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Elezioni, trionfano Lega e Berlusconi
I giornali, divisi sui commenti, sono unanimi nell'analisi
Uno tsunami al nord, dove soffia il vento della Lega, un netto successo di Berlusconi: il verdetto delle elezioni regionali è chiaro e condiviso da giornali indipendenti, vicini alla maggioranza, vicini alle diverse anime dell’opposizione. Oggi la rassegna è dedicata interamente all’esito del voto.
- CORRIERE DELLA SERA
- IL GIORNALE
- LA REPUBBLICA
- IL MANIFESTO
- LIBERO
- L’UNITA’
- LA PADANIA
- ITALIA OGGI
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- AVVENIRE
- LA STAMPA
CORRIERE DELLA SERA – Secco il titolo di apertura del CORRIERE: “Vincono Berlusconi e la Lega”. All’interno i servizi arrivano fino alla pagina 27. Ma partiamo dall’editoriale di Massimo Franco (“Tre anni senza alibi”): «La diarchia fra Silvio Berlusconi e Umberto Bossi esce consacrata dalle urne regionali. Il timore dell’astensionismo si è rivelato almeno in parte fondato. Il 7 per cento in meno di elettori rispetto al 2005 rappresenta un avvertimento da non sottovalutare. Ma l’«imparzialità» con la quale il fenomeno ha colpito maggioranza e opposizione dice che si tratta di una disillusione verso entrambi gli schieramenti. Da questo punto di vista, per il governo i risultati sono un successo; e per la Lega addirittura un trionfo. Per il premier il pericolo scampato non nasce soltanto dal fatto che il centrodestra è passato a guidare sei regioni su tredici, da due che ne aveva: si tratta di realtà che «pesano» in termini di popolazione. La vittoria in Campania, e soprattutto in Lazio e Piemonte dove l’incertezza era totale, ribalta gli equilibri. A rendere più netto il responso sono una consultazione insidiosa per la maggioranza; l’esclusione della lista del Pdl a Roma; e la crisi economica del Paese, simile al resto dell’Ue». Continua Franco: «i tre anni che il governo ha davanti non offrono più alibi da accampare per l’incapacità di fare le riforme o per le decisioni non prese: il centrodestra deve governare davvero. Eppure, per paradosso è l’opposizione a gestire una fase difficile, nonostante la prevalenza numerica. Le regioni appenniniche somigliano a una ridotta delle giunte rosse assediate a nord dal leghismo e al sud dal berlusconismo. Il Pd non ha ancora trovato un equilibrio fra Udc e Idv. E sembra costretto a guardare a una sinistra estrema che clona spezzoni radicali, come le liste del comico Grillo. È l’opposizione che Berlusconi sogna e che contribuisce a plasmare, con la collaborazione involontaria degli avversari e delle loro pulsioni di retroguardia». A spegnere i torni trionfalistici in casa Pdl è Sandro Bondi che a pag 6 dice: “«Peggio delle europee. Insoddisfatto del voto»”, mentre Fini nel dietro le quinte di Andrea Garibaldi non si mostra per nulla arrendevole “«Regolamento di conti? Se ci sarà lo affronteremo»”. Alle pagine 8 e 9 il CORRIERE si intrattiene sull’exploit della Lega: “Bossi incassa il successo: «Io arbitro, voglio Milano»” e “L’esercito lumbard alle porte di Roma. Raddoppia in Piemonte e sfonda in Toscana”. L’8,6% di Magdi Allam in Basilicata per il CORRIERE vale un titolo e un approfondimento: “Magdi Allam, in Lucania successo per il suo terzo polo”. “Bersani, leadership salda ma il Pd non decolla” è invece il titolo che introduce l’analisi sul partito democratico. Interessante il retroscena a firma di Maria Teresa Meli, “«Sciogliersi tutti e ripartire»”. La sfida lanciata da Vendola” in cui si tratteggia un asse fra il governatore pugliese e Walter Veltroni. Intanto l’altra opposizione, quella di Casini non esulta e dice: «Siamo determinanti, ma niente di eclatante». Poi spazio ai grillini (“Da Internet alle urne. L’avanzata del fattore G”) e ai focus regionali. Di rilievo sul Lazio l’intervista a monsignor Fisichella “«L’intervento dei vescovi era necessario»” e la bocciatura del centrosinistra anche in provincia dell’Aquila dove Stefania Pezzopane lascia in favore di Antonio Del Corvo che vince col 53,25 dei voti, ma dice: ma in città ho battuto Berlusconi.
