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Lista Pdl, dal pasticcio al caos

Babele politica e di atteggiamenti, a destra e a sinistra, dopo la decisione del Tar

di Franco Bomprezzi

Dal pasticcio al caos, dal conflitto fra centrodestra e centrosinistra alle distinzioni interne ai due schieramenti politici, la cronaca odierna parte dalla decisione del Tar del Lazio e di dipana in mille commenti.

“Il Tar boccia il decreto salva-liste” è il titolone in prima de LA REPUBBLICA che al pasticcio elettorale dedica ampio spazio anche oggi. Ieri infatti il tribunale amministrativo del Lazio ha ribadito la non ammissione del Pdl perché la materia elettorale è di competenza regionale e dunque non è possibile un intervento del governo; inoltre la lista è stata presentata fuori tempo massimo e non c’è nemmeno la certezza che i rappresentanti del Pdl fossero nel Palazzo di giustizia. Per la Polverini non resta che la Corte d’appello e il Consiglio di Stato (e intanto dice: «aspettiamo le motivazioni»). «Si mette in modo un carosello di ricorsi e controricorsi» annota Gianluca Luzi. Difatti mentre Cicchitto e Gasparri in una nota congiunta commentano che «il Tar non ha applicato una legge dello stato e ha fatto una ricostruzione inesatta», Penati, rivale di Formigoni, annuncia: «se venisse confermata la volontà del Pdl di ricorrere al Consiglio di Stato, è evidente che tale circostanza farebbe venir meno le ultime perplessità che mi rimangono per fare lo stesso in Lombardia». «Ora non grideranno più al golpe» è invece il commento del premier, «nessuno potrà dire che abbiamo imposto alcunché di incostituzionale ai giudici, tanto è vero che se ne sono infischiati sia del governo che del presidente della Repubblica». La parola d’ordine in casa Pdl è sopire, sedare: lo scontro, sottolinea Francesco Bei, sta rischiando di diventare istituzionale. E si fa strada l’idea di far slittare le elezioni. Dal Colle si sottolinea il doveroso rispetto per le sentenze… Quanto all’opposizione, Pd Idv e Sinistra stanno preparando una manifestazione a Roma per sabato e intanto commentano con soddisfazione. Per Bersani«il decreto è un pasticcio più grande del pasticcio che avevano combinato presentando le liste». Di «figuraccia» parla Enrico Letta. Persino Di Pietro sembra arretrare rispetto alla richiesta di impeachment. La diretta interessata, Emma Bonino, parla di «boccata di legalità» e sull’ipotesi di un rinvio delle elezioni (caldeggiata da Pannella) commenta: «non sono per l’Aventino». A chiudere l’ampio spazio elettorale, due interviste. A Dario Franceschini (“Berlusconi punta al Quirinale e alla riforma presidenziale”) e al presidente emerito Carlo Azeglio Ciampi: “È il massacro delle istituzioni elezioni a rischio annullamento ora proteggiamo il Quirinale” (il Pdl doveva chiedere scusa per il pasticcio e lavorare per il rinvio delle elezioni, sostiene, invece ha preferito un «aberrante episodio di torsione del nostro sistema democratico»). In fine il commento di Stefano Rodotà (“Una crisi di regime”) che sottolinea l’incompetenza superficiale del governo (incapace di mettere a punto un testo in grado di superare il controllo del Tar) e la sua protervia (che butta a mare il federalismo quando gli conviene, e per di più è responsabile di un pasticcio causato dalle rivalità interne). «Comunque si concluda questa vicenda, il confine dell’accettabilità democratica è stato comunque varcato».

