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Giustino Parisse: «Sarò ancora padre»

Il giornalista del «Centro» il 6 aprile perse i due figli Domenico e Maria Paola

di Redazione

«Io e mia moglie stiamo pensando ad un’adozione. Ci restano da vivere ancora tanti anni: sentiamo il bisogno di allargare quello che resta della nostra famiglia» C’è un momento in cui Giustino Parisse, giornalista del Centro, padre di due ragazzi e figlio di un padre che oggi non ci sono più, ha riaperto gli occhi. Era mercoledì. Due giorni dopo la fine di tutto. Solo qualche ora prima, di sua mamma, invalida al 100% per una grave forma di osteoporosi, estratta delle macerie quasi per caso e viva per miracolo, aveva pensato «ma perché non l’hanno lasciata lì». Poi è successo qualcosa. «Ho incontrato il mio amico Gianfranco, gli ho battuto un pugno sulla spalla: “Gianfrà, sto’ paese lo dobbiamo ricostruì”». La frase gli è uscita da sola. Come un riflesso incondizionato.
Un anno dopo Giustino rimane un uomo distrutto. Se gli chiedi del suo futuro ti risponde che gli è ininfluente, «come irrilevante sarebbe la mia morte o la mia vita». «Ormai non riesco più a programmare niente, ad immaginare nemmeno cosa succederà fra 24 ore». Sul suo comodino c’è un libro di Dan Brown, «L’ho letto, i libri sono la mia passione, ma cose come questa non ti lasciano niente dentro». Irrilevanti. Anche loro. Ad un certo punto lo dice tondo tondo: «Felicità, gioia: sono concetti che non mi appartengono». Parole di un’altra vita. Eppure quel pugno d’affetto dato al compaesano Gianfranco segna comunque un solco, fra il dolore e i sogni. Eh sì, perché Giustino di sogni ne ha ancora, «anche se ogni mattina ti devi rimettere le batterie, se no è un casino». Anche se ha deciso di abbandonare la vita da redazione, «scrivo solo da casa, le tensioni dell’ufficio non le sopporterei più». Anche se la sera non si fida a lasciare la moglie sola a casa e quando capita di dover uscire per un servizio di notte «c’è sempre qualcuno con lei». Anche se «questa, quella dopo il 6 aprile, è un’altra storia».
Vita: Partiamo da mamma Maria, che ora vive nella porta accanto al suo Map (modulo abitativo provvisorio). Ha mai provato un rimorso per i pensieri che le sono venuti in testa dopo il suo salvataggio?
Giustino Parisse: Lei ha perso il marito e i due nipoti che erano la luce dei suoi occhi. Ma davanti a me non ha mai versato una lacrima. È lei a darmi forza. Insieme a mia moglie e a mio fratello è la famiglia che mi è rimasta. Eravamo in sette, ora siamo in quattro. Poi vedremo.
Vita: A cosa si riferisce?
Parisse: Con mia moglie Dina stiamo pensando ad un’adozione. Dopo Haiti abbiamo anche contattato un’associazione. Prima o poi questa cosa la portiamo a termine. Come aspettativa di vita ci restano ancora 20/25 anni. Il senso di continuità è un bisogno che sentiamo forte.
Vita: Altri sogni?
Parisse: Io in questa casa più di altri due anni non ci sto. Se non riparte la ricostruzione, me ne ricostruisco una io. Qua vicino. Ho già consegnato il progetto. Coi soldi miei naturalmente. Una casa per me, per mamma. E poi una biblioteca. Avevo 5mila libri, li ho recuperati praticamente tutti e li ho portati in una vecchia casa che ho ereditato da mio zio a Paganica. Stanno ammucchiati negli scatoloni. Solo sulla storia dell’Abruzzo ho oltre mille titoli. Tutti catalogati. L’unica cosa che ho perso sono le enciclopedie. Se ho un obiettivo è quello di riparare la biblioteca. Come avevamo deciso con i miei figli. Domenico in particolare che aveva curato anche il sito internet (www.ilcespo.it), che oggi ho riattivato.
Vita: Sua moglie come sta?
Parisse: Cerca di andare avanti. Sta al dipartimento di chimica. A parte il primo mese, non ha mai smesso. Lavora dalle 8 alle 15.30, dal lunedì al venerdì.
Vita: Come passate i week end?
Parisse: Spesso andiamo in giro. Ultimamente siamo stati a San Sepolcro in Toscana dove c’è un museo della Resistenza e hanno raccolto fondi per Onna. Poi siamo stati due volte a Lecco, poi a Napoli, a Torre Annunziata, a Castel Guidone (un paese fra Lazio e Abruzzo) che con la parrocchia ci ha fatto avere delle donazioni.
Vita: Vacanze?
Parisse: No, non le facevamo prima figurati adesso. Non sono mai esistite e non esisteranno mai. Non tutti la pensano come me. Per esempio qui c’è un amico che ha perso due figli. Ma ne aveva quattro e due sono rimasti. Ecco loro a Natale se ne sono andati a New York. Sono stati lì dieci giorni per staccare da Onna.
Vita: Come sta il paese oggi?
Parisse: Se parliamo di quello vecchio, Onna è un cumulo di macerie.
Vita: E gli onnesi?
Parisse: Già a maggio abbiamo avuto un’intuizione. In quel momento il governo voleva fare solo quei palazzoni che chiamano piano Case. Qui a Onna non era previsto nulla. Noi saremmo stati presi e portati a Paganica o Bazzano. Significava cancellare un paese dalle carte geografiche. Allora ci fu una sorta di sollevazione, grazie alla presenza della Pro Loco e alla nascita di Onna Onlus, e così decisero di fare questo villaggio. La proprietà del terreno era di una ex famiglia nobile dell’Aquila, gli Alfieri, i cui eredi hanno scelto di cedere il terreno in cambio di un paio di casette. Ma non è solo questo.
Vita: Che altro?
Parisse: C’è una maggiore consapevolezza di prima di essere una comunità. Forse c’è più sopportazione, ma nemmeno in tutti. Il terremoto è una brutta bestia. C’è anche chi si è chiuso in se stesso e chi è più aggressivo. Ma tutti sappiamo che quel piccolo paesetto che sembrava una cosa normale, era il nostro mondo.

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