Infanzia

La scrittrice Silvia Vecchini: «I bambini si rompono facilmente ma qualche volta sono così forti da saper aggiustare anche i grandi»

di Sabina Pignataro

@Silvia Vecchini

In questo dialogo profondo con VITA, la scrittrice Silvia Vecchini riflette sull’infanzia di oggi e dice: «Fatichiamo a leggere i disagi dei bambini, perché dovremmo riconoscere che le loro fragilità spesso sono originate dalle nostre. E allora chiediamo al bambino di portare la fatica della guarigione».
Nel suo ultimo libro, I bambini si rompono facilmente (Bompiani) racconta la storia di venti bambini.  Bambini che rischiano di rompersi, forse si sono già rotti, ma qualche volta sono così forti e precisi da saper aggiustare i grandi in pericolo, e da aggiustarsi da soli. Vecchini parla anche di adulti, e agli adulti. Racconta di mamme fragili che rischiano di sbriciolarsi, nonne arrabbiate e urlanti, adulti distratti o troppo accalorati che criticano, giudicano, sentenziano. «Il corpo dei bambini parla e chiede attenzione. Se il disagio si manifesta a scuola, nella socialità, è spesso il bambino che intraprendere percorsi di cura. Ma molte volte dietro a un disagio dei bambini c’è qualcosa che non funziona negli adulti»

Quante fratture, delusioni, silenzi e distanze si depositano nei bambini mentre gli adulti intorno si perdono in distrazioni, deleghe, assenze o al contrario  in soffocanti presenze. Di questi bambini racconta Silvia Vecchini, autrice del libro I bambini si rompono facilmente (Bompiani).  E in effetti quelli di cui ci parla rischiano di rompersi, forse si sono già rotti, ma qualche volta sono così forti e precisi da saper aggiustare i grandi in pericolo, e da aggiustarsi da soli..

Lei li descrive in venti racconti, ognuno dedicato a un bambino o una bambina di cui ha conosciuto la storia: una bambina con una coda di sirena che stupisce la spiaggia per le ragioni sbagliate; una bambina che non parla e che i grandi cercano di estrarre dal suo silenzio ricattandola con mille tentazioni; un bambino agitato dall’arrivo di un fratellino nella nuova famiglia del padre e poi capace di comporre una nuova serenità, se solo fosse vero; un bambino che si ostina a voler trovare rifugio in cima a un armadio, in ricordo di una traversata in cui qualcuno l’ha issato in alto perché la calca degli adulti compressi dentro la stiva non lo schiacciasse.

«Non desideravo che questa raccolta di racconti diventasse un catalogo, un campionario, una lista dei possibili accidenti che rompono o feriscono l’infanzia», racconta a VITA Vecchini. «Mi sono limitata a raccontare alcune infanzie che ho incontrato e che hanno lasciato in me un’impressione profonda insieme a un senso di ingiustizia. Ho pensato di rispondere alla domanda di fondo, quella di essere visti, moltiplicando gli sguardi attraverso i lettori».

I bambini si rompono facilmente
si rialzano ma solo per non darti pensiero
sembra che vada tutto bene
ma non è vero i bambini
si rompono se non alzi la testa se non ridi
mai si rompono molto prima di volare
dalle finestre giù per le scale si rompono
per molto meno se il loro letto cambia
di continuo se bari se li vuoi comprare
se mangiano troppo spesso da soli se non c’è
una porta tra dentro e fuori
se non ti ricordi nemmeno questa volta

— Silvia Vecchini

«Le bambine e i bambini che racconto sono veri, reali, li ho soltanto protetti cancellando nomi e riferimenti», racconta l’autrice. «Non ho voluto scrivere delle luci che si rompono per sempre, degli orrendi casi di cui siamo abituati a leggere sui quotidiani. Quello è un dolore che stordisce, da cui si fugge e spesso non ci aiuta a capire. Ho voluto scrivere invece dei bambini che, rotti, si rialzano, che possono avere un’altra possibilità. Storie che concedono una seconda opportunità anche agli adulti. Mi sembra infatti che sia necessario prendersi la responsabilità di guardare con verità all’infanzia prima, molto prima che finisca sulle pagine di cronaca. Fare ciascuno la propria parte per ogni bambino che si incontra sulla propria strada. E il primo compito a mio avviso è vedere, aprire gli occhi e vedere i bambini, i loro bisogni profondi».