“Il tar non riammette la lista Pdl a Roma” è l’apertura del CORRIERE DELLA SERA di oggi. Al tema il quotidiano milanese dedica anche l’editoriale a firma di Massimo Franco (“Pasticcio parte seconda”): «La sensazione sconfortante è che il decreto sulle liste elettorali alla fine rischi di non servire a nulla. Finora non ha salvato quella del Pdl in provincia di Roma; e le altre due, di Roberto Formigoni in Lombardia e di Renata Polverini nel Lazio, sono state riammesse comunque dalla magistratura dopo i ricorsi. Insomma, la forzatura voluta dal centrodestra si è scontrata con il primato della legge regionale. La decisione presa ieri dal Tribunale amministrativo del Lazio complica la strategia di palazzo Chigi. Non è da escludersi per oggi un colpo di scena all’Ufficio elettorale di Roma, in attesa del Consiglio di Stato. Ma rimane la somma di pasticci giuridici e politici che la maggioranza è riuscita ad accumulare nella sua fretta di rimediare agli errori. L’obiettivo di far votare tutti era e rimane giusto. Il modo in cui Silvio Berlusconi e la sua coalizione hanno cercato di perseguirlo si è rivelato subito così segnato dall’affanno da diventare scomposto. Il provvedimento è stato chiesto e ottenuto dal Quirinale dopo un duro braccio di ferro, scartando soluzioni condivise arrivate anche su queste colonne». Sui nodi aperti nel fronte delle opposizioni il CORRIERE si intrattiene alle pag 8 e 9. “Bersani conferma il sì della piazza. Dalemiani e popolari frenano”, è il titolo di aperture di pag 8. Dice il segretario riferendosi alla mobilitazione prevista per sabato a Roma: «La manifestazione ormai è stata indetta e si va avanti: tirarsi indietro sarebbe impossibile anzi, non avrebbe senso, tanto più che la sentenza del Tar del Lazio ci dà ragione». Più cauti il dalemiano Latorre che sabato sarà impegnato, così come Fioroni che invita a evitare «di darci martellate». L’affiancamento in piazza Pd-Idv non piace nemmeno al sindaco di Firenze Matteo Renzi: “«Ma quale sit –in , evitiamo tafazzismi da leghisti di sinistra»”. E ancora: «Il paese comincia a capire che non è il governo del fare ma del rimediare: tocca a noi dare un progetto», ma se per stare dietro a Di Pietro «dobbiamo rivolgerci contro Napolitano non vinceremo mai, nemmeno al superenalotto». Sulla stessa pagina parla anche Ciampi: «non è questa l’Italia per cui ho speso la mia vita, mi sembra brutto che la scelta del decreto salva liste possa essere maturata su un atto di forza del governo». E mentre Panella dice «si voti fra un mese», Aldo Cazzullo racconta l’asse Grillo-Di Pietro. Spiega il comico genovese: «Di Pietro è la kriptonite della politica. I suoi avversari non riescono a trovargli un antidoto e diventano sempre più verdi».

 IL GIORNALE titola “Manicomio Italia” «il Tar del Lazio snobba il decreto legge firmato da Napolitano e boccia il centrodestra. Oggi tocca all’ufficio elettorale che può capovolgere la decisione. Poi la politica torna al Tar. Quindi al Consiglio di Stato. Non si capisce più niente». L’editoriale è a firma di Alessandro Sallusti in cui il giornalista fa il punto della situazione. Molto interessante il servizio a firma di Sabrina Cottone ed Enrico Lagattolla “Firme in Lombardia: le prove della vergogna”. «Ore e giorni passati a spulciare le liste elettorali, come fossero mandarini dell’impero cinese. La teoria dei “due pesi e due misure” – denunciata dai colonnelli del Pdl dopo l’esclusione del centrodestra dalle prossime regionali decisa dalla Corte d’Appello – diventa un dossier di 50 pagine consegnato ai candidati e agli esponenti del partito. Un documento interno alla coalizione acquisito come vademecum pre-elettorale, e con cui il Popolo della libertà ribadisce l’ipotesi di un disegno ordito da “diversi soggetti” – così li aveva chiamati Roberto Formigoni nei giorni scorsi – che avrebbero cercato di fare fuori il listino del governatore, favorendo il democratico Filippo Penati nella corsa verso le urne. Il documento – datato 8 marzo – è firmato dal coordinatore regionale e presidente della Provincia Guido Podestà, e dal deputato del Pdl Massimo Corsaro. Il leitmotiv non cambia: la Corte d’Appello, a parità di irregolarità formali, avrebbe annullato solo quelle del Pdl, salvando invece quelle del Pd».
Vincenzo La Manna invece da spazio all’incredulità del premier “Berlusconi non ci sta: Noi siamo nel giusto”  «Aveva immaginato un lunedì diverso, Silvio Berlusconi. Pronto a cenare ad Arcore col sorriso sulle labbra, pregustando quella «battaglia di democrazia» vinta. E invece, ancora un no, di nuovo uno stop giudiziario. Che stavolta si chiami Tar, il tribunale che ha rigettato il ricorso del Pdl per l’esclusione della lista a Roma e provincia, il discorso non cambia».    

Notte degli Oscar e Tar del Lazio si incrociano sulla prima pagina del MANIFESTO che affida alla matita di Vauro la copertina. La vignetta è intitolata «Oscar per la miglior interpretazione: AvaTar del Lazio» e nel disegno si vede un giudice con tanto di tocco ed ermellino che alza al cielo la statuetta dell’Oscar. Quattro le pagine interne dedicate al tema che in prima pagina sono annunciate in sintesi: «Pdl fuori dalle elezioni nella provincia di Roma. Per il Tar il decreto-truffa non può essere applicato nel Lazio, la competenza è regionale. In mattinata era stato depositato un nuovo plico con le firme del partito di maggioranza, con questa mossa Berlusconi spera di rientrare in gioco. Dal Piemonte alla Toscana molte regioni preparano i corsi alla Consulta. Sabato 13 manifestazione del centrosinistra». Gianni Ferrara firma il commento “Art. 1 legalità» che esordisce: «Il Tar del Lazio respinge il ricorso ad ammettere la lista del Pdl per la provincia di Roma. Bene. “C’è un giudice a Roma” ed è esemplare la decisione della Giunta regionale del Lazio di impugnare innanzi alla Corte costituzionale il decreto-legge 5 marzo 2010 n. 29 (…)» e prosegue: «Per evitare che qualche pennivendolo possa scriverlo, va detto subito che sarebbe risibile non solo sostenere che possano essere considerati “principi fondamentali” e perciò di competenza dello stato, da dettare con legge della Repubblica, sia la individuazione specifica dei “termini orari di presentazione delle liste” (…)». Alle opposizione sono dedicate le pagine 4 e 5 che si aprono con l’articolo «Il Pd in piazza ritrova l’unione». «(…) Il Pd ha sempre fatto capire di poter chiudere un occhio sulle firme di Polverini e Formigoni ma non accetta in nessun modo la riammissione per decreto della lista Pdl a Roma. È su questa falsariga che Filippo Penati avverte il centrodestra dopo la sentenza del Tar del Lazio che se il Pdl farà ricorso al consiglio di stato allora “verrebbero meno le ultime perplessità” per fare lo stesso in Lombardia contro Formigoni. È l’ennesimo invito a deporre la guerra di decreti e carte bollate e accettare lo “svarione” laziale. Una linea peraltro condivisa naturalmente e fin dall’inizio anche dalla Lega (…)». 

“Bocciatura del Tar: la lista Pdl resta fuori”. Il lancio in prima de IL SOLE 24 ORE, taglio alto, va dritto al punto. Mentre nei servizi interni a pagina 6 e 7 si sottolinea la prudenza con cui il capo dello Stato e quello del governo aspettano che i giudici decidano sulla riammissione della lista Pdl nel Lazio. Intanto – chiarisce l’articolo di Lina Palmerini – il Pd e l’Idv hanno scelto la linea dura: ostruzionismo in Parlamento, manifestazione in piazza, ricorsi al tribunale contro l’eventuale riammissione, e una tour da nord a sud per spiegare al popolo italiano il pasticcio creato dal Pdl.
A pagina 7 si ricostruiscono e si aggiornano gli eventi che hanno portato all’attuale situazione. Respinta, perché sospeso il giudizio, la riammissione della lista Polverini nel Lazio, la maggioranza si muove su due binari: attendere da un lato che l’ufficio elettorale centrale riesamini la documentazione consegnata ieri dal Pdl come permette il decreto “salva-liste” e, dall’altro, prepara il ricorso al Consiglio di Stato contro la decisione del Tar del Lazio di ieri. Unico problema il conflitto sullo sfondo tra Regioni e Stato. Lo sottolineano gli articoli di Antonello Cherchi e Vittorio Nuti che intervistano giuristi del calibro di Marcello Clarich e RobertoBin (rispettivamente ordinario di diritto amministrativo alla Luiss e ordinario di diritto costituzionale all’Università di Ferrara), e il presidente dal Tar del Lazio, Giorgio Givannini. In tutti i casi si sottolinea come proprio il Lazio abbia una sua legge elettorale e quindi il decreto firmato da Napolitano pochi giorni fa risulterebbe inefficace. Domani, si annuncia in un piccolo box, il quotidiano di Confindustria ospiterà un lungo intervento del presidente del Tar del Lazio.  

Sulla questione liste, oltre al pezzo di cronaca a pagina 3 ITALIA OGGI affida un commento a Marco Bertoncini “Dopo il pasticcio delle liste il Pdl è costretto in difesa”: «Se sondaggisti e notisti e uomini di partito, sino alla presentazione delle liste, vedevano con relativa tranquillità le prospettive elettorali per Berlusconi, oggi non è così. Si avvertono sconcerti, giudizi negativi, perplessità. Come potrebbero indirizzarsi? O verso l’astensionismo o verso la Lega (segnatamente in Lombardia, ma persino nelle regioni del centro in cui il partito di Bossi si presenta). Invece, la presa del centro-sinistra sugli insoddisfatti pare inconsistente. Il tentativo di recupero sarà giocato sul richiamo a far muro contro la sinistra appiattita su Di Pietro, sui risultati del governo, sulla figura di Berlusconi. Come dire: se anche nella maggioranza c’è chi sbaglia, lui non erra mai; se ve ne andate, vincono quegli altri; il voto è nazionale, esprimete un giudizio politico nazionale» (…) Una cosa è certa: mentre prima, pur con parecchi errori (lacerazioni eccessive, abbandono dell’Udc, scelte discutibili e tardive di candidati), bene o male il Pdl appariva intenzionato giocare all’attacco, oggi è chiuso in difesa. Se prima mirava a espandere gli elettori, oggi sarebbe pago di mantenerli». A pag. 4 Massimo Tosti sostiene che forse il pdl avrebbe dovuto rinunciare a Lombardia e Lazio (!):  «E i leader del Popolo delle libertà (dilaniati dalle risse interne) non hanno pensato neppure un attimo alla possibilità di non ribellarsi al destino cinico e baro, rinunciando a qualunque iniziativa di parte per rientrare nell’agone. Non hanno neppure preso in considerazione l’ipotesi di tenersi da parte per assistere all’inevitabile implosione di una regione amministrata da una Bonino o da un Penati privi di opposizione, e costretti fatalmente a dimettersi entro breve tempo per non protrarre oltre i limiti della vergogna una farsa inaccettabile e grottesca per un Paese che voglia definirsi democratico».

