Inclusione

Yoga a Raggi Liberi, lo yoga per tutti

di Sabina Pignataro

Patrizia Saccà è un’atleta paralimpica di tennis da tavolo: ha partecipato a dodici campionati Europei, cinque Mondiali, due Paralimpiadi (bronzo a Barcellona 92 e quarta a Pechino 2008). Ha vinto 18 titoli italiani ed è stata uno dei portabandiera alle Paralimpiadi di Torino 2006.

Insomma, una forza della natura.

Nel 1990, a 28 anni, quando si stava preparando proprio alle Paralimpiadi di Barcellona, ha incontrato lo yoga. E, dopo anni di studio e di pratica, ha inventato il metodo “Yoga a raggi liberi” che può essere praticato da tutti e in modo particolare da chi convive con una disabilità fisica. Lei stessa è paraplegica dall’età di 13 anni a causa di una caduta.

Da più di cinque anni insegna yoga, forma insegnanti, collabora con i medici delle Unità Spinali di Ancona, Milano, Alessandria e Torino e con l’Associazione italiana sclerosi multipla- Aism, affinché lo yoga possa arrivare a più persone possibili.
Ha portato  lo yoga anche agli atleti paralimpici di nuoto nella squadra Nazionale.

Lo yoga non è fitness. Nello yoga non esistono limiti. Quindi possono praticarlo tutti, ognuno con il corpo che abita.  Come ci ricorda il maestro indiano Iyengar, non siamo noi che ci adattiamo allo yoga ma lo yoga che si adatta a noi

Patrizia Saccà ha ripensato i dodici asana del Surya Namaskar (la sequenza del saluto al sole, che rappresenta un saluto di onore e rispetto alla presenza divina che c’è in ognuno di noi ) in posizione seduta in modo da offrire una variante che può essere praticata dalle persone con disabilità e da chiunque sia seduto su una normale sedia.

Rendere armoniosa la mente, disciplinarla e avere un corpo attivo e vibrante, in armonia con la nostra anima, in modo da essere uno, corpo mente e spirito: questo è ciò che vorrei trasmettere

Nel suo piccolo libro, Yoga a raggi liberi, ci sono per ogni asana  del saluto al sole citazioni di tanti maestri: da San Francesco al filosofo e mistico indiano, Sri Aurobindo; dalla Bibbia alla Bhagavadgitā (uno dei testi sacri dell’induismo).


«Spero che tante persone con un dolore ne possano fare un tesoro prezioso come nella tecnica del kintsugi e come la metafora della mia vita. A questo proposito sento calzare bene la frase di Ghandi: “la forza non deriva dalla capacità fisica ma da una volontà indomabile“».

Saccà, la sua vita è ricca di successi agonistici. Cosa ha rappresentato lo sport per lei?

Riconosco che lo sport mi è stato Maestro. Nei primi anni dopo l’incidente che mi ha tolto l’uso delle gambe a 13 anni c’era molto rabbia, che ho poi imparato a trasformarla mettendomi in gioco e per 28 anni sono stata un’atleta agonistica. Ho sempre sentito la preziosità della vita, ho imparato gareggiando a vincere contro la mia prepotenza e arroganza, ad accogliere l’umiltà della sconfitta e la condivisione della vittoria. Ai miei allievi e allieve insegno sempre che solo accettando la sconfitta si può poi vincere per davvero.

Come si è avvicinata allo yoga?

Nel 1990 conducevo una vita frenetica: lavoravo, mi allenavo tre volte a settimana, gareggiavo, prendevo ferie per partecipare ai tornei. E poi con mio marito Roberto amavamo viaggiare, spostarci in tenda, in camper o in  barca vela: una vita densa e meravigliosa, ma non riposavo mai. Mi ero appena diplomata dei tre anni di scuola di Naturopatia, ero curiosa di ogni cosa.
Sapevo che nel 92 ci sarebbero state le Paralimpiadi e volevo dare il meglio. Nelle gare non ero sempre così concentrata a fare il meglio. A volte lottavo contro me stessa: combattevo con una parte di me che non perdonavo per essermi distratta, essere caduta e aver perso l’uso delle gambe.


Che cosa è per lei lo yoga?

Lo yoga mi ha trasmesso consapevolezza, attenzione verso me stessa, verso il mio corpo che è il mio tempio sacro. Mi ha insegnato che ognuno di noi è un meraviglioso diamante che dà e riflette luce. E poi mi ha insegnato il non giudizio: quando siedo ogni mattina in meditazione mi osservo,  mi sento unita insieme al mondo, a tutto il pianeta, animali piante, alberi, mari: mi sembra di diventare ogni giorno un briciolo migliore o quantomeno ci provo.

