Famiglia

Lo sport che abbatte le barriere

di Redazione

A suo tempo, molti anni fa, ho fatto anch’io un po’ di sport in carrozzina. Era un modo anche per stare vicino a colei che poi divenne mia moglie, e che era una delle prime campionesse italiane, fondatrice di una squadra a Padova, e battagliera quanto mai, in anni assai più difficili di questi (primi anni 80). Mi ha fatto bene, anche se non sono mai diventato un campione.
Oggi vedo con piacere immagini e servizi di sport sui grandi canali pubblici e privati, e penso che molta strada è stata fatta. Ma sempre più o meno dalle stesse persone. Grandi campioni che conosco da vent’anni, e che sono più giovani di me, ma non tantissimo. In questo numero Vita affronta con puntiglio giornalistico, alla vigilia delle Paralimpiadi di Vancouver, le difficoltà nella diffusione dello sport di base per le persone con disabilità. Esistono troppe zone d’ombra, mancanze di coordinamento, di controllo dei risultati, di cifre e di dati attendibili. Le società sportive fanno fatica, gli enti di promozione sportiva non sembrano in grado di colmare il gap, i centri di riabilitazione lavorano ma non riescono, se non in rari casi, a centrare l’obiettivo.
Perché lo sport è così importante, invece? Perché costituisce una formidabile motivazione a ricominciare a vivere, per chi esce da un trauma grave come un incidente stradale o un infortunio sul lavoro, o per chi cresce convivendo con gli esiti di una patologia invalidante. Lo sport è socialità, è competizione con se stessi, è la soddisfazione del proprio corpo, è gioco, mobilità, tempo bene speso. Costa poco avviare allo sport, ma occorre farlo, e non limitarsi a gestire l’esistente, sperando in risultati che sono appesi alle capacità di autentici veterani. Un ragazzo o una ragazza che si dedicano seriamente allo sport, non necessariamente agonistico, diventano più esigenti con se stessi e con la società, spingono all’abbattimento delle barriere architettoniche.


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