La parola “caos” torna ben due volte nell’occhiello in prima pagina di AVVENIRE. Questa la sua sintesi: “dopo il caos liste si profila il caos normativo e procedurale. Napolitano cerca di rincuorare il Paese”. Il titolo di apertura invece è: “Il decreto non basta. Il Tar del Lazio tiene al palo il Pdl”. A box la Cei che si tira fuori dalla polemica dicendo che «la procedura elettorale ha natura squisitamente tecnico- giuridica» e che «la Cei non ha espresso e non ritiene di dover esprimere valutazioni al riguardo», mentre l’Osservatore romano sottolinea che «Napolitano difende la Costituzione». Sulla vicenda del Lazio, nello specifico, l’interpretazione di AVVENIRE sul futuro è la seguente: «un bel groviglio, ma il caso non è chiuso. Resta aperta la strada del ricorso al secondo grado di giurisdizione amministrativa, al Consiglio di Stato, come conferma il coordinatore regionale Pdl Vincenzo Piso». Tuttavia «per bene che vada il voto del Lazio rischierebbe di essere sub iudice, insomma a rischio di annullamento. Per cui c’è chi in serata ha iniziato a valutare anche l’ipotesi di un rinvio del voto, almeno nel Lazio». Intanto anche Piemonte e Toscana minacciano contromosse, decise a impugnare davanti alla Corte costituzionale il decreto salvaliste. Mentre Penati, in Lombardia, sembra intenzionato a ricorrere al Consiglio di Stato nel caso ci fosse un pronunciamento del Tar lombardo favorevole a Formigoni. Altro effetto del decreto salvaliste a cui AVVENIRE dedica una pagina è «l’ostruzionismo totale» annunciato dall’opposizione. Si comincia con i 1200 emendamenti presentati al Senato al disegno di legge sul legittimo impedimento. A farne le spese sarà anche la legge per la rete di cure palliative, in calendario da ieri nell’Aula di Montecitorio.

“Il Pd non rinuncia alla piazza: e in aula ostruzionismo duro”. LA STAMPA pubblica un primo piano nelle pagine 4 e 5 sulle reazioni dell’opposizione e le prese di posizione dopo la sentenza del Tar, mentre in prima pagina titola su “Il Pdl fuori gioco a Roma”. Il cronista de LA STAMPA parte dalle dichiarazioni di Bersani, il cui messaggio è «si va comunque in piazza»: «La sentenza del Tar a maggior ragione ci dà più forza per scendere in piazza e mobilitarci». Il vertice convocato ieri con varie forze del centrosinistra, Pd, Idv, Radicali, Socialisti e Verdi ha deciso le parole d’ordine: «Democrazia, legalità e lavoro» e lo slogan «Sì alle regole e ai diritti, no ai trucchi. Per vincere». È evidente comunque che il nodo della piazza, ora che la maggioranza è in difficoltà passa in secondo piano – commenta il giornalista de LA STAMPA – a meno che dal governo non maturino decisioni che possano di nuovo infiammare gli animi. «Se il Pdl ricorrerà al Consiglio di Stato in Lazio, io farò lo stesso in Lombardia» avverte il candidato del Pd. La più prudente è Emma Bonino: «I giudici vadano avanti, chi deve decidere decida». Oggi i Radicali hanno convocato una riunione fiume dalle 10 alle 19 per valutare circa la manifestazione di sabato, «ma ascoltando le sue parole, non sembra che la Bonino abbia intenzione di chiamarsi fuori» registra LA STAMPA. Fuori da Milano e Roma, LA STAMPA racconta in due riquadri i casi del comune di Vigevano, dove la Lega ha deciso di correre senza il Pdl, e della Puglia, dove diverse frange dell’Udc hanno deciso di sostenere Vendola e non la propria candidata Adriana Poli Bortone, dopo la decisione di quest’ultima di mettere in lista Mimmo Mele, che fu costretto a dimettersi dal partito per un festino a luci rosse e cocaina.

E inoltre sui giornali di oggi:

OSCAR
IL MANIFESTO – Due pagine dedicate alla vittoria di Kathryn Bigelow nella notte degli Oscar, un richiamo in prima con la foto della regista vincitrice «”The Hurt Locker” sbaraglia il kolossal di James Cameron 6 statuette a 3» e un commento, sempre in prima pagina, di Mariuccia Ciotta «La guerra dentro di Kathryn». «”The time has come”, è arrivato il momento che a raccontare la storia non sia più lo sguardo “monumentale” degli uomini. Così Barbra Streisand ha consegnato la statuetta d’oro a Kathryn Bigelow, prima regista dall’alba del cinema a riceverla nella notte delle stelle. E non è una commedia romantica a infrangere il muro dell’immaginario ma un film di guerra The Hurt Locker, intraducibile concetto che indica la soglia suprema del dolore, la ferita interiore di fronte al massacro (…)».