Tra i bambini rotti del libro c’è La bambina contaminuti ad esempio, una bambina con mutismo selettivo incalzata dal padre, costretta a parlare con strategie e ricatti violenti. «Inutile dire che niente di questo funziona, anzi scava un solco profondo che sempre di più la separa dagli altri. Questo racconto è la misura di quanto la voce dei bambini resti una frequenza inascoltata, come se agli adulti a volte venisse a mancare un ricettore. Come se lo avessimo spento, incapace di captare persino l’sos più urgente».

Questo racconto è la misura di quanto la voce dei bambini resti una frequenza inascoltata, come se agli adulti a volte venisse a mancare un ricettore. Come se lo avessimo spento, incapace di captare persino l’sos più urgente

— Silvia Vecchini

Oppure Il bambino con due lacrime, un bambino che trattiene i suoi sentimenti in modo quasi impeccabile e invece li ha nascosti, concentrati in un pezzo di sapone che tiene nella tasca del grembiule e che nessuno deve consumare. La mamma se n’è andata lasciandolo con i nonni e quel pezzo di sapone gli ricorda casa, lì dove vanno continuamente tutti i suoi pensieri mentre è a scuola nella speranza che la mamma torni.

E ancora Il bambino del mare, un bambino che, arrivato con un’imbarcazione di fortuna, una volta giunto al sicuro nel centro d’accoglienza, dorme solo arrampicandosi sull’armadio. «Nessuno si spiega il perché, manca un po’ d’immaginazione, manca provare a mettersi nei suoi panni, tornare nella stiva dove lo avevano spinto in alto per non farlo affogare. È uno dei tanti bambini che a scuola inizierà a scrivere il suo nome su un quaderno nuovo».

Foto di Silvia Vecchini

Una riflessione anche sugli adulti

Vecchini parla anche di adulti, e agli adulti. Racconta di mamme fragili che rischiano di sbriciolarsi, nonne arrabbiate e urlanti, adulti distratti o troppo accalorati che criticano, giudicano, sentenziano.  Di adulti disposti a perdere tutto in cambio di una qualunque promessa di sicurezza, «persi nel lavoro, nella depressione, nell’ansia di perfezione, in un vacuo egocentrismo, nel rancore per un benessere che non ha mantenuto le sue promesse, in una arrogante ottusità», per usare le parole scelte dalla scrittrice Giovanna Zoboli

«Io non sono la persona giusta per fare un’analisi, non ho una teoria o una visione sulla genitorialità da proporre, ma come persona che scrive per l’infanzia e sull’infanzia, mi sembra di notare una grande confusione e una altrettanto grande solitudine. La distrazione cronica che pervade ogni ambito, la mercificazione della nostra attenzione spinta, attratta, deviata quotidianamente verso innumerevoli cose, nei rapporti adulto-bambino ha risultati devastanti. I bambini sembrano essere al centro della nostra attenzione, ma solo se guardiamo superficialmente. Più spesso sono al centro di uno sguardo impegnato a guardare solo se stesso. Penso a tutte le foto, i video diffusi sui social che ritraggono bambini piccolissimi e non, mentre giocano, fanno capricci, dormono, sbagliano, si fanno male in piccoli incidenti che vorrebbero essere buffi, sono svestiti, posano, piangono, recitano, si esibiscono… Che cosa vedono i bambini  nel frattempo? Non vedono il volto dell’adulto che li guarda ma un obiettivo, un dispositivo che li riprende e anche il loro sguardo alla fine finisce per essere inghiottito. Insegniamo loro a non guardarci, a guardare nel vuoto, perché noi non li guardiamo».

Pagina tratta da In mezzo alla fiaba, Topipittori (Foto di Arianna Vairo)

«Porto solo questo esempio. In un laboratorio di scrittura, dentro un percorso dedicato alla cooperazione, ho proposto una poesia che in pochi versi raccontava il legame tra Hansel e Gretel, l’essere fratelli, il prendersi cura, il guidare l’altro, l’attraversare insieme le difficoltà. Dopo la lettura i bambini erano invitati a tenere in mano un sassolino bianco per un paio di minuti e per poi raccontare in poche parole se si sentivano Hansel o Gretel. Tanti bambini hanno scritto che si sentivano Hansel, simbolo della guida e della protezione, nei confronti dei propri genitori che per i motivi più diversi vedevano in difficoltà».

