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Pdl, gran pasticcio elettorale

Il caos delle liste in Lombardia e nel Lazio tiene banco sui maggiori quotidiani di oggi

di Redazione

Oltre al caso del giorno la rassegna stampa di oggi si occupa anche di:

OMAR

LAVORO

IMMIGRATI

L’AQUILA

 

 “No alle liste, il Pdl protesta in piazza”, è questo il titolo di apertura del CORRIERE DELLA SERA di oggi. La notizia: «caos liste, stop dei giudici per Pdl, Formigoni e Polverini. La corte d’appello di Milano ha respinto il ricorso per la riammissione della lista per la Lombardia di Formigoni. Uguale sorte per la lista del Pdl di Roma. Annunciati ricorsi al Tar. Protesta dei vertici del partito: democrazia a rischio. La Polverini: ora prova di forza con una manifestazione. I servizi interni coprono le pagine dalle 2 alla 9. Ma partiamo dall’editoriale di Massimo Franco (“Il voto da salvare”): «In primo luogo della maggioranza, che dovrebbe riconoscere di avere sbagliato invece di adombrare sfide di piazza dal sapore autoassolutorio: un modo furbesco per non ammettere che, se complotto c’è stato, è quello del Pdl contro se stesso. Ma anche dell’opposizione, la quale sembra mostrare in questa vicenda un pizzico di responsabilità in più rispetto ad alcuni avversari. Va dato atto ad Antonio Di Pietro di avere detto che preferisce vincere «sul campo e non a tavolino»; e al segretario del Pd, Pierluigi Bersani di non cercare «avvenimenti che turbino la fisiologia del voto». L’idea che il governatore della Lombardia, Roberto Formigoni, sia escluso perché non sono valide circa 250 firme delle 3.500 richieste per la candidatura, suona come una beffa: per gli elettori, prima che per la maggioranza. La Corte d’appello di Milano ha fatto il proprio dovere, registrando le irregolarità. E adesso il Pdl ricorrerà al Tar nella speranza di ottenere una sentenza favorevole. Rimane lo stupore per il pressappochismo col quale è stata gestita una procedura così delicata: sconcerto accentuato nel caso della lista del centrodestra alla provincia di Roma, pure esclusa… Forse sarebbe bene trovare una soluzione che garantisca il diritto di voto, fondamentale in democrazia, prima che Tar e Consiglio di Stato, si pronuncino in modo definitivo, azzerando ruolo e margini di manovra della politica». “Berlusconi: è un golpe. E pensa a un decreto o a un’intesa sul rinvio”, dice il premier nel titolo a pag 5, mentre a pag 6 “La Russa accusa la Lega: da loro poco aiuto”. “Noi un partito vero. La gente lo ha capito” è invece il titolo della replica firmata dai tre cordinatori del Pdl al duro editoriale di ieri di Ernesto Galli della Loggia: «Ma la realtà dei fatti non si cancella con i pregiudizi. Il presidente Berlusconi, in maniera inaspettata e imprevedibile per chi come lui era stato fino ad allora un imprenditore di successo, ha agito nel pieno di una drammatica temperie storica e politica, prendendo decisioni sofferte, assumendosi il peso e la responsabilità di difendere le ragioni di chi fino ad allora aveva, pur con limiti ed errori, con luci e ombre, garantito all’Italia la democrazia e il benessere. È suo, e soltanto suo, il merito di aver salvato quel che si poteva e quel che si doveva salvare del passato, pur essendo egli consapevole che quella storia era giunta al capolinea ed aveva determinato, soprattutto attraverso il consociativismo tra Pci e Dc e il cancro della partitocrazia, una crisi di fiducia tra i cittadini e lo Stato, l’enorme debito pubblico, la dissoluzione di ogni forma di autorità e dimeritocrazia, e infine una congenita debolezza delle istituzioni e dell’apparato economico del Paese. Nelle vesti di leader politico, Berlusconi si è fatto carico di tutti questi problemi, ricostruendo dalle macerie una nuova casa dei moderati, con la nascita di Forza Italia, e portando subito alla vittoria un programma di governo nel segno della modernizzazione liberale dello Stato e dell’economia italiana. Se c’è un vuoto nella politica italiana, questo è sicuramente a sinistra, perché se è vero che l’unico partito erede della Prima Repubblica è il Pd, è altrettanto certo che questo partito, epigono del compromesso storico e del cattocomunismo, si è portato dietro l’antico patto di potere tra Pci e sinistra Dc che, quando è stato messo alla prova del governo, ha fragorosamente e sistematicamente fallito. Di tutto questo, nell’editoriale di Galli della Loggia non si trova traccia alcuna».

