Famiglia
Con questi numeri, vale ancora la pena provare ad adottare?
Nel primo semestre del 2023 abbiamo 248 adozioni concluse e più di 2.400 famiglie in attesa, Paesi con decine di famiglie in attesa ma che non realizzano adozioni da anni e situazioni di evidente monopolio da parte di un singolo ente su un Paese. Che cosa deve pensare una famiglia? Che adottare è una "missione impossibile"? Il ruolo degli enti nello spiegare i dati
Il 19 luglio scorso la Commissione adozioni internazionali – Cai ha pubblicato i dati statistici relativi ai procedimenti adottivi realizzati nel primo semestre del 2023.
Da almeno due anni a questa parte quello che ci troviamo a commentare è un dramma per bambini e famiglie, che non accenna a diminuire di intensità. Siamo infatti di fronte a 248 adozioni concluse e più di 2.400 famiglie in attesa: seguendo questo trend possiamo supporre che a fine anno avremo raggiunto le 500 adozioni concluse, confermando il costante calo degli ultimi 12 anni. Ancora una volta ci troviamo a constatare un’inesorabile discesa. Ma dinanzi a questi dati, ciò che per un “tecnico” è chiaro, lo è altrettanto per una famiglia?
Mentre per il primo è facile cogliere i motivi per cui troviamo Paesi fermi da anni con decine di famiglie in attesa o altri che realizzano numeri sensibilmente diversi a seconda dell’Ente autorizzato, per una famiglia questa analisi è meno immediata.
La famiglia in questione si troverebbe di fronte ad un primo dato alquanto particolare: 49 organizzazioni più o meno attive e ben 60 Paesi elencati, che portano ad una media approssimativa di 5 adozioni realizzate per ogni Ente operativo e 4 adozioni per ciascun Paese. Se a questo punto si decidesse di individuare le situazioni più virtuose, magari cercando i migliori rapporti tra numero di famiglie in attesa e adozioni realizzate per singolo Paese, ci si affaccerebbe a uno scenario quanto meno anomalo: Paesi con decine di famiglie in attesa ma che non realizzano adozioni da anni; una gestione in termini numerici al limite dello schizofrenico tra i vari Enti; situazioni di evidente monopolio da parte di un singolo Ente su un Paese e, in generale, una diffusa sensazione di come oramai adottare sia diventata una missione impossibile.
Considerata la situazione del mondo delle adozioni e le sue buie prospettive, ad oggi viene molto difficile dare torto alla famiglia.
Come si colloca a questo punto il ruolo dell’Ente Autorizzato di fronte alle famiglie? Dovremmo esclusivamente avvalorare questo quadro negativo, o cercare anche di focalizzarci su quei pochi appigli per cui vale ancora la pena provare ad adottare? Per quanto la domanda appaia retorica, non lo è. Superato lo scoglio di numeri quanto meno ardui da digerire, una famiglia si scontra con una miriade di Enti dalle forme e caratteristiche più disparate, che agiscono in un sistema dalle maglie enormi affidato al buon senso e all’etica di noi Enti privati.
L’adozione è un mondo complesso, inutile negarlo: alle famiglie vengono richiesti sforzi enormi, sotto qualsiasi punto di vista. Alla luce dei numeri descritti nel report semestrale dalla Commissione, il minimo che ci si possa aspettare da un Ente è di non costituire un ulteriore ostacolo nel percorso di cui è parte integrante. Non è formalmente nostro compito far luce su una situazione che pare fuori controllo, ma lo è eticamente. Se non siamo in grado di porci come un punto di riferimento chiaro e competente, ma solo come un attore ambiguo e opaco, forse abbiamo perso la nostra principale ragion d’essere e quel tanto enfatizzato connettore tra famiglia e bambino che vogliamo rappresentare non ci calza più in alcuna misura, riducendoci ad essere un mezzo centinaio di associazioni che lottano per la loro sopravvivenza.
*Marco Rossin è responsabile adozioni internazionali di Avsi. Foto di Guillaume de Germain su Unsplash
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