Credo che tanti bambini si rendano autosufficienti, avvertano nel profondo quando non possono, quando non bisogna chiedere, quando c’è bisogno di non creare nessun problema. In qualche modo, quando sparire

-Silvia Vecchini

Dagli stessi canali arrivano ai genitori una quantità infinita di contenuti sui bambini, prodotti, soluzioni ma anche sull’educazione, su libri per risolvere problemi, su strategie di ogni tipo. Si moltiplicano proposte di stili diversi, approcci, consigli, tanti da mandare in confusione o mettere sotto pressione chiunque. «Penso che si dovrebbe tornare invece a una specie di alfabeto minimo, le cose indispensabili ai bambini, parlarne insieme, costruire insieme questa base. La prima parola, la lettera A, la dedicherei proprio all’attenzione che è una forma altissima di amore. Ma potrebbe anche essere Anima. Considerare questa parte profonda, prendersi cura della loro e della nostra, aumenterebbe la nostra capacità di ascolto, di connessione, di verità e delicatezza. Mi piace ricordare qualche verso della bellissima poesia di Mariangela Gualtieri dove, tra le tante meraviglie per le quali ripete “Ringraziare desidero“, c’è spazio per la casa, la sua armonia, i bambini, l’anima: “Ringraziare desidero…/ per la quiete della casa/ per i bambini che sono/ nostre divinità domestiche/ per l’anima, perché se scende dal suo gradino/la terra muore...”. Ecco, forse non è un caso che siano nominati insieme questi fattori.

Forse è anche il compito degli adulti: che la nostra casa sia in “quiete”, che possiamo riconoscere nei bambini le nostre “divinità domestiche”, che non trascuriamo l’anima, che non lasciamo morire la terra

-Silvia Vecchini

Un’infanzia a cui non viene data fiducia e pazienza

Da anni Vecchini scrive per bambini e adolescenti, organizza workshop per loro e per gli adulti, fa incontri fuori e dentro le scuole. Nel libro parla di un’infanzia a cui non viene data fiducia e pazienza, ma viene offesa.

Fatichiamo a leggere i disagi dei bambini, perché dovremmo riconoscere che le loro fragilità spesso sono originate dalle nostre. E allora chiediamo al bambino di portare la fatica della guarigione

-Silvia Vecchini
Foto di Silvia Vecchini

«Anche se non riescono a dire attraverso le parole il loro disagio, i bambini ci parlando in continuazione. Con le loro azioni, i gesti, i comportamenti, le difficoltà che incontrano. Il corpo dei bambini parla e chiede attenzione. Se il disagio si manifesta a scuola, nella socialità, è spesso il bambino che intraprendere percorsi di cura. Ma molte volte dietro a un disagio dei bambini c’è qualcosa che non funziona negli adulti. Inutile cercare di riparare partendo dal fondo, bisogna risalire, bisogna che gli adulti prendano seriamente in considerazione che sono loro a dover cambiare perché le cose vadano meglio. È questa la vera ragione che non ci permette di prendere sul serio il discorso profondo, la lezione che i bambini ci ripetono come maestri pazienti».

Mi pare che i bambini siano chiamati a “ripararsi” mentre gli adulti continuano a sbagliare e a rompere di nuovo. E a volte si pretende che la loro guarigione ripari qualcosa che è rotto in noi ma che non vogliamo vedere

-Silvia Vecchini

Ad un certo punto nel libro scrive «i bambini davvero ci parlano, si mostrano ma dobbiamo fare pulizia. Via i lustrini, le strategie, le ricette. Via le cose comode, le assoluzioni, le scorciatoie».  
Sembra difficilissimo. Come si fa?
«Recuperando un pensiero di Alexander Langer io vi propongo di essere più lenti invece che più veloci; di andare più in profondità, invece che più in alto; e più dolcemente o più soavemente invece che più forti e roboanti. Con questo motto non si vince nessuna battaglia frontale, però forse si ha il fiato più lungo».

Foto Mona Eendra by Unsplash

Andare più lentamente, più in profondità, con più dolcezza, credo sia una buona proposta. Ci potrebbe aiutare a tornare a incontrarsi davvero per costruire una rete che regga sia gli adulti che i bambini

-Silvia Vecchini

«Una comunità dove si metta al bando il guardarsi con sospetto, si lavori sulle relazioni tra adulti, sui rapporti tra scuola e famiglia, dove i grandi si prendano la responsabilità di curare le proprie ferite, si alleino con intelligenza e amore, si possa aver cura di chi è in difficoltà e si permetta così ai bambini di respirare, tutti interi e liberi».

Foto in apertura di @Silvia Vecchini


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