 

“Fuori Formigoni e il Pdl nel Lazio”: LA REPUBBLICA riferisce con il titolone in prima circa le decisioni dei magistrati rispetto alla presentazione delle liste (si attende però ancora il Tar). Quanto al Pdl: caos, veleni e tensioni (con la Polverini che minaccia: «vogliono la prova di forza? Gliela daremo, a piazza Farnese» dove nel pomeriggio ci sarà una manifestazione con Berlusconi e Fini). Nel retroscena, Carmelo Lopapa riferisce  di un premier molto teso, stanco delle liti interne e arrabbiato: starebbe già pensando al dopo elezioni, a un nuovo predellino con il quale lanciare una svolta. «Se non corro ai ripari, se non reagisco», avrebbe detto ai fedelissimi, «il governo rischia di implodere da qui a un anno. Non può più esistere un partito in cui ognuno procede per proprio conto». Per risolvere la questione regionali, il premier starebbe pensando anche a un decreto (ipotesi mal vista da Maroni e dal Pd). In una intervista in appoggio Federico Sorrentino, costituzionalista, avverte: c’è il rischio dello slittamento del voto (delinea tre scenari: il Tar dichiara inammissibili i ricorsi e le elezioni si svolgono con i soli candidati ammessi; il  Tar ricorre al Consiglio di Stato oppure può ammettere la lista con riserva: le elezioni potrebbero svolgersi ma se poi il ricorso viene rigettato dovrebbero essere ripetute). Quanto al governatore lombardo, è «un leone in gabbia» come lo definisce Andrea Montanari: cerca di apparire tranquillo ma in privato si sfoga con i fedelissimi: «devo subire tutto questo per una canagliata di qualcuno nel partito… Se cado io questa volta crolla tutto il grattacielo». Sempre più probabile il ricorso al Consiglio di Stato. Il riferimento alla canagliata interna lo spiega Rodolfo Sala in un pezzo intitolato “Dall’igienista di Silvio al proconsole di Bondi dietro il disastro l’infinita faida per i nomi”. In pratica i nomi continuavano a cambiare nelle liste e dunque ci si è trovati nell’impossibilità di raccogliere e autenticare le firme. Liti furiose hanno fatto chiudere le liste solo venerdì notte (sabato entro le ore 12 la presentazione). Il commento è del vicedirettore Massimo Giannini: “Il vuoto del potere”: «Cos’altro è questa farsesca tragicommedia delle liste, taroccate  o presentate fuori tempo massimo, se non la plastica dimostrazione di un partito che sta morendo in culla?».

 “Si va alle urne passando per i Tar”. Un articolo che  da una parte riporta le speculazioni di Radio Radicale (non quella ufficiale, specifica ITLIA OGGI in parentesi, ma quella vicina a Emma Bonino)  che ieri ha ipotizzato che «se il ricorso finirà alla seconda sezione del Tar del Lazio i quotidiani possono senza ombra di dubbio preparare il titolo: “Riammessa la lista del Pdl a Roma”» ma anche  le certezze di ITALIA OGGI che senza mezzi termini scrive: «Ora, secondo quanto risulta a ITALIA OGGI il ricorso del Pdl nel Lazio finirà proprio alla Seconda sezione-bis del Tar, quella presieduta da Eduardo Pugliese».
Paradossalmente, ricorda il giornale dei professionisti, «era pronto un ddl bipartisan per escludere la fase della raccolta delle firme per la presentazione delle liste. Oggi, in tanti sarebbero pronti a rinnegarlo».
 Oltre al punto sui ricorsi, ITALI OGGI fa un punto sui difetti del sistema. Un editoriale di Bertoncini “Quando si usavano i notai questa cagnare non c’era” fa notare che il punto dolente delle raccolta delle firme per le candidature risiede nell’estensione della facoltà di autenticare le sottoscrizioni. «Quando soltanto i notai e poche altre, ristrette categorie potevano autenticare» scrive Bertoncini nella sua rubrica IL PUNTO «di rado avvenivano errori. C’era controllo. Poi, è partita la sbarratura, culminata nella concessione di autenticare rilasciata per legge, a tutti i consiglieri provinciali e comunali e persino ai presidenti e vice dei consigli circoscrizionali». In sostanza, fa notare Bertoncini alla fine del pezzo, un potenziale richiamo alla legalità è sacrosanto, ma però si scontrerà con le esigenze delle segreterie locali e nazionali  dei partiti «che vogliono fare e disfare le liste fino all’ultimino secondo e hanno necessità di evitare intralci legati alla autentiche delle firme».