Il GIORNALE – Apre con il titolone “Altro che declino. Berlusconi e Bossi volano”. «Il centrodestra si conferma in Lombardia e Veneto e conquista Piemonte, Lazio, Campania e Calabria» In centro pagina una grossa cartina italiana con la divisione tra le regioni. L’editoriale è di Vittorio Feltri che esalta il risultato del Pdl «dopo una campagna elettorale ridottasi a una settimana condotta all’insegna di polemiche estranee alla politica» ma il risultato dimostra come «gli italiani hanno dimostrato di essere più avveduti di quanto si immaginasse». Insomma «impressionante il successo di Bossi e anche il successo di Berlusconi». Nella seconda pagina Adalberto Signore firma “La riscossa di Berlusconi: Se ci metto la faccia vinco anche senza lista”. «È quasi mezzanotte e a Palazzo Grazioli Berlusconi gongola letteralmente. La vittoria della Polverini nel Lazio, infatti, è per il premier la chiave di volta di questa tornata elettorale. La dimostrazione, spiega il Cavaliere nelle sue conversazioni private, che “quando ci metto la faccia si vince anche senza liste”. Nonostante, ma questo il premier non lo dice, una candidata che non è certo un carico da novanta e che oltre all’handicap dell’assenza delle liste del Pdl in tutta la provincia di Roma aveva anche quello di un basso tasso di notorietà. E già, perché non è un mistero che nelle ultime due settimane Berlusconi si sia concentrato anima e corpo su Lazio e Piemonte, con almeno cinque apparizioni in compagnia della Polverini e con un’attenzione così spasmodica che è stato proprio lui a volere fortemente che la manifestazione del Pdl si tenesse a Roma e non a Milano come suggerivano alcuni dirigenti del partito e pure Bossi.». Per il cavaliere insomma è una rivincita «nei confronti di chi “ha provato ad affossarmi con una campagna mediatico-giudiziaria che va avanti da un anno», ma pure una segnale «ai tanti» che già pensavano al dopo”». E mentre La Russa , intervistato da Vincenzo La Manna dichiara di volersi ubriacare dalla gioia Stefano Zurlo firma “Il centrodestra governa 42 milioni di italiani” in cui racconta «una rivoluzione silenziosa, cominciata nel 2008 e terminata ieri con la chiusura delle urne. I governatori della coalizione berlusconiana amministrano ora la maggioranza assoluta degli italiani. A spanne, circa 42 milioni di nostri connazionali sono adesso guidati da presidenti di centrodestra, contro i quasi 18 milioni di abitanti «sudditi» del centrosinistra. È un dato suggestivo che indica la trasformazione profonda del Paese, regione per regione, capoluogo per capoluogo, dalle Alpi alla Sicilia. È l’Italia a trazione locale che ha cambiato pelle, ha rottamato consolidate tradizioni e mandato all’aria antichi sistemi di potere e sottopotere, oliati da decenni. È la voglia di nuovo che modifica un tassello alla volta l’Italia dei 21 capoluoghi».
