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Sfila il popolo dell’acqua

Una grande manifestazione a Roma per chiedere il ritorno alla gestione pubblica

di Redazione

Oltre tre mesi fa, a novembre, e’ stata approvata la riforma del servizio idrico che, di fatto, privatizza definitivamente la gestione dell’acqua. La novita’ e’ stata introdotta con il via libera definitivo dell’Aula della Camera al decreto legge Ronchi sugli obblighi comunitari che ne disciplina la gestione in una norma ad hoc. Una norma fiermanente osteggiata dalla galassia del “popolo dell’acqua”, il fronte di chi difende l’oro blu come bene pubblico.

Sabato 20 marzo il ‘popolo dell’acqua’ sfilera’ da Piazza della Repubblica a Piazza Navona. Alla testa del corteo il Forum italiano dei Movimenti per l’Acqua e l’Associazione nazionale per l’acqua pubblica cui aderiscono oltre 200 enti locali di opposti schieramenti politici. “E’ una delle alleanze piu’ ampie che si sia mai vista in Italia”, dice il segretario del Fima, Paolo Carsetti. La difesa della gestione pubblica dell’acqua, unisce, infatti, “amministrazioni locali di centrodestra e di centrosinistra, ambientalisti, associazionismo cattolico, consumatori e mondo sindacale. I distinguo, naturalmente, non mancano, ma il fronte che si sta consolidando e’ sempre piu’ ampio e convinto della necessita’ di scendere in campo per tentare il tutto per tutto di fronte ad una strada che appare senza ritorno, quella dell’oro blu come mezzo per fare soldi”.

Il 20 marzo, racconta, “in concomitanza con la giornata mondiale dell’Acqua sancita dall’Onu (che cade esattamente lunedi’ 22 marzo), partira’ da piazza della Repubblica “il corteo per difendere l’acqua come bene pubblico, ma anche l’aria, il clima, il territorio, l’energia pulita. . Sostegono l’iniziativa del 20 marzo “tutti partiti della sinistra radicale, Verdi, Sinistra e Liberta’, Sinistra critica, Italia dei valori”.

“Il Pd – ironizza Carsetti – noi lo classifichiamo come ‘non pervenuto’. Il partito democratico, infatti, non ha preso ancora una posizione chiara a difesa dell’acqua, perche’ finora, a partire dagli anni 90, ha promosso la privatizzazione. Nei territori i Ds prima e il Pd ora hanno sempre favorito se non promosso la gestione privata. Non a caso le prime regioni a privatizzare la gestione sono state Toscana, Umbria ed Emilia Romagna. Scelta che non ha affatto portato maggiore efficienza nel servizio idrico, anzi! Arezzo in Toscana (la prima a privatizzare la gestione) ha le tariffe piu’ alte d’Italia a fronte degli investimenti piu’ bassi”. Anche per Cisl e Uil il segretario ricorre al sarcasmo. Anche loro, dice, “non pervenute”. La Cgil, invece, ha “gia’ dato il proprio sostegno all’iniziativa”

.”Le tappe del percorso che prende il via dopodomani – spiega Carsetti – si concludera’ a meta’ luglio con la presentazione delle firme per il referendum abrogativo” di tutte le leggi che finora hanno via via privatizzato sempre di piu’ la gestione dell’acqua, inclusa l’ultima, quella che porta la firma del ministro delle Politiche Ue, Andrea Ronchi, approvata a novembre scorso. Da meta’ aprile a meta’ luglio”, precisa, tutto il Fronte per la difesa dell’acqua come bene pubblico sara’ impegnato nella raccolta delle firme ed io sono convinto – dice – che supereremo la soglia richiesta”. “Il 2 marzo – racconta – e’ nata ufficialmente l‘Associazione del Coordinamento nazionale degli Enti locali per l’acqua bene comune e per la gestione pubblica del servizio idrico”. Un passaggio chiave, dice, “perche’ in questi anni moltissimi enti locali hanno approvato delibere in difesa dell’acqua come bene privo di rilevanza economica (andando cosi’ in controtendenza rispetto alla legislazione nazionale e riappropriandosi di conseguenza della potesta’ legislativa in materia), ma ognuno si e’ mosso isolatamente. All’inizio del mese, invece, per la prima volta, diventano parte di un’organizzazione comune per rafforzare la loro azione. Sono gia’ oltre 200 fra comuni, province e c’e’ anche una regione, la Puglia”.

Tutti gli enti locali coinvolti nella nuova Associazione, evidenzia Carsetti, sono uniti dal “comune obiettivo di sottrarre la gestione dell’acqua e dei servizi idrici al mercato e alle multinazionali anche ricorrendo al referendum abrogativo delle norme che impongono la privatizzazione dell’acqua. E tutti ritengono necessario che l’acqua venga riconosciuta come bene comune appartenente alla comunita’.

