Non profit

Gli autistici? A 18 anni scompaiono

Nei censimenti ufficiali passano da uno su cento a uno su 10mila

di Sara De Carli

A 18 anni scompaiono, come per miracolo. Ma siccome dall’autismo non si guarisce, la sola spiegazione è quella che in bocca a un esperto come Carlo Hanau, docente di Programmazione e organizzazione dei servizi sociali e sanitari all’Università di Modena e Reggio Emilia e membro del comitato scientifico dell’Angsa – Associazione nazionale genitori soggetti autistici, suona come una denuncia: «Con la dismissione dalle neuropsichiatrie infantili, gli psichiatri rifiutano gli autistici, che non rispondono ai trattamenti farmacologici». Invece di una diagnosi psichiatrica, quindi, «gli si mette l’etichetta di handicap e li si passa ai servizi sociali».
Cioè spariscono i servizi dedicati: «Dopo averli illusi per anni sulla possibilità di inclusione, una volta adulti gli autistici duri, i più gravi, finiscono nei laboratori protetti o nei centri diurni a infilare perline, avvio di una carriera che finisce quasi sempre con l’istituzionalizzazione, mentre quelli più lievi, come le persone affette da sindrome di Asperger, autosufficienti nelle funzioni quotidiane e già privi di sostegno a scuola perché bravissimi da un punto di vista cognitivo, bighellonano per la città senza alcun supporto, completamente abbandonati».
A rafforzare la sua diagnosi, Hanau cita i dati di una ricerca svolta nel 2005 nelle sette regioni epidemiologicamente più avanzate d’Italia, quelle cioè che le diagnosi le fanno: se cerchi a tappeto i bambini con una patologia dello spettro autistico, ne trovi 6 su mille nella fascia 4/6 anni, che diventano 10 su mille attorno ai dieci anni. Anche per loro, in realtà, c’è un problema di diagnosi e presa in carico: noti alle Asl, di questi ce ne sono infatti solo uno su dieci nella prima fascia d’età, e due su dieci nella seconda. Ma quando si varca la soglia della maggiore età, la situazione nebulosa diventa un buco nero: «Scompaiono, sono 1 su 10mila. E non ne abbiamo trovato nemmeno uno, giuro, che lavorasse in una azienda normale». Il problema è che in Italia, diversamente da quel che accade in altri Paesi, non esiste il job coach: «E dire che con gli Asperger basterebbe davvero pochissimo, perché queste persone hanno reali possibilità di produttività», sospira Hanau.
In autunno l’Istituto superiore di sanità dovrebbe presentare delle nuove linee guida. La richiesta delle associazioni riunite nella Federazione Fantasia è essenzialmente una: «Prevedere degli specialisti che seguano le persone con autismo dall’infanzia alla vecchiaia, in maniera trasversale». Ad oggi, in Italia, è una cosa che fanno solo in due: Giuseppe Maurizio Arduino in Piemonte e Franco Nardocci in Emilia Romagna.


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