Cultura

cattolici e gay, il tempo del silenzio è finito

Presentato il primo report sugli omosessuali credenti

di Sara De Carli

Sono più di 500 in Italia
gli omosessuali aderenti
a un gruppo che si qualifica come “credente”. La Chiesa chiede ancora discrezione, ma i numeri crescono.
E la fede a loro interessa molto più dell’attivismo
L’attivismo non è la loro cifra. Qualunque sia la bandiera in causa. Gli omosessuali credenti riuniti in associazione preferiscono la contemplazione all’azione, che si tratti di scendere in piazza con il movimento Lgbt o di impegnarsi in parrocchia. Il dato emerge dal Primo rapporto sui gruppi cristiani omosessuali in Italia, che ha contato 26 gruppi e 538 aderenti. E ha scattato un’inedita fotografia di un mondo sconosciuto.
Protestanti, anglicani, ortodossi, alcuni atei, c’è un po’ di tutto. Ma l’81% degli aderenti è cattolico. Che dimostrano come essere omosessuali e cattolici non è impossibile: i praticanti, anzi, arrivano al 52%, una volta e mezza la media italiana. Tuttavia i contorni del rapporto tra Chiesa e gay restano ambivalenti: solo il 15% dei gruppi è guidato da un prete. Per il resto il sacerdote o non c’è o è un semplice partecipante, per lo più occasionale e a titolo personale. D’altra parte, solo il 19% dei gruppi è interessato a collaborare con le parrocchie.
Nata nei primi anni 80 a Torino, questa realtà associativa si è diffusa in tutta Italia, con un boom nell’ultimo decennio (+57%) e un ritmo di crescita annuo del 7%. Pochissime le donne: solo il 16%. L’età media è di 40 anni, ma si va dai 25 ai 70. Ogni gruppo ha la sua: «Le persone invecchiano nei gruppi, le nuove energie tendono a costituirne di nuovi», dice Gianni Geraci, del gruppo milanese Il Guado. «È una differenza di stile del ritrovarsi, non di filosofia. Dietro i nostri gruppi non c’è un progetto di militanza ma di crescita personale». Lo confermano le definizioni dello scopo del gruppo: al primo posto c’è lo scambio di esperienze e la riflessione su fede e omosessualità. Seguono il pregare insieme e il fare amicizia. La lotta all’omofobia all’interno della Chiesa interessa a un gruppo su due, il coordinarsi con il movimento Lgbt al 38%.
«Di sacerdoti che ci seguono alla luce del sole ce n’è solo uno, a Catania», dice Geraci. «Molti ci guardano con simpatia, più della metà dei gruppi ha sede presso parrocchie o enti religiosi, ma la raccomadazione è spesso quella di “essere discreti”». Cioè si fa ma non si dice. Altrimenti finisce come con il coro gay di Bologna, che provava in parrocchia: quando è uscito sulla stampa è stato costretto ad emigrare. «Nella comunità credente c’è accoglienza, speriamo che cambi qualcosa anche nelle istituzioni», spera Geraci. Intanto il vescovo di Cremona ha voluto, primo in Italia, un gruppo diocesano, inserito pienamente nella pastorale ordinaria.


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