Famiglia

Questi 10 anni vissuti a marcia indietro

Poco da far festa

di Redazione

Quando sono arrivata in Italia c’era una grande voglia
di conoscerci. Oggi invece mi sento già etichettata prima ancora di cominciare a parlare. Italiani, cambiate!di Ouejdane Mejri
Da quando nel 1999 sono stata invitata a parlare delle donne arabe davanti a un pubblico italiano, la festa della donna ha assunto per me connotazioni alquanto disparate. Sono passata del semplice raccontare quanto la donna tunisina sia un esempio precursore di libertà, a dover difendere la libertà di quelle che, diversamente da me, hanno scelto di portare il velo nel contesto migratorio. Negli anni 90, gli italiani conoscevano poco o niente delle donne arabe. Le simpatiche conversazioni con gli italiani presenti alle conferenze riguardavano principalmente il tema del couscous e dei cammelli. Ai tempi, lo sguardo degli italiani sulle nostre donne era carico di curiosità e di voglia di conoscere. Dieci anni dopo è tutto cambiato. L’interesse iniziale si è trasformato da una parte in diffidenza, dall’altra invece in una sorta di conoscenza stereotipata.
L’immagine che si ha di noi è quella di donne sottomesse a uomini misogini, succube a una religione flagellante e sessista e spesso affette anche da un masochismo tale che non ci concediamo alla libertà alquanto ambita che ci offre la società occidentale. Infatti tante di noi si coprono i capelli con veli opprimenti e rifiutano di godere finalmente di diritti che i nostri Paesi di origine non ci concedevano neanche per sogno. Quando oso dire che non è questa la nostra realtà, ricevo solo sguardi di compassione, come per dirmi: «Poverina, ma dove vivi?». Non solo sguardi, ora che ci penso. Durante la giornata della donna di tre anni fa, una professoressa di arabo, italiana, mi accusò di diffondere in questo modo informazioni errate. Con il cambiamento del mondo circostante, anch’io ho cambiato atteggiamento. Oggi quando partecipo all’8 marzo sono una donna che vuole raccontare la propria comunità senza veli ma anche senza stigmatizzare la realtà. Se voglio difendere il diritto delle donne a portare o meno il velo nella realtà occidentale allora guardo aldilà dell’aspirazione religiosa, mi interessa capire se queste donne fanno scelte consapevoli o meno. Quando infine mi trovo con giovani donne immigrate o di seconda generazione musulmane che partecipano finalmente al dibattito attorno alle questioni che ci riguardano, allora sono fiera di non essere una di quelle che accusano ma tra quelle che cercano di comprendere e che spesso comprendono.


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