio paura. «Sì, wallah, giuro, abbiamo avuto molto più paura del terremoto che dei bombardamenti. I bombardamenti durano ore, la guerra dura anni, ma il terremoto dura pochi secondi e in quei pochi secondi sconvolge tutta la tua vita», racconta Shuruq, una delle logopediste del Centro al Anees durante una pausa caffè in cui si unisce alle altre madri.
Lei stessa ha un figlio affetto da autismo che frequenta al Anees Center e grazie alle cure e ai programmi del fondatore, il terapeuta siriano Zakreia al Mohammad, ha visto suo figlio migliorare nel tempo. «Per fortuna i bambini autistici non si rendono conto di certe situazioni, come il terremoto. Ma per loro è fondamentale avere riferimenti, una routine, che il sisma ci ha tolto. Non possono stare in luoghi affollati, rumorosi, caotici. Abbiamo passato giorni di grande angoscia, pensando soprattutto ai bimbi con altre disabilità psicofisiche gravi, costretti a dormire nelle auto, o a restare nelle case pericolanti pur di non andare nelle serre e nei campi allestiti d’urgenza», aggiunge Shuruq.
I bombardamenti durano ore, la guerra dura anni, ma il terremoto dura pochi secondi e in quei pochi secondi sconvolge tutta la tua vita
— Shuruq
I siriani discriminati
Le famiglie siriane denunciano episodi e atteggiamenti discriminatori nei loro confronti anche nei momenti peggiori seguiti alle prime scosse. «Persino nelle tendopoli siamo stati isolati, i siriani da una parte, i turchi dall’altra. Come se non fossimo tutti esseri umani, come se le scosse non ci avessero svegliati tutti col terrore nello stesso modo e non ci fossimo trovati scalzi, sotto la neve, nel cuore della notte insieme, allo stesso modo», racconta Amina, madre di Yasmine, una bimba di due anni con una grave disabilità fisica. Sugli episodi di razzismo e discriminazione le testimonianze sono molte, ma tra le famiglie siriane nessuna ha la forza o i mezzi per presentare denuncia alle autorità competenti, anche perché denunciare probabilmente non porterebbe ad alcun risultato, visto il crescente sentimento antisiriano che si registra soprattutto nelle città frontaliere.
I genitori, quasi tutte madri, che portano i propri figli al Anees Center affidano il proprio dolore gli uni agli altri e al dottor al Mohammad, che oltre ad essere il terapeuta che accoglie e cura i loro figli, è una sorta di amico, di sostegno morale, di riferimento. La struttura rappresenta per loro una seconda casa, dove non si sentono stranieri e guardati con diffidenza, come accade sempre più spesso e come è avvenuto nel corso di tutta la campagna elettorale, che ha visto i siriani diventare, da una parte e dall’altra, oggetto di propaganda. Dalla prima sede, piccola e con poche attrezzature, proprio pochi giorni prima del sisma al Anees Center si è trasferito in una sede più grande, con stanze dedicate alle diverse terapie e attrezzature specifiche e moderne, che stanno migliorando la qualità della vita dei piccoli. A rendere tutto ciò possibile è l’impegno instancabile, da oltre un anno, di una piccola associazione milanese, Il Cuore nel Mondo Odv, che da dieci anni sostiene i piccoli rifugiati e le donne siriane, con una serie di progetti in Siria, in Turchia e anche in Italia.
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Claudia, dalla banca a Gazientep
La presidente Claudia Ceniti, già funzionaria di banca e da anni attiva in progetti di solidarietà anche in Africa, ha preso a cuore i piccoli di al Anees Center e grazie a una gara di solidarietà è riuscita a garantire alla struttura un aiuto costante, che ha permesso l’allestimento delle aule, l’acquisto delle attrezzature e di alimenti terapeutici, la copertura dei costi di gestione e i rimborsi spese per le terapeute.
A due mesi dal sisma Claudia Ceniti è partita per una missione che l’ha portata proprio nelle zone terremotate, a Gazientep, ma anche a Hatay e Reihanly, dove ha incontrato le famiglie siriane e ha portato loro vicinanza umana e solidarietà. Già nelle prime ore dopo il sisma la sua associazione ha inviato fondi per permettere al dottor al Mohammad di comprare farmaci, alimenti terapeutici e abiti invernali per i bambini del centro rimasti sfollati. Con la sua visita, oltre all’aiuto materiale, ha portato calore e una presenza umana che per le famiglie e i piccoli sono stati un balsamo per il cuore.
«Da quando siamo nati, nel 2013, non abbiamo mai smesso di aiutare i civili colpiti dagli effetti della guerra in Siria, in particolare bambini e donne. Sono tornata in missione per far sentire anche la nostra vicinanza fisica ai beneficiari dei progetti, di cui comprendiamo profondamente le paure e il senso di abbandono. I nostri progetti sono molteplici. Sul versante turco, a Reyhanli sosteniamo decine di bambini profughi con le loro mamme in una piccola scuola materna. A Gazientep sosteniamo al Anees Center con il Progetto Sorriso, dedicato alla cura e alla riabilitazione di bambini disabili fisici e mentali. Ci sono poi progetti che sosteniamo a distanza a Idlib, supportando una scuola in un campo profughi e garantendo distribuzione di pane e beni di prima necessità. In Italia, invece, abbiamo permesso l’arrivo di bambini siriani malati con le loro famiglie, che sono stati sottoposti a interventi e curati e che in alcuni casi sono rimasti nel nostro Paese», spiega Ceniti.
Da quando siamo nati, nel 2013, non abbiamo mai smesso di aiutare i civili colpiti dagli effetti della guerra in Siria, in particolare bambini e donne.
— Claudia Ceniti, presidente di Cuore nel Mondo
I bambini e le loro mamme, che spesso hanno dialogato in inglese via Zoom con la dottoressa Ceniti, la accolgono con una festa il giorno del suo arrivo e con un’altra festa la salutano il giorno in cui si dicono arrivederci, sulle note di una vecchia canzone dello Zecchino d’Oro, La terra luna, cantata da una bimba siriana. Il ponte che si è creato negli anni tra gli amici italiani e i rifugiati siriani è diventato solido e il terremoto, che ha fatto crollare molte certezze, in questo caso è diventato un ulteriore motivo di vicinanza e presenza.
In apertura, attività all’al Anees Center for Children with Special Needs di Gazientep, nella Turchia meridionale, sostenuto dall’associazione Il Cuore nel Mondo (tutte le immagini dall’associazione)
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