 Il commento in prima del SOLE 24 ORE  è affidato a Stefano Folli. “I pasticci delle candidature tra legalità e buonsenso”: «Primo, la democrazia si fonda sul rispetto delle regole, un principio di legalità che pone tutti i cittadini, uomini politici compresi, su un piede di parità di fronte alla legge. Si dirà che ormai è pura retorica, come chiunque può constatare di persona quando si trova alle prese con le mille vessazioni e le mediocri ingiustizie del vivere quotidiano. Eppure il principio è irrinunciabile, come dimostra la storia delle grandi democrazie occidentali. Se in Italia ne abbiamo smarrito il senso, questo dimostra il grado di rassegnazione civile di un paese che vive, forse in modo inconsapevole, dentro un’estesa e limacciosa zona grigia. (…)
 Tuttavia adesso è il momento del buon senso. La democrazia, abbiamo detto, si fonda sulle regole: ma anche su alcuni criteri logici. E non è logico che l’intero centrodestra, con in testa il governatore uscente, sia azzerato in Lombardia e messo nell’impossibilità di partecipare al voto. Questo fa a pugni con il buon senso. Diverso è il caso del Lazio, dove le liste del Pdl non risultano presentate. Ma non c’è dubbio che a Milano e forse anche a Roma bisogna uscire dal groviglio con un pizzico di saggezza. Certo, non con l’arroganza di chi, dopo aver pasticciato, vuole andare in piazza per trasformare un torto in ragione. Ma una volta ripristinata la legalità, è opportuno rispettare gli elettori e i loro diritti». E quindi?

 AVVENIRE apre in prima pagina con “Caos elettorale: nuovo no a Pdl e lista Formigoni” argomento a cui il giornale dei vescovi dedica due pagine (8-9). Giovanni Grasso firma “Il Pdl: vogliono farci fuori” che misura la pressione, altissima, nel partito di Berlusconi dove alcuni «adombrano la tesi del complotto politico nazionale». Danilo Paolini invece propone “Dopo le elezioni la resa dei conti” con foto di Berlusconi e Fini allegata. Chiaro il tema. «Anche la stampa amica parla del Pdl quasi al passato, come a dare per certo che dopo questoa tormentata campagna elettorale il presunto “partito di plastica” si scioglierà. Una resa dei conti è certa: l’ha annunciata ieri Sandro Bondi ribattendo alla quotidiana punzecchiatura di marca finiana, ma pensando probabilmente anche alle parole pronunciate il giorno prima proprio dal presidente della Camera “il Pdl, così com’è, non mi piace”». Interessante la posizione di Massimo Cacciari sottolineata da un box a centro pagina. Il sindaco di Venezia uscente ritiene che quelli del Pdl siano dei dilettanti ma che senza liste si vada verso un guaio più grosso, «bisognerebbe fare ogni sforzo per evitare che il pasticcio inenarrabile combinato da questi dilettanti, sintomo di uno sfascio di organizzazione e disciplina di partito (che non è solo del centrodestra) diventi un pasticcio politico più serio». Nella seconda pagina due colonne riassumono le situazioni  e i panorami a sinistra a Roma e a destra a Milano. L’unica certezza è che «mentre si cerca di uscire dall’impasse aumentano le divisioni dentro il centrodestra».     

 

Per Il MANIFESTO “Tentazioni autoritarie” è il titolo dell’editoriale di Valentino Parlato, il quale – da parte sua – cerca di dare una sveglia ai partiti di sinistra. Il quotidiano comunista dedica alla questione delle liste anche la copertina “Hanno perso la regione” che gira a pagina 4 e 5. Gli approfondimenti ricostruiscono l’accaduto per mano di Matteo Bartucci, articolo su cui campeggia il solito titolo manifestino “La casa dello sfascio”. Una lettura ben più sottile la offre invece Daniela Preziosi che individua quale motivo di tutta la tragedia i dissidi interni di An: da una parte il sindaco e pupillo di Berlusconi, Gianni Alemanno, e dall’altro i finiani. La mancata presentazione della lista Pdl nei tempi previsti – secondo l’articolista – sarebbe dovuta infatti alla presenza di due liste al momento della consegna. Una benedetta da Silvio in persona (dove figurava capolista un protetto di Alemanno) e una, quella ufficiale, con Renata Polverini in pole position. La quale non resta certo con le mani in mano e oltre al ricorso al Tar si prepara a organizzare manifestazioni pubbliche. A tutto ciò si aggiungono i malumori sempre più evidenti che turbano la Lega. Sono quelli che provengono da Milano, dove lista e Formigoni sono stati esclusi e attendono ora il responso del Tar. Qui, al nord, dice Alessandro Braga nel suo “Formigoni, arriva la sveglia. Ricorso bocciato, salta tutto”, si tema che la figuraccia e la conseguente esclusione possa nuocere all’intero centrodestra, Lega compresa. Conclude l’affondo de il manifesto la vignetta di Vauro: i due governatori di Lombardia e Lazio visibilmente sconsolati e la didascalia che recita: “Poverini”.