LA REPUBBLICA – Il titolo è “La destra vince sul carro di Bossi”. Occhiello e catenaccio puntano sulla crescita Lega, a discapito del Pdl: «Boom del Carroccio al Nord, il Popolo della Libertà perde il 6% dei voti». E sotto: «Al Pd 7 Regioni, al Pdl 6. La sinistra perde Piemonte e Lazio. Il senatur: cambia tutto». Il concetto è ribadito nella prima delle ventun pagine di cronaca dedicate al voto, dove il pezzo di apertura parla di «un centrodestra che perde voti ma supera l’elezione di midterm e cancella la paura dell’effetto Sarkozy». E ancora: «Il Pd dice di essere al 28,5%, (sarebbe il primo partito) e il centrosinistra mantiene saldamente il controllo delle tradizionali roccaforti». Il primo editoriale è di Massimo Giannini: se le regionali erano state impostate come un referendum sulla persona del Cavaliere, «Berlusconi è riuscito a vincere ancora». La preoccupazione di Giannini è capire «come sarà riempito l’abisso che ci separa dalla fine della legislatura»: a pensare che, come ha annunciato Berlusconi, non cambierà nulla «vengono i brividi»: la «speranza» è nella Lega, che porti qualche «novità positiva». «L’Italia è nelle mani del Senatur. Persino questo estremo paradosso ci riserva il carsico declino della leadership berlusconiana». In prima pagina Alberto Statera tratteggia la «grande Padania», con la vittoria dei primi due governatori leghisti nella storia d’Italia. Che «promettono di trasformare le bianche praterie parrocchiali nella trincea avanzata del neofeudalesimo leghista, fatto di localismo e protezione, di paure e plebeismo semplificatorio, che vede l’insidia somma nella società globalizzata». Quindi da oggi «nulla sarà più come prima» nel rapporto tra Pdl e Lega, ovvero «il partito mediatico» e «la forza plebea che si è fatta imprenditore della paura». Da oggi quindi parte, dal «quadrilatero bossiano», la «secessione di fatto, morbida, già lungamente annunciata» e perseguita attraverso «la messa in scena quotidiana del partito di lotta e di governo».
Sempre dalla prima, Curzio Maltese analizza la vittoria del «Papa straniero Nichi Vendola»: per lui si apre «un futuro da aspirante leader del centrosinistra». Vendola è affiancato alla Bonino in un «ticket di outsider» accomunati dal «coraggio», anche se lui vince perché lui è simbolo della sinistra moderna, che non è «mascherarsi da moderati nel talk show» ma «immergersi in un mondo post televisivo», mentre lei «è ancora prigioniera di stilemi da radicali anni 70». Conclusione: «là dove il Pd ha voluto a tutti i costi cercare il “candidato giusto” sono arrivate catastrofiche sconfitte, dove la sinistra cerca di assomigliare alla destra, perde male». Perché «sconta l’incredibile errore di scambiare la Binetti per il mondo cattolico». Il primo affondo sui casi singoli è per il Lazio, con una Roma in cui «il successo della Bonino non lascia adito a dubbi e getta ombre sui primi due anni di governo di Alemanno». Emma Bonino, commenta REPUBBLICA, è stata «una secchiona» ma gli elettori «hanno preferito non osare, non affidarsi a una signora colta, poliglotta, fuori dai giri, che porta in borsetta il discorso di Pericle agli ateniesi». Un focus sulle liste Grillo, «che sfondano a sinistra»: «si fa presto a dire vento dell’anticasta», per REPUBBLICA è più che altro «voglia di nuovo, di politica 2.0». Grillo pare abbia glissato: «Trionfo? Non conosco i dati, stavo dormendo». Sta di fatto che «è proprio ai partiti di centrosinistra che il Movimento del web-predicatore ha rosicchiato voti. E a pagare i costi più alti». Sul fronte dell’autodefinitosi “tsunami” della Lega, Bossi ha spiazzato tutti con la sua prima uscita: «Abbiamo avuto un bel culo», ma poi ha dettato la sua agenda; federalismo subito, perché «noi siamo arbitri». In Emilia Romagna, per Michele Smargiassi «irriconoscibile», «la storica corazzata perde pezzi, sta a galla ma arranca, ed è ormai l’ultima nella flotta delle regioni rosse». Nelle due pagine di ampio respiro sul Pd, Bersani dice «Torniamo a vincere, abbiamo invertito la tendenza. Era un partito morto, adesso ha il 28%». Ma «la resa dei conti interna al partito ripartirà dall’incapacità di espandersi, con la minoranza di Franceschini, Veltroni e Fioroni già sul piede di guerra». Per Enrico Letta il modello vincente è quello ligure, che ingloba e tiene insieme. Tra le curiosità, il boom di Magdi Allam in Basilicata, che con la sua lista “Io amo la Lucania” sfiora il 10%.
IL MANIFESTO – Apre con una grande vignetta di Vauro. Un carro guidato da un Bossi esultante e un Berlusconi legato che fa il segno di vittoria con la mano. Titolo: il carroccio vincitore. Il tema principale del quotidiano comunista è l’astensionismo. L’editoriale della redazione spiega «alla fine, con quel meno 8 per cento, l’astensionismo ha colpito il voto delle Regionali come un’onda anomala e trasversale, colpendo a destra e a sinistra. Una percentuale sulla quale ha influito la fuga dai seggi nel Lazio, superiore di quattro punti alla media nazionale, con l’11 per cento in meno di votanti. La febbre francese ha contagiato l’Italia, purtroppo solo nella fuga dal voto, non nel risultato. Ma la seconda onda anomala è l’escalation della Lega che sbanca nel Veneto, va a un testa a testa con il Pdl in Lombardia e sfida il centrosinistra in Piemonte». Come scrive all’interno Alessandro Braga infatti “Il nord vede verde padano” «è un trionfo verde padano. Anche se alla fine Roberto Cota non dovesse farcela a strappare il Piemonte al centrosinistra, poco importa».
LIBERO – «Che goduria». Un titolo che è tutto un programma quello che sceglie LIBERO per raccontare che il centrodestra «dato per morto» vince. In prima pagina l’editoriale di Belpietro che esordisce scrivendo: «Se era un referendum su Berlusconi, come senza infingimenti ha titolato il giornale del subcomandante Marco Travaglio, si deve concludere che il Cavaliere lo ha vinto e non di poco» Sullo stesso tono anche il commento di Mario Giordano che: occhiello «Il Cav vince il referendum su se stesso» nell’articolo intitolato «Silvio fa fuori anche Bersani. Avanti il prossimo» scrive «Polverini e Bonino? Cota e Bresso? Macchè, la sfida più importante non era per una Regione, piuttosto per una ragione: stai con Berlusconi o contro Berlusconi?…». Sul successo della Lega, in particolare, due pagine di commenti dal titolo «L’onda verde. Doppietta Bossi: ora sono l’arbitro» che nel catenaccio riassume «Il carroccio stravince in Veneto dove diventa il primo partito, Cota batte la Bresso in Piemonte. Umberto: “Subito il federalismo, complimenti al Pdl che ha resistito a una Lega scatenata. La sinistra è andata ko». Nella pagina accanto nell’articolo di commento «La Padania da oggi è realtà» Giuliano Zulin scrive: «È finita la seconda repubblica. È nata la repubblica de Nord. Non più quella degli adesivi appiccicati sui cartelli stradali. Stavolta è vera (…) La Lega ha oltre il 50 per cento del capitale della Padania Spa (…) e chiude «Il Nord non ha più paura di essere etichettato come razzista o disfattista. Sa che sono balle inventate dalla sinistra. Ha votato Lega perché spera di contare di più a Roma, non vuole rimanere la gallina che fa l’uovo per il Centro-Sud (…) Il Nord vuole il cambiamento. Senza se e senza ma».
L’UNITA’ – Il quotidiano fondato da Antonio Gramsci nella sua tradizionale fascia rossa presenta una frase di Roberto Benigni «Per dirla tutta, a volte in questo Paese non sono tante le idee che mi fanno paura, quanto la faccia di chi le esprime», mentre il titolo di apertura punta su «Un paese stanco», tre i richiami di prima legati alle elezioni: «Il trionfo del non voto. Astensionismo record: 35% Lazio, Polverini: abbiamo vinto. Piemonte addio, exploit Grillo»; «Puglia, trionfo Vendola» a seguire la conta delle regioni e infine: «Berlusconi ostaggio di Bossi. Veneto, Zaia dilaga e la Lega annulla il Pdl. Il premier si consola “Scongiurato l’effetto Sarkozy”». Nel suo editoriale Concita De Gregorio che scrive: «(…) l’Italia è stanca, stanchissima. Rabbiosa. La stanchezza e la rabbia sono i sentimenti che hanno animato i vincitori: i primi quelli che sono andati a votare. Uno su tre: una percentuale da malato grave, la democrazia italiana che deve essere curata, ha la febbre alta» e sul sud scrive: «Che la destra vinca nelle due regioni a più alto tasso di criminalità organizzata, le regioni dove neppure una riunione di condominio si decide senza l’appoggio del capoclan, è un fatto oggettivo. La vicenda Di Girolamo è dell’altro ieri (…)». «Fini, futuro in salita. Pesa nell’urna la variabile Udc» è il titolo del commento sullo scenario per il voto laziale firmato da Susanna Turco: «(…) Quel che più interessa invece l’inquilino di Montecitorio è proprio il dato che aspettava da settimane: quello dell’Udc. Perché spiegava, “non si possono ipotizzare progetti che siano numericamente inferiori a quel che era An”. Ecco, da questo punto di vista, i primi dati giunti ieri non sembrano confortare i ragionamenti dell’ex leader di An (…)». Sulla situazione del Pd alle pagine 12 e 13 con il titolo «Il Pd spera fino all’ultimo “Comunque a noi più regioni”» si legge «Quello che però mette subito in chiaro Bersani nei colloqui privati è che questa tornata elettorale va in ogni caso giudicata positivamente. “L’inversione di tendenza c’è tutta, si vede dalla conquista della maggioranza delle regioni”, è il ragionamento che fa il segretario del Pd (…)» e sul futuro delle alleanze si osserva che «Benché Bersani continui a essere convinto che con le alleanze delle politiche e con i voti delle europee il Pd sarebbe diventato quel “partito appenninico” motteggiato da Tremonti, ora il tema delle alleanze si ripresenta in tutta la sua problematicità, anche perché Di Pietro chiede al Pd un “matrimonio” e una mea culpa, visto che “nei mesi scorsi ha perso tempo a flirtare con l’Udc”».