Come è nato “Yoga a Raggi Liberi”?

Io pratico yoga dal 90 e non ho mai smesso. Ho lavorato presso l’ospedale Mauriziano di Torino per trentatré anni, sempre a contatto con le persone.  Mi piaceva l’idea di portare benessere tra i più piccoli e tra gli adulti o negli ospedali, a beneficio delle persone con disabilità.

Dal 2018, anno in cui è stato ideato, il metodo ha fatto molta strada. Ci racconta i progetti in corso e quelli in futuro?

Grazie al Centro sportivo educativo nazionale-Csen ho potuto mettermi in gioco, inventare e creare un metodo rivoluzionario che potesse andar bene per tutti. Sin da subito l’ho portato in tanti centri yoga in Italia. E poi nelle Unità Spinali di Ancona, Milano, Alessandria e Torino.
Le persone mielolese all’inizio devono ri-imparare anche a vestirsi dopo un trauma alla colonna vertebrale e c’è dolore, rabbia, sgomento, paura, depressione. Oltre ai  vari dolori per abituarsi a questo nuovo “corpo rotto”, come lo chiamo io. Lo yoga può essere utile per stabilire subito un contatto con questo nuovo corpo, e può aiutare anche i familiari.

Come ha costruito gli asana?

Gli asana li ho inventati dopo averli sperimentati sul mio corpo per anni. Questo lavoro è diventato anche la mia tesi d’esame dell’accademia di yoga.
In genere faccio praticare da seduti perché io lo sono, ma chi riesce può stare anche in piedi. Cerco di adattare la classe a ciascuno partecipante.

Ci fa qualche esempio?

Nell’asana in piedi del guerriero due (Virabhadrasana) si porta il peso sul piede e si piega il ginocchio, nella versione da seduti si porta il peso sul gluteo e si sta dove l’equilibrio lo consente. La parola asana vuol dire “stare” e rimanere per qualche minuto nella propria posizione con il respiro.
Nella posizione dell’albero, invece, si lavora sull’equilibrio delle braccia e stabilità del busto per trovare una maggiore equanimità partendo dal corpo che vestiamo.
Nell’asana del cobra si portano le mani appoggiate vicino e si cerca di sollevare il bacino con la forza delle braccia che ognuno ha, si sale inspirando e inarcando anche in modo millimetrico la parte lombare portando lo sguardo verso l’alto e inclinando un pochino il capo all’indietro senza esagerare. Questa asana in particolare apre il diaframma. distende gli organi, curando sempre e tanto il pranayama: è importante rimanere in ascolto di sé.
Sto scrivendo un secondo libro proprio sugli asana e come poterli adattare.


Lei è stata una pioniera. Esistono altri istruttori di yoga in sedia a rotelle?

In America c’è un altro ragazzo, in Europa non saprei, non ho trovato molto. Cerco di trasmetterlo il più possibile ad altri insegnanti  perché nelle scuole di yoga non c’è il tema disabilità: si studia anatomia fisiologia, si approfondiscono alcune patologie, ma non le disabilità ed io sto cercando nel mio piccolo di portare proprio questo.
Ad oggi sono 22 gli insegnanti di yoga che hanno fatto il corso di “Yoga a raggi liberi”. Le quattro insegnanti che hanno conseguito il diploma a marzo hanno anche il riconoscimento dal Coni, grazie a Csen ora è riconosciuto.

Chi volesse praticare con lei come può fare?

Ho scritto un libro, ho una pagina facebook e una di instagram di nome “Yoga a raggi liberi”. Insegno a Torino; collaboro con una piattaforma che si chiama Ottostudio (nel gruppo praticano anche persone normodotate a cui è piaciuto il metodo).
Da diverso tempo collaboro con l’Associazione italiana sclerosi multipla-Aism alla  casa dei Risvegli di Bologna ed anche con loro ho un gruppo che pratica online e una volta ogni 6 mesi vado in presenza.
Ho creato un gruppo che si chiama “le guerriere di luce”: tutte donne sportive con cui fare uno yoga un po’ più avanzato.
Collaboro con l’Unione Induista Italiana per promuovere yoga senza barriere.

Si ringrazia Patrizia Saccà per le foto contenute in questa intervista:
La protagonista delle foto è proprio lei.


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