“Napolitano: liste, che pasticcio”. LA STAMPA titola in prima pagina con le parole del presidente della Repubblica. Avvicinato dall’inviato de LA STAMPA a Bruxelles Napolitano parla della sua preoccupazione riguardo a una «piena rappresentanza alle prossime elezioni», anche se, ripete, «la sede propria per risolvere questi problemi è quella giudiziaria». Secondo Napolitano il caso di Roma è più complesso di quello di Milano.“Ora Berlusconi sotto pressione medita il decreto” titola un primo piano a pagina 4. Le pressioni sul leader starebbero aumentando da parte del Pdl ma soprattutto della Lega, dopo il colpo di scena in Lombardia (nel Pdl, scrive LA STAMPA, nessuno si aspettava il rigetto del ricorso di Formigoni). Un’alternativa al decreto potrebbe essere una «soluzione politica» ventilata persino da Di Pietro. «Se Berlusconi si assumesse la responsabilità di convocare il leader dell’opposizione» ha detto Violante, «penso che Bersani e gli altri possano aprire alla possibilità di risolvere insieme questo delicato problema.

“Se punite gli elettori si va in piazza” annuncia Vittorio Feltri dalla copertina del GIORNALE. «Saremmo lieti di avere qualche argomento per difendere  i fessi che hanno sbagliato , ma per quanto cerchiamo, ma non riusciamo a recuperare nemmeno un cavillo. Di certo c’è stata molta pignoleria, molto zelo nei controllori che hanno bocciato per questioni di virgole le liste del centro destra. E c’è da chiedersi se abbiano usato gli stessi criteri nel verificare le pratiche della sinistra e ne dubitiamo, ma  quand’anche nei confronti del centrodestra la severità fosse stata maggiore non dimostremo l’innocenza del PdL». Ora  non il Giornale lancia l’allarme: «Non vorrei che si punissero milioni e milioni di cittadini escludendoli dal voto. Sarebbe una follia.  C’è il rischio che si possa uccidere la democrazia per l’errore formale di qualche baluba e il popolo del centrodestra non sarà a guardare: scenderà in piazza per difendere i suoi sacrosanti diritti.

 

E inoltre sui quotidiani di oggi:


OMAR
CORRIERE DELLA SERA – Alla liberazione di Omar Favaro, uno dei due autori della strage di Novi ligure, il CORRIERE riserva la pag 25 (“Omar libero: voglio tranquillità”) e un bel commento di Eraldo Affinati (“Quella lezione dalla dignità dei tre genitori”). Dopo aver elogiato la compostezza dei genitori di Omar e l’equilibrio del padre di Erika, Affinati ragiona sulla sfida educativa ai tempi d’oggi: «Educare i figli non è mai stato così difficile: da una parte trionfo la deflagrazione del desiderio che spinge molti giovani a gtrasformarsi in maschere di se stessi. Dall’altra si afferma il vuoto piombato, senza più gerarchie di valori né vere prospettive ideali. Lo spazio di manovra dell’azione pedagogica sembra ridotto al lumicino: dove trovare la forza e la convinzione necessarie per riuscire a proporsi quali adulti credibili in un mondo in cui la moralità pubblica è sotto la suola delle scarpe…?…Ci vuole coraggio per non cedere alle pretese dei figli, ma soprattutto e lo diciamo con ammirazione e rispetto – ci vuole coraggio per non abbandonarli al loro destino».