LA PADANIA – “Tsunami padano”. È il titolo del quotidiano della Lega Nord, con una grande foto trionfante di Bossi, Zaia e Cota. Sottotitolo: «Bossi: il Nord mette le ali, adesso il Federalismo più vicino. Solo il Pdl ha tenuto, la sinistra è scomparsa, i lavoratori l’hanno mandata a quel paese». Il commento del direttore Leonardo Boriani si intitola “Il Senatur, vero vincitore”: «Il cuore, e la passione, che mette in ogni suo gesto, in ogni sua idea. Il lavoro che è incessante, interminabile, non ha pause. (…) Un uomo così non può che modificarla la storia, piegandola e adeguandola ai desideri del suo popolo. Ed ha ragione Bossi quando sostiene che “la gente sa scegliere” e “la gente ci manda dove vuole”. In questo sta la enorme differenza con una povera sinistra – pensate a Bersani che, parole sue, “sentiva che il vento stava mutando” – ormai orfana di carisma e di leadership” (…). Comunque oggi non servono tante parole, basta quel sorriso del Segretario che sta conquistando tutti e di chi, come lui, crede in quello che fa». Lo speciale elezioni delle pagine interne si sofferma sulle vittorie in Veneto, Piemonte. Sulla Lombardia la PADANIA titola significativamente “Lombardia, la Lega vince il derby”, che è una lettura politica forte del risultato lombardo: «Se esistessero ancora le vecchie sigle di Forza Italia e An, i padani sarebbero sul primo posto del podio in tutte le provincie (sic) del territorio- Pdl battute dal Carroccio a Bergamo, Sondrio, Lecco. Pareggio a Como e Brescia”. Il vicepresidente in pectore del Pirellone, Andrea Gibelli, pone i suo paletti: meno cementificazione, applicazione del federalismo fiscale.
ITALIA OGGI – “La lega sfonda al nord”. Apre così il numero post elettorale, che però avendo chiuso alle 22 di ieri non è aggiornatissimo. Da segnalare il primo piano in cui si anticipa il “ricambio generazionale” nel Pdl. In particolare si parla di un pensionamento del capogruppo di Montecitorio Fabrizio Cicchitto il cui posto dovrebbe essere preso da Maurizio Lupi. La nomina di Lupi fra l’altro coinciderebbe con un forte ridimensionamento della posizione del vicecapogruppo alla camera Italo Bocchino, finiano di ferro: «In sostanza quello di Lupi» scrive Franco Talenti, «sarebbe un segnale politico duplice, con un chiaro altolà ai continui smarcamenti di Fini e dei suoi fedelissimi».
