Famiglia

Non fermatevi, per Diana

La morte della principessa, quindi il Nobel per la Pace ’97 e la firma del Trattato di Ottawa. Ma i programi per l’eliminazione delle armi di “lenta distruzione di massa” sono ancora in alto mare.

di Federico Cella

In Bosnia, la prima settimana di agosto, le hanno reso omaggio con una partita di pallavolo. Una partita particolare, perché i dieci atleti non potevano certo schiacciare, costretti com?erano sulle loro sedie a rotelle. Vittime delle mine antiuomo. Le ultime vittime dei micidiali ordigni a cui la Principessa Diana aveva potuto fare visita, nel suo ruolo di ambasciatrice di pace, prima di incontrare la morte il 31 agosto del 1997. E proprio a un anno dalla scomparsa della principessa del Galles, il mondo si interroga sullo stato dei lavori della Campagna internazionale per la messa al bando delle mine antiuomo, a cui Lady D ha legato la sua immagine. Campagna che, senza dubbio, la morte della principessa ha portato agli onori della cronaca e al riconoscimento del Nobel per la Pace 1997. La scorsa settimana c?erano Robbie Williams e le All Saints, rinomati rappresentanti del Brit-pop, a sfilare per Londra, ricordando in nome di Diana (ma non avendone lo stesso carisma) come la firma di un trattato – quello di Ottawa nel dicembre scorso – è un atto necessario ma non sufficiente da parte dei governi mondiali per l?effettiva messa al bando delle mine. La carneficina ?per caso?, infatti, continua: ogni anno almeno 26 mila nuove vittime (persone rimaste uccise o, più frequentemente, storpiate) vanno ad aggiungersi alle più di 250 mila persone già colpite dalle esplosioni. Il drammatico conto è dunque di una vittima ogni 22 minuti. Dei 127 Paesi che hanno firmato il Trattato di Ottawa – che vieta l?uso, la produzione, lo stoccaggio e il commercio delle mine antiuomo -, soltanto 25 di questi lo hanno ratificato (ed è necessaria la ratifica di almeno 40 Paesi perché la Convenzione entri in vigore). All?appello per la firma mancano tuttora Stati Uniti e Turchia (facenti parte della Nato), Russia, Cina e Israele, Paesi che per diversi motivi hanno preferito non rinunciare a queste armi di lenta distruzione di massa. Gli Stati Uniti, per esempio – che hanno recentemente annunciato la loro adesione nel 2006 -, ritengono le mine antiuomo ?fondamentali? per la difesa delle proprie truppe al confine tra le due Coree. E così i conti della Campagna di sminamento risultano drