Non profit
in olanda la casa è un affare sociale
Un terzo delle abitazioni olandesi sono di edilizia convenzionata. Un segmento gestito in gran parte dal terzo settore. Parla Taco Brandsen
di Rose Hackman
Il 30% delle case in Olanda sono case sociali, una percentuale molto alta se paragonata a tutti gli altri Paesi europei. Ma questo non è il dettaglio più sorprendente: questa porzione significativa delle abitazioni nel Paese dei tulipani è quasi totalmente gestita da imprese sociali. Taco Brandsen, docente di Pubblica amministrazione all’Università di Radboud Nijmegen, specializzato in terzo settore e social housing, ha risposto alle domande di Vita ad un workshop sull’economia sociale alla facoltà di Economia di Forlì in collaborazione con Aiccon.
Vita: Il caso olandese è una best practice?
Taco Brandsen: Le imprese sociali che si occupano quasi esclusivamente di social housing sono best practice, però non direi che sono il modello che ogni Paese deve seguire. Certo ha più potenzialità che un modello di Stato.
Vita: Perché?
Brandsen: Perché c’è una volontà di diversificazione delle attività sociali da parte delle imprese, non la vedono solo come il fornire case decenti per il segmento povero della popolazione. I fornitori sociali non hanno avuto paura di andare oltre la loro job description classica, hanno creato progetti innovativi, sviluppando il lato di lavoro sociale.
Vita: Cosa intende per “progetti innovativi”?
Brandsen: Stanno guardando oltre alla loro mission, sviluppando i programmi in accordo diretto con i bisogni sul campo: sicurezza dei quartieri, disoccupazione, educazione…
Vita: Un servizio molto più ampio?
Brandsen: È il social housing in un senso nuovo e più vasto. Si tratta di capire come la gente vive e come può utilizzare le proprie risorse nel modo migliore. Certo, c’è un aspetto commerciale: se le persone che vivono nelle case sono felici, magari contribuiranno ad un miglioramento del quartiere, portando a un aumento al valore della casa. Ma l’aspetto etico rimane il più importante: le imprese sociali entrano nelle case della gente, e allora come puoi ignorarne i bisogni?
Vita: Però è un sistema lontano dalla perfezione…
Brandsen: Il pubblico nel mio Paese è molto critico verso questi enti, che percepisce come troppo indipendenti e difficili da controllare. Non aiuta poi il fatto che i media rappresentano di questo mondo solo i casi negativi, dove ci sono stati problemi di corruzione o errori commessi.
Vita: Quali sono questi errori?
Brandsen: L’unico fallimento del sistema secondo me è anche la sua forza. Queste organizzazioni possono sperimentare così tanto proprio perché non sono controllate dal pubblico. Ma chi dice esperimenti dice anche errori, non tutte le sperimentazioni hanno risultati buoni. Così ogni tanto si spendono soldi su qualcosa che non porta a niente, è una cosa normale, non lo definirei nemmeno un problema.
Vita: L’Italia cosa potrebbe imparare da questo modello?
Brandsen: Incoraggerei innanzitutto una partecipazione ampia da parte delle cooperative, che non dovrebbero avere paura di allargare enormemente i loro obiettivi.
Vita: Quali prospettive per il futuro: sopravviverà il modello? Verrà trasformato?
Brandsen: Certo che sopravviverà, semplicemente perché è sopravvissuto fino ad adesso. Le imprese sociali in questo ambito hanno anche il vantaggio di essere facilmente autosufficienti. Il sistema è abbastanza robusto e quindi in questo senso è stabile. Forse saranno meno liberi, più controllati. Però saranno sempre là.
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