CRISI
LA REPUBBLICA – “La crisi manda il tilt il modello Nord Est in un anno si uccidono 14 imprenditori” (e sette dipendenti). Una situazione molto difficile quella raccontata da Roberto Bianchin: il modello del piccolo è bello è andato in crisi e stravolge i responsabili che non reggono l’urto dei debiti, la paura del fallimento, l’ipotesi di dover licenziare i loro collaboratori. Persone che vivono il fallimento aziendale come un fallimento personale. Colpevoli le banche che non prestano e le grandi aziende che pagano le commesse alle piccole con ritardi insostenibili. C’è anche un commento di Luciano Gallino: per resistere in una simile situazione, sottolinea, ci vorrebbe un gruppo sociale che sostiene l’individuo.

AVVENIRE – Ieri la Camera di commercio di Padova ha aperto la linea verde anti-crisi, che è soprattutto una linea verde anti-suicidi visto che sono già 13 gli imprenditori che si sono tolti la vita in zona per effetto della crisi. In 7 ore hanno chiamato il numero 800-510052 ben venti persone. A rispondere, un team di psicologi e di consulenti in grado di dare consigli tecnico-economici.

NIGERIA
CORRIERE DELLA SERA – “Nigeria, stragi di cristiani: 500 morti. L’attacco islamico pianificato con sms” è il richiamo in prima pagina dell’approfondimento di pag 14 e 15. Oltre alla cronaca dei massacri, il CORRIERE nel focus dà conto di un rapporto dell’osservatore vaticano presso l’Onu che denuncia la crescita delle violenze e l’impossibilità di essere riconosciuti come cittadini con pieni diritti per i “Duecento milioni di cristiani discriminati”. Da segnalare l’intervista a padre Federico Lombardi direttore della Sala stampa della santa sede: «È ovvio che non ci sia nessuna sottovalutazione di una violenza così orribile nei confronti di centinaia di persone, povera gente innocente. Allo stresso tempo però la Chiesa ci tiene a che non vengano presentati come scontri di carattere specificamente religioso nei conflitti che magari hanno tutt’altre cause e natura, ti tipo etnico, sociale o economico».   

AVVENIRE – Fotoapertura del quotidiano dei vescovi per l’«orrore in Nigeria», con foto di cadaveri avvolti in stoffe colorate e adagiati l’uno accanto all’altro in una immensa fossa comune. Il massacro dei 500 cristiani, dice il vescovo locale John Olorunfemi Onaiyekan, è frutto «di un conflitto sociale, la religione non c’entra». Anche l’analista Laurent Fouchrad dice «attacco troppo organizzato, c’è una regia politica, sbagliato ridurre tutto a ragioni etniche o religiose». L’editoriale in prima pagina è affidato a Giulio Albanese, che condanna «l’uso scellerato che menti perverse hanno fatto della religione». In particolare denuncia il fatto che «gli assassini e i mandanti, poco importa se musulmani o cristiani, delle stragi del 2001, 2004, 2008 e gennaio 2010 sono praticamente tutti a piede libero. Non c’è dunque da meravigliarsi se gli sterminatori sono tornati a usare il machete». Nello specifico l’articolo di cronaca da Jos parla di 300 aggressori e 90 arresti.

LA STAMPA – “Macelliamo il bestiame: così è nato il massacro”. Più di cinquecento le vittime del massacro compiuto dai fulani in Nigeria, a Jos. Ed emergono particolari inquietanti: gli assalitori hanno usato per riconoscere le vittime dell’altra etnia la parola “nagge”, ch nella loro lingua significa “bestiame”: chi non rispondeva a proposito veniva ucciso. Un vocabolario da genocidio, che ricorda da vicino quanto successo in Ruanda nel ’94, dove la parola d’ordine fu «uccidete gli scarafaggi», scrive Domenico Quirico. Altro aspetto allarmante è l’incredibile ritardo con cui sono intervenute le forze di sicurezza governative: «Durante le tre ore del massacro» ha raccontato Gad Peter responsabile di un’organizzazione per la difesa dei diritti umani «non abbiamo visto l’ombra di un poliziotto. Sono arrivati quando il massacro era finito e gli assassini erano ripartiti». Una assenza che «apre imbarazzanti interrogativi sulla neutralità di esercito e polizia in una regione dove gli odi tribali e religiosi avvelenano tutto, comprese le scalcagnate istituzioni federali che dovrebbero difendere la pace e l’unità del paese» scrive Quirico.

