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Paralimpiadi, medaglia d’oro alla tv

di Redazione

Bellissime le Paralimpiadi di Vancouver. Belle le gare, splendidi gli atleti, eccellente la qualità televisiva. Per la prima volta la copertura, ampiamente annunciata, delle gare canadesi è stata all’altezza delle aspettative. Ho sentito finalmente telecronisti competenti, appassionati, capaci di calarsi nel contesto delle singole competizioni e di coglierne da un lato le specifiche tecniche (compresi i diversi tipi di disabilità degli atleti, cosa tutt’altro che agevole), dall’altro di trasmettere quella giusta tensione emotiva che lo sport esige, se non vuole essere semplicemente una vetrina di buoni sentimenti.
Ovviamente l’enfasi è stata posta sui nostri campioni, sulle medaglie conquistate, sette, culminate nell’oro della sempiterna Francesca Porcellato. Il racconto sportivo in televisione, non solo in Italia, è molto patriottico, a scapito, a volte, della capacità di riconoscere i grandi valori dei campioni altrui, che comunque, nello sport paralimpico, sono atleti esemplari, da imitare, da conoscere, da seguire. Ma anche con questa sottolineatura di parte, siamo riusciti a vedere e capire la differenza fra il sitting e il curling, fra il biathlon e lo sledge hockey, e a comprendere quanto sia decisivo, nello sport paralimpico, essere preparati, allenati, in simbiosi fra il proprio fisico e le protesi tecnologiche (tali sono ormai gli slittini, i monosci, le bacchette per lo slalom).
Che succede ora? Io vorrei prima di tutto che la Rai, quando uscirà dalla confusione elettorale, si dedicasse seriamente a organizzare la propria produzione di contenuti informativi sulla disabilità, magari partendo dallo sport, ma allargandosi alla vita di tutti. La nuova dimensione del digitale può consentire soluzioni analoghe a quelle che ha saputo mettere in campo Sky. E poi vorrei che i giornali, i settimanali, l’online, si occupassero regolarmente e seriamente della disabilità, senza superficialità e ignoranza. Dopo le Paralimpiadi non sarebbe più accettabile.

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