IL GIORNALE – Sul  primo giorno da uomo libero di Omar due interventi. Mario Cervi scrive: «Così puniamo i graffitari più degli assassini. Sono lo confesso fra i disorientati  sono addirittura fra gli indignati. Mi ripugna che  l’idea che pochi anni di carcere siano un’adeguata espiazione per chi si è macchiato di un crimine come quello. Aborro la pena di morte. Ma il percorso riabilitativo di Erika e Omar non mi commuove. Un aggiuntina di semilibertà, di adempimenti disciplinari di lavori di pubblica utilità sarebbe stato a mio avviso molto opportuna». Controcanto di Alessando Meluzzi:«C’è in questa irritazione un po’ forcaiola un atteggiamento che purtroppo si va diffondendo nella nostra società posta cristiana. Nel nome del rifiuto dei buonismi perdonistici per cui il colpevole di un delitto  è sempre la vittima della società, si è persa invece l’esenziale distinzione fra peccato e peccatore».

LA STAMPA – “97 coltellate, 9 anni” è il titolo del “Buongiorno” di Massimo Gramellini in prima pagina. «La pena tende alla rieducazione del condannato e tutti hanno diritto a una seconda chanche, anche gli assassini (ma esclusi gli assassinati)» scrive Gramellini. «Una conclusione comprensibile, se la mattanza di Novi risalisse al 1981 o almeno al 1991. Invece porta la data del 21 febbraio 2001. Appena nove anni fa. Può correre così in fretta l’ansia di chiudere col passato?». Il vicedirettore de LA STAMPA ricostruisce la dinamica del duplice omicidio, in tutta la sua spietatezza. «La giustizia dovrebbe essere rapida nel giudicare» conclude, «non nel saldare i conti. Lo scarto fra la brutalità del gesto e la velocità del perdono è troppo forte per non sembrare inaccettabile».

 

LAVORO

 IL SOLE 24 ORE – Il quotidiano di Confindustria apre sul lavoro “Nuove regole per il lavoro”, con il disco verde definitivo del Senato a una riforma che introduce l’arbitrato nelle controversie in alternativa al giudice. Un provvedimento che suscita le ire dei sindacati, che lo giudicano un modo surrettizio di abolire l’articolo 18. Di questa protesta dei sindacati (e dell’opposizione, Tiziano Treu in testa) si accenna solo in un articolo di spalla pagina 3, ma non nel titolo, dove trova spazio una dichiarazione di Sacconi. Epifani annuncia ricorsi alla Consulta.

LA REPUBBLICA –  Passa la legge che aggira l’articolo 18: prevista la possibilità di ricorrere all’arbitro per i licenziamenti. Con la nuova norma le parti possono rinviare a un arbitro le controversie, licenziamento compreso. L’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori formalmente non viene toccato, ma il lavoratore, secondo Epifani della Cgil intervistato a fianco, è più debole e ricattabile. «Nel momento dell’assunzione il datore di lavoro può chiedere a un lavoratore di rinunciare alla via giudiziaria per la tutela dei propri diritti. E in quel particolare momento il lavoratore è più debole e ricattabile».

 

IMMIGRATI

LA REPUBBLICA – L’ultima beffa: spunta la sanatoria trappola. Gli immigrati che hanno fatto domanda di sanatoria ma in passato non hanno rispettato un decreto di espulsione vanno rimandati a casa. Una linea presa in alcune città e non in altre a seguito di direttive emanate per telefono. Così si dopo che si è messa in moto la macchina della sanatoria, e i migranti fatto le pratiche e versato i contributi, ecco che le questure li convocano per contestare loro la mancata esecuzione del decreto di espulsione. «Che cosa si deve sanare se non una precedente illegalità?», si chiede Paolo Rumiz.

 

L’AQUILA

IL GIORNALE – “All’Aquila arrivano i soldi ma il sindaco non li usa”. L’occhiello spiega: “Il governo aveva reso disponibili sindall’aprile scorso 12milioni di euro. Pochi giorni fa la risposta del Comune: «Ne abbiamo usati solo tre». La denuncia di Giovanardi: «E poi vengono a Roma chiedere fondi»”. Enza Cusmai  torna sulla manifestazione  di protesta all’Aquila dove il sindaco si è fatto vedere caricar scaricare carriolate di macerie. E scrive: «Il sindaco sa maneggiare ben le carriole e male i soldi contanti che rimangono nel cassetto per colpa della sua indecisione o disorganizzazione.  Ieri Giovanardi si è presentato a Pontecchio, uno dei comuni colpiti, ha riunito gli amministratori locali e ha raccontato il fattaccio. Poi ha annunciato: s il sindaco non vuole quei soldi li distribuirò alle amministrazioni bisognose che avranno idee più chiare di Cialente. E il mio referente sarà  solo il commissario straordinario della protezione civile».

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