IL SOLE 24 ORE – Apre con “Bene la maggioranza, la Lega vola” ma segnala anche il forte astensionismo. Due gli editoriali. Il primo a firma di Stefano Folli titola “Il carroccio apre la strada al premier” «dopo due anni di legislatura e una crisi economica molto seria tra le mani, nessuno si sarebbe meravigliato se Silvio Berlusconi avesse perso le elezioni regionali. Altrove in Europa accade così. Ne sa qualcosa il francese Nicolas Sarkozy che in un passaggio elettorale analogo, pochi giorni fa, è rimasto schiacciato sotto l’astensionismo e ha visto scivolare a sinistra l’intera nazione, tranne l’Alsazia.», insomma «alla resa dei conti, il Popolo della Libertà esce dalle urne con un’affermazione evidente». Se è chiaro chi ha vinto e chi ha perso è altrettanto evidente che è l’“Ultima chance per rilanciare l’economia” come cita il titolo del secondo editoriale a cura di Orazio Carabini «Adesso che lo scrutinio delle schede elettorali è terminato lo potrà dire anche chi sta al governo: i prossimi ani non promettono niente di buono per l’economia italiana. Spiace doverlo ribadire ma un paese che si accontenta di crescere di qualche decimo di punto l’anno è destinato a un declino tanto rapido quanto inesorabile». Insomma è vero che il mandato di Berlusconi durerà altri due anni ma è evidente «che dovranno essere diversi dai primi due». È tempo di riforme e «i tre anni di tregua elettorale che cominciano oggi sono un’occasione da non perdere». Infine il tema dell’astensionismo. Come scrive Andrea Romano in “Un segnale alla cattiva politica” è un dato che « può essere analizzata da due prospettive radicalmente differenti. La più semplice e diffusa è quella che in questi giorni abbiamo letto e ascoltato da più parti: se l’esercizio del voto è un «dovere civico», come recita l’articolo 48 della Costituzione, chi non vota rinuncia a decidere del proprio futuro e consegna le chiavi del paese o della regione al primo che passa. Ne deriva che gli astenuti hanno sempre torto e che la crescita del non voto è un sintomo allarmante di distacco dei cittadini dalla democrazia. Detta con un pizzico di crudezza: la minestra che passa il convento va sempre accettata con gratitudine, anche se è ben lontana dall’essere gradevole al palato». La seconda lettura invece «guarda alla nuova fisionomia che l’astensione dal voto ha assunto nelle democrazie contemporanee. Non solo negli Stati Uniti, dove come è noto l’esercizio del diritto di voto comporta un sovrappiù di volontarismo richiesto dalla registrazione alle liste degli elettori, ma anche in paesi come la Francia e la Gran Bretagna che certamente non possono essere considerate esempi di democrazia incompiuta. In questi come in altri casi si segnala ormai da anni un andamento variabile della partecipazione al voto. Non tanto un calo costante dei votanti, ma per l’appunto una variazione quantitativa del partito degli astenuti in relazione alla migliore o peggiore qualità dell’offerta politica. Detta con lo stesso pizzico di crudezza: se la minestra che passa il convento proprio non mi piace, posso anche saltare la cena senza sentirmi in colpa. Non lo farò per sempre né maledirò la generosità dei frati, ma forse la prossima volta quella loro mensa potrà fare più attenzione alla qualità della cucina». L’unica conclusione possibile è la politica si domandi come «recepire il messaggio lanciato da quel terzo di italiani che ha deciso di non andare al voto. Un messaggio meno primordiale di quanto si pensi: un segnale di consapevolezza che altre democrazie hanno già conosciuto, certamente lontano dall’espressione di un qualunquismo che forse è incarnato proprio da questa cattiva politica».
