Difficile immaginare due film così opposti come quelli che la politica ci ha offerto nei giorni passati. Da una parte lo spettacolo di una combriccola di trafficoni improvvisatori che hanno combinato il più incredibile dei pasticci al voto per la Regione Lazio. Dall’altra un leader solitario che per far sentire la sua voce, anzi, per dare voce alle sue idee ha dovuto ridursi allo stremo con 34 giorni di sciopero della fame. I primi sono gli epigoni decisamente squallidi di una politica ridotta ai minimi termini, così destituita da se stessa da non riuscire neppure più a darsi un’organizzazione. C’è da chiedersi come si sia potuti arrivare a questo punto: credo che il problema stia nel fatto che Berlusconi, nel bene e nel male, abbia pensato la politica come un rapporto esclusivo e diretto tra sé e gli elettori. Un rapporto che aveva bisogno di un solo strumento: i media. Così ha sdegnato (e non è difficile capirlo, se gli uomini con cui aveva a che fare erano di questa pasta) quella che è la fisiologia di ogni formazione politica: le sezioni, i congressi, i dibattiti pubblici, le scuole. Oggi se il centrodestra tiene a livello di presenza sul territorio, deve ringraziare la Lega che invece ha seguito una strada vecchio stile, facendo crescere amministratori dalle idee certamente discutibili ma efficienti, radicandosi (e non coagulando semplicemente il rancore).
Il caso Bonelli ci racconta un film opposto. Di una politica capace ancora di idealismi, una politica povera, forte solo delle proprie convinzioni e della passione con cui vengono tenute alte. Il presidente dei Verdi lo abbiamo sentito per questo sempre come un amico. Non tanto o non solo per condivisione delle sue idee, ma soprattutto per stima del suo modo di interpretare la politica, come rischio personale, come libertà e anche come sogno di costruire, attraverso la propria azione, un paese diverso. Per dare rilievo pubblico a tutto questo che lui è e che lui rappresenta, Bonelli ha dovuto spingersi sino allo stremo dal punto di vista fisico. Perché attorno a sé aveva raccolto solo indifferenza. E non solo quella dei “nemici” politici, ma anche quella degli amici. Non solo quella delle tv della grande lobby vincente, ma anche delle piccole gazzette dell’opposizione. Il progetto politico di Bonelli è nato sull’onda del successo in Francia di Daniel Cohn Bendit: cioè dall’idea che ci possa essere un ambientalismo non più marcato ideologicamente, ma mosso da un’energia trasversale, capace di intercettare consensi senza più steccati. Un progetto ai limiti del sogno, in un paese come il nostro dove invece prevalgono sempre gli egoismi delle appartenenze e dove i piccoli potentati non fanno mai un passo indietro. Dove l’aristocrazia di una sinistra troppo snob non sa più abbassarsi sui bisogni, sulle domande e sulle aspirazioni della gente normale. Colpisce infatti la solitudine con cui il presidente dei Verdi si è trovato a combattere la sua battaglia, mentre tutti erano in altre faccende e faccenduole affaccendati. A Bonelli con tutto il cuore auguriamo di muovere e raccogliere attorno a sé tanti consensi da quell’Italia che non si sente più rappresentata da questa politica. Comunque la si pensi, se questo accadesse, sarebbe un gran bel segnale.
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