Cultura

I Loose Fur costruiscono il rock. E lo fanno bene

Recensione del cd "Loose Fur".

di Enrico Barbieri

Jim O?Rourke e Jeff Tweedy si sono incontrati su una strada desolata, uno di quei posti degli States dai paesaggi rinsecchiti e dove di gente ne passa poca. Avevano parecchie cose da dirsi. O?Rourke faceva parte di uno dei gruppi rivelazione degli ultimi anni, i Gastr del sol. Jeff Tweedy era invece la voce degli Wilco. Terzo, a portare un po? di sana asimmetria nel discorso, è arrivato il batterista Glenn Kotche. I tre si erano già trovati insieme nel meraviglioso Yankee Hotel Foxtrot: una delle sorprese del 2002, firmata Wilco. Naturale l?attesa per il nuovo trio. La musica dei Loose Fur è in equilibrio tra armonia e caos, tra forme melodiche pure, quelle soprattutto della tradizione folk americana, e rumorismo. Per tutto il disco si ripete, senza noia, uno schema triadico: quando dialogano felici le chitarre, fa irruzione la batteria di Kotche; altrove l?alleanza tra ritmo e banjo o chitarra si rompe grazie all?azione di disturbo di qualche corda elettrica. Su queste tre gambe, Loose Fur corre veloce, soffermandosi quanto basta sui paesaggi intorno. La strada è sempre desolata e i viaggiatori voltano spesso lo sguardo indietro. Ma se molto si parla di post rock, qui c?è poco spazio per la nostalgia. Dopo tanto destrutturare e togliere tasselli all?edificio del rock, cadente ormai da anni, è tempo di ricostruire. Con i Loose Fur la prima pietra è messa: arrivi ora qualcuno a proseguire l?opera.


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