«Definire gli standard che regolamentino il mercato dei servizi di welfare». È questa una delle priorità che Claudia Fiaschi, presidente del gruppo cooperativo Cgm, vorrebbe veder realizzata dopo le elezioni. Il perché lo spiega subito dopo: «Sono gli enti locali a definire l’offerta: dunque il loro ruolo è veramente strategico in questo ambito. È per questo che ritengo opportuno un loro intervento: i servizi devono essere inseriti entro una cornice etica che mette in relazione costo e qualità».
SocialJob: Da dove deriva questa necessità?
Claudia Fiaschi: In un momento di scarsità delle risorse può esserci la tentazione di soprassedere alla qualità per privilegiare la sostenibilità e tenere sotto controllo i costi. Da qui l’opportunità di regolamentare. Anche perché non sono molti i margini da contenere in un ambito labour intensive come quello dei servizi. È difficile comprimere i costi di produzione in un ambito in cui il fattore umano è assolutamente determinante per approccio, motivazione e stile. Dunque bisogna stare attenti alla tirannia del mercato. Al contempo è importante che non siano compressi i diritti delle persone. Una seconda priorità ha a che fare con le novità più recenti.
SJ: Quali?
Fiaschi: Occorre cercare di capire come regolamentare al meglio e più efficacemente tutto il sistema di welfare integrativo, quello che il Libro bianco definisce il «secondo pilastro». E che si appoggia, per le prestazioni e i rimborsi, sui fondi datoriali. Nei servizi tradizionali, che sono praticati ovunque, si potrebbero inoltre comparare i diversi modelli di produzione per capire meglio come conciliare la tutela dei lavoratori e quella dei cittadini.
SJ: Si riferisce agli addetti ai servizi?
Fiaschi: Certo, ma non solo. Uno dei temi trasversali a tutti i settori è la fragilità occupazionale in particolare delle fasce deboli. Occorrerebbe a mio parere sviluppare politiche che sostengano quelle realtà che, oltre a raggiungere risultati economici talvolta significativi, dimostrano una specifica capacità sociale, ad esempio facilitando o promuovendo l’inserimento lavorativo delle persone svantaggiate.
SJ: Dunque sostenere di più le cooperative. Non c’è il rischio del protezionismo?
Fiaschi: Non è protezionismo, è una attenzione doverosa: non va assolutamente trascurato il potenziale strategico di tutte le forme di auto-impiego. È chiaro che gli enti locali dovrebbero far propria questa riflessione, tenendo conto anche del fatto che il tessuto produttivo italiano è fatto soprattutto da piccole e medie imprese. Tra le priorità che mi piacerebbe veder realizzate dopo le elezioni, ci sono poi le nuove emergenze.
SJ: A cosa si riferisce?
Fiaschi: Ad esempio all’accesso a servizi di tipo tradizionale in un contesto di crisi economica. Il classico ambito è la sanità: quanto è alta la percentuale di popolazione esclusa da prestazioni di qualità che, pur essendo fondamentali, non sono accessibili? È chiaro che non si può andare avanti così. Quello che serve è un welfare che punti maggiormente sulla famiglia. Oggi le persone hanno difficoltà persino a farla una famiglia. Quindi serve una attenzione specifica e mirata ai giovani. Non è possibile immaginare il futuro senza cercare di renderlo generativo.
SJ: Ha in mente delle proposte concrete?
Fiaschi: Credo si debba anzitutto cercare di avere un approccio globale. Non solo sostegno alla genitorialità, ma anche politiche attive per il lavoro, per la casa, più servizi. Tutto ciò insomma che fa la differenza e che potrebbe sostenere i tassi di natalità.
SJ: Che oggi sono meno negativi grazie al contributo dei migranti…
Fiaschi: Ragione di più per fare politiche di sostegno alla loro integrazione. Da questo punto di vista e in generale sul tema dei servizi di welfare servono risorse ma anche una visione complessiva, oltre che buone idee.
SJ: Buone pratiche?
Fiaschi: Esattamente. Iniziative significative in Italia non mancano. Molti enti locali, Comuni e Regioni, hanno immaginato risposte concrete alle diverse esigenze di cui abbiamo parlato. In Lombardia, per esempio, reputo ottime le diverse “doti”, in Veneto hanno messo in piedi politiche interessanti contro le nuove povertà e per accompagnare le fragilità occupazionali. Ancora: in Puglia si sono dati molto da fare sviluppando i servizi per l’infanzia. Ma in Italia abbiamo il vizio della sperimentazione…
SJ: E cioè?
Fiaschi: Siamo un popolo dell’eterno sperimentare. Il che va benissimo. Quel che mi sembra vada meno bene è che non si fa mai tesoro dei processi, trasformando le sperimentazioni in buone pratiche da implementare su tutto il territorio. Da questo punto di vista sarebbe molto importante costituire un tavolo tra le Regioni per analizzare le diverse sperimentazioni, confrontarne i risultati per poi scegliere quelle politiche che si siano dimostrate più efficaci. Sarebbe un luogo dove tirare le conclusioni, mettendo le premesse per condividere politiche strutturali e impedendo così che le sperimentazioni si protraggano per anni…
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