Non profit

Impegnato ma non arrabbiato. Padre Pepe, prete da favela

di Lucio Brunelli

In questi giorni è venuto in Italia don José de Paola, detto padre Pepe. È parroco a Villa 21, una delle favelas più malfamate di Buenos Aires. Alcuni mesi fa i boss della droga l’hanno minacciato di morte. Da allora è costretto a muoversi sotto scorta. «Un po’ di paura, certo, ma la cosa importante è stata la reazione della gente», ci dice. Padre Pepe, 48 anni, capelli lunghi, lontane origini calabresi, è un prete “impegnato”. Ma i preti impegnati sono sempre un po’ arrabbiati, musoni. Padre Pepe no. Sorride. Colpisce la levità del suo parlare e del suo fare. I boss lo vogliono morto perché sottrae giovani al mercato del paco, la nuova droga che impazza nei barrios, una pasta fatta con gli scarti della cocaina. In Italia è venuto a raccogliere fondi per un nuovo centro di recupero per ragazzi tossicodipendenti. L’esperienza di Padre Pepe e degli altri 20 preti delle “villas miserias” di Buenos Aires è interessante, perché supera la vecchia dialettica sulla teologia della liberazione. Sono preti veri: curano la fede popolare, senza smanie teologico-moderniste. Ma questo nulla toglie, anzi è la vera base, per loro, di una condivisione dei bisogni della gente. Ed ecco il doposcuola, l’ambulatorio, la lotta per condizioni di vita più dignitose. Sono i prediletti del cardinale di Buenos Aires, Bergoglio. A destra li vedono con sospetto come mezzi comunisti, a sinistra gli rimproverano di voler fare la rivoluzione con le processioni e gli ex voto alla Vergine. «Desideriamo solo vivere il Vangelo con i poveri», semplifica padre Pepe.

E IL PAPA SI INFORMA
Il Papa ha invitato a Roma, dal 9 all’11 giugno, i preti di tutto il mondo. È la conclusione dell’Anno sacerdotale, indetto nel nome del santo Curato d’Ars. Insieme ai suoi collaboratori Ratzinger sta selezionando le persone che dovrebbero prendere la parola al megaraduno, per dare una testimonianza. Per l’America Latina pare che il Papa abbia chiesto informazioni proprio su padre Pepe.

ipse dixit
Narra il suo biografo che quando qualcuno a lui si rivolgeva per dichiararsi colpevole e per sottomettersi alla penitenza, Ambrogio «così piangeva, da indurre al pianto anche il penitente». E si vede che la commozione era così naturale ad Ambrogio, che egli la attribuisce anche alla gioia: «Habet et laetitia lacrimas suas», anche la letizia ha le sue lacrime.

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