Leggi qui l’appello di padre Alex Zanotelli

Il percorso del corteo e informazioni logistiche

 

SCHEDA: STORIA DELLA PRIVATIZZAZIONE

Ma l’oro blu ne ha gia’ ‘passate’ tante nell’ultimo secolo e questo e’ stato l’ennesimo cambiamento che, piu’ di tutti gli altri, ha messo nell’angolo la gestione pubblica e ha ampliato gli spazi per quella privata. La storia parte da lontano. Fu sotto il governo Giolitti che venne approvata la legge nazionale per la municipalizzazione degli acquedotti. Una scelta scaturita dai problemi igienico-sanitari, dagli alti costi per i cittadini e dalla necessita’ di estendere il servizio alle fasce piu’ povere della popolazione. Novantuno anni dopo, con la legge Galli, e’ iniziato invece il processo di privatizzazione. La legge del 5 gennaio 1994 n.36, come spiega Paolo Carsetti, segretario del Forum italiano dei movimenti per l’acqua , “ha sancito, infatti, il principio del full recovery cost. Principio in base al quale tutto il costo della gestione del servizio idrico deve essere caricato sulla bolletta e non e’ piu’, quindi, la fiscalita’ generale a farsene carico”. In particolare con la legge Galli viene stabilito che ognuno paga in bolletta il 7% di quanto il gestore ha investito. L’acqua, pero’, doveva essere comunque gestita dagli enti locali. La legge Galli, argomenta l’idrogeologo, ha comunque il merito di aver riorganizzato il servizio.

 

Fino a quel momento c’era stato un forte spezzettamento dei gestori del servizio. All’interno dello stesso territorio ce ne erano tanti: uno che faceva fronte ai servizi di captazione, uno per l’adduzione ed un altro per la depurazione. Uno spezzettamento che aveva portato alla presenza di “un numero di gestori superiore a quello dei comuni”. Di fronte a questo stato di cose, la Legge 36 ha introdotto “il concetto di ciclo integrato dell’acqua e quindi la necessita’ di un unico gestore per l’intero ciclo. A questo fine ha individuato gli Ambiti Territoriali Ottimali (Ato) in corrispondenza (almeno in linea teorica) dei bacini idrografici (in realta’ sono stati ricalcati i confini amministrativi). Nel 2000 e’ arrivato il Tuel, il Testo Unico Enti locali che ha previsto tre modalita’ di affidamento per la gestione del servizio idrico: alle Spa private scelte con gara; alle Spa miste pubblico-private e infine alle Spa pubbliche tramite affidamento diretto. Di fatto pero’, rileva il segretario Fima, “in molti casi le gare non si sono svolte e in ogni caso nel Tuel e’ rimasta, se pure in parte residuale, la possibilita’ di gestire l’acqua attraverso enti di diritto pubblico”. Sei anni dopo e’ intervenuto il decreto legislativo 152 del 2006 che ha ribadito le tre modalita’ di gestione fissate dal Tuel. Nel 2008, poi, la cosiddetta manovra estiva, varata con il decreto 112 del 25 giugno 2008 (Legge 133 del 2008) ha introdotto altre novita’ prevedendo, in particolare, che “le modalita’ ordinarie sono quelle dell’affidamento ai privati tramite gara e che, solo in via derogatoria, l’affidamento puo’ essere fatto senza gara e verso societa’ a totale capitale pubblico, le cosiddette in house, in linea con i tre criteri Ue. Il decreto – evidenzia Carsetti – ha poi demandato altri dettagli, incluso il regime transitorio, ad una serie di decreti attuativi che, pero’, non sono mai arrivati”.

 

Nel 2009, infine, il governo ha deciso di introdurre le misure contenute nel decreto sugli obblighi comunitari dando seguito a cio’ che era rimasto sospeso. La riforma dell’acqua e’ contenuta in particolare nell’articolo 15 del decreto legge. Articolo che da un lato ribadisce come la proprieta’ dell’acqua sia pubblica; dall’altra pero’ manda in soffitta tutte le gestioni in house entro il 31 dicembre 2011 a meno che entro questa data la societa’ che gestisce il servizio non sia per il 40% affidata a privati. La norma, in particolare, prevede due modalita’ per la gestione dell’acqua in via ordinaria ed un’altra in via straordinaria. Si stabilisce cosi’ che la gestione del servizio idrico debba essere affidato ad un soggetto privato scelto tramite gara ad evidenza pubblica oppure ad una societa’ mista (pubblico-privato) nella quale il privato sia stato scelto con gara. Oppure, ed e’ il caso straordinario, la gestione del servizio idrico puo’ essere affidata (“in casi eccezionali”) in via diretta, vale a dire senza gara, ad una societa’ privata o pubblica. In tal caso, pero’, si deve in primo luogo trattare di una societa’ in house, ossia una societa’ su cui l’ente locale esercita un controllo molto stretto; in secondo luogo, l’ente locale deve presentare una relazione all’Antitrust in cui motiva la ragione dell’affidamento senza gara. In terzo luogo, l’Antitrust deve dare il proprio parere.

 Poiche’, come noto, ad oggi sono gia’ moltissimi i casi di affidamento in house, il decreto mette nero su bianco il da farsi nella fase transitoria. Il provvedimento, infatti, prevede nel dettaglio che le gestioni in house debbano tutte decadere entro il 2011, a meno che entro questa data la societa’ che gestisce il servizio non sia per il 40% affidata a privati. Resta comunque possibile per la societa’ spiegare all’Antitrust i motivi per cui ricorra il caso straordinario che permette l’affidamento diretto. Nella sostanza, pero’, come denunciato anche dal segretario del Forum italiano dei movimenti per l’acqua , si stabilisce che “cesseranno tutti gli affidamenti in house al 31 dicembre 2011 visto che potranno proseguire fino alla naturale estinzione del contratto solo quelle societa’ in house che si trasformeranno in una societa’ mista con un 40% in mano ai privati. Di fatto insomma con l’attuale formulazione dell’articolo 15 si obbligano gli enti locali a mettere sul mercato l’acqua “.


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