IL MANIFESTO – Un piccolo richiamo in prima «Scontri inter-etnici a Jos, strage di donne e bambini Oltre cinquecento morti» rimanda all’ampio articolo di pagina 8 che nell’occhiello informa: «Milizie musulmane prendono d’assalto un villaggio cristiano». «(…) Crocevia tra il nord musulmano e il sud cristiano, lo stato di Plateau racchiude in sé tutte le tensioni che attraversano e scuotono il gigante dell’Africa occidentale. Uno stato in cui periodicamente esplodono tensioni tra gruppi etnici, che finiscono per assumere inevitabilmente una coloritura religiosa (…) Alla radice degli scontri, l’annosa questione della “indigenità”, che stabilisce chi in ogni stato sia indigeno e chi sia invece un semplice “setter” (…)».

IL SOLE 24 ORE – “In Nigeria uccisi 500 cristiani”. Alberto Negri firma un articolo in cui si riassumono e si chiariscono i motivi della strage: «Qui si lotta non per l’islam o il cristianesimo ma per il controllo politico della città» dice il vescovo di Jos, Ignatius Ayau Kaigama, rivelando come le eterne lotte intestine che si consumano nel centro del paese più popolato dell’Africa (150 milioni di abitanti), vengono da lontano e non necessariamente sono dovute a motivi religiosi. Sullo sfondo rimane la responsabilità dell’Occidente, inglesi in primis, che ieri hanno segregato etnie a proprio piacimento, e oggi «scaricano ogni mese 500 barili di rifiuti tossici» a seguito dello  sfruttamento petrolifero sul Delta del Niger. Alla tragedia della Nigeria è dedicato l’editoriale di Davide Rondoni che la definisce un «una guerra di empietà» e non di religione. Invitando l’Occidente a prendersi la sua parte di responsabilità.

CSR
ITALIA OGGI – “Starbucks, caffè equo al 100%”. ITALIA OGGI racconta la svolta della catena americana di caffè. Circa 300mila bevande a base di caffè certificato saranno vendute in Europa. Si tratta di caffè certificato Max Havelaar (che è il marchio fairtrade francese, il pezzo non lo spiega…), quindi significa che diverse decine di migliaia di produttori dell’America Latina, dell’ASia e dell’Africa dovrebbero diventare fornitori di Starbucks.  

MOBILITA’
AVVENIRE – Curiosa presa di posizione di AVVENIRE sulla «fame d’asfalto» (all’interno anche lo speciale Auto&Motori). Secondo il quotidiano l’Italia è al 59esimo posto su 131 paesi per dotazione di infrastrutture. In 15 anni sono stati costruiti appena 350 km di autostrade contro i 6mila e passa della Spagna e i quasi 4mila della Francia: e il divario tra le nostre infrastrutture e la media Ue è triplicato in vent’anni. La colpa è degli anni 70, quando «una certa sinistra pauperista decise che le autostrade erano troppe e i governi si adeguarono. Una bufala. Ora di quegli errori vediamo i risultati». Intervengono vari uomini dell’Aci per poi arrivare alla chiusa di Antonio Giorgi: «chi alza le spalle dicendo è la solita lobby dell’auto dovrebbe meditare. Senza l’auto centinaia di migliaia di italiani non potrebbero andare al lavoro».

TURCHIA
IL SOLE 24 ORE – Una scossa di 6 gradi della scala Richter ha colpito un’area montuosa a est della Turchia. Il bilancio finora è di 57 morti (4 bambini) e 74 feriti. Le autorità hanno interrotto le ricerche e consigliato alla popolazione di non rientrare nelle case.

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