AVVENIRE – Editoriale del direttore Marco Tarquinio «Alla fine sono state le elezioni dello scontento. E a vincere persino in modo rocambolesco sono stati quelli che agli scontenti hanno saputo dare le risposte più convincenti. Vince la Lega di Umberto Bossi e Cota e Zaia che intercetta come mai prima il vento del nord grazie anche a toni meno veementi e più rassicuranti, all’archiviazione degli slogan più sferraglianti e una calibrata selezione delle idee e adesso dopo il gran bottino li aspettiamo alla prova. Vince Silvio Berlusconi anche se il suo PdL flette visibilmente anche se ha una «maggioranza chiara eppure a geografia variabile» come la definisce Tarquini. Vince Nichi Vendola capace nella “sua“ Puglia di imporsi al Pd squassato e di far pagare al PdL e al Udc il prezzo di divisioni locali. E vince soprattutto Renata Polverini nel Lazio dei troppi pasticci: vince con merito sul fil di lana, grazie a un via via più incisivo passo “valoriale” che l’ha sostenuta contro ogni speranza “politica” nell’incredibile corsa ad ostacoli che si è ritrovata disputare con la radicale Emma Bonino. Tarquini conclude: «A giudicare da certi toni di vincitori e vinti sarà dura. Per tutti c’è molto da riflettere. Da cambiare. E da fare». Intervista al sondaggista Nando Pagnoncelli sull’astensione. «Dai sondaggi sappiamo che siamo in un momento in cui cresce la preoccupazione per la crisi economica, la perdita di posti di lavoro, per il peggioramento delle condizioni di vita complessive. E ovvio che la gente si sia sentita abbandonata e abbia reagito di conseguenza». Sull’oscuramento dei talk show Pagnocelli risponde: «Da un lato quei programmi hanno un pubblico già schierato però hanno la funzione di tenere vivo il dibattito, quindi svolgono una funzione mobilitante in prossimità del voto che si è persa. Non dimentichiamo che anche elettori Pdl erano contrari al provvedimento».
LA STAMPA – “Boom della Lega, Piemonte a Cota”. Non lascia dubbi l’apertura di prima pagina della STAMPA che registra il sorpasso leghista ai danni del centrosinistra e della Bresso proprio in Piemonte. Ma tutta la prima è dedicata alle elezioni regionali: doppio editoriale, tre lanci di spalla e due analisi di taglio medio. Ben 15 pagine per mostrare i risultati, discutere dei presunti retroscena e per dare qualche spunto al lettore su cosa potrebbe succedere in futuro. “Una lezione alla sinistra” titola il pezzo di taglio basso a pagina 2, in cui si fa largo l’intesa Lega-Pdl per una riforma in cui trovino spazio federalismo e presidenzialismo. “Ci siamo presi il nord” gli fa eco l’articolo alla pagina successiva: «Il segnale è che il Paese deve cambiare, altrimenti andrà a picco». Parole di U. Bossi. Ma “La Lega raddoppia i voti (anche, ndr.) in tutto il Nord-Ovest” dove Cota batte di misura la Bresso. Qui il popolo No Tav si riversa sul movimento dei grillini mentre i sostenitori della Tav sul centrodestra. A secco Bresso & Co. Replica Beppe Grillo da Genova “Se il centrosinistra perde non è colpa nostra” a pagina 5 e lancia il proprio movimento: «Siamo la Lega del terzo millennio». Attendendo l’avvento del “grillino” vincitore, la Lega fa il pieno in Veneto, dove supera abbondantemente anche il Pdl nella sfida fra partiti. Ma l’ordine di scuderia è chiaro: nessuno screzio fra Bossi e Berlusconi, il messaggio di Zaia lo è altrettanto: «La politica non si fa approfittando delle difficoltà dei compagni di viaggio». Dall’altra parte, in Liguria esulta Claudio Burlando e il centrosinistra prende ossigeno (pagina 7), Vendola intanto rivendica il suo successo in Puglia lamentando: “Siamo isolati”. Calabria e Campania nemmeno a parlarne: “Trionfo Scopelliti, Loiero ‘doppiato'” e “Napoli volta pagina. Il centrodestra chiude l’era Bassolino”. “Emma polverizzata” è invece il titolo dell’articolo dedicato alle elezioni a Roma. Enfatico sicuramente simbolico. E un retroscena viene offerto da Fabio Martini in taglio basso: “E Fini medita la svolta”. Insieme ai suoi fedelissimi il presidente della Camera fa il punto sul voto romano, sulle difficoltà di An, sull’astensionismo e sembra lanciare segnali distensivi di possibili accordi sulle riforme. Intanto, di nuovo sul fronte del centrosinistra “Scatta la resa dei conti”, un commento su tutti: «Astensione, Lega-boom e i voti alle liste di Grillo… c’è qualcosa che non va». A dirlo è Mister “Baffino” D’Alema. Ce n’è anche per Casini, “Senza noi dell’Udc la destra non vince”, già, ma il titolo precisa “Dal Lazio in giù” citando lo stesso Casini, quasi a ricordare la famosa frase del giocatore di calcio a fine partita: «sono completamente d’accordo a metà con il mister».
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