Due incontri in una settimana, in cui mi sono trovato a disquisire e ad ascoltare argomentazioni sul tema della bellezza. Il primo è stato a Mantova, al Teatro Bibiena dove, invitati dall’associazione Polaris Cultura insieme con Stefano Zecchi, Willy Pasini e altri abbiamo affrontato il tema della bellezza nei cinque sensi. Io ho sottolineato che bellezza e gusto sono facce della medesima medaglia, e non certo perché il gusto, soprattutto oggi, tende a presentarsi anche bello esteticamente. Il gusto per evocare bellezza deve avere sostanza: guai se l’estetica mirasse a coprire il vuoto lasciato dal gusto e dalla funzione di un cibo: nutrire, ma anche evocare una conseguenza della bellezza che è il piacere (ma non finisce qui). Perciò il gusto è anche memoria, ed è misuratore di un ordine che nostra madre evocava ogni volta che portava in tavola i prodotti di stagione, facendo senza saperlo un potentissimo gesto culturale: affermava che tutto è dono, frutto di una natura dalla quale, volenti o nolenti, dipendiamo. Stefano Zecchi ha detto una cosa straordinaria: «La bellezza non è una cosa finita, ma una domanda di verità». E questo, forse, è racchiuso nel gesto di Michelangelo, che davanti alla Pietà si dispera (perché non parli?). Ma può succedere – è successo a me – anche davanti alla perfezione di un vino che, pur bevendolo, non puoi possedere fino in fondo. E ti strugge (ecco perché non finisce tutto col piacere).
Il secondo incontro è stato a Milano, con lo scrittore Luca Doninelli che moderava un incontro dove c’era, fra gli altri, Giacomo Poretti, quello di Aldo, Giovanni e Giacomo. Il quale ha esordito dicendo che la bellezza non si può spiegare a parole, perché tutto il meglio di noi è nell’atto della creazione e parla da sé. Lo è una fotografia, un quadro, la risata che ti strappa un comico e che dev’essere un po’ come quando Dio ti prenderà in braccio e tu riderai. Cioè sarai felice. Ecco perché la bellezza è una ferita: ancora ci manca quel riso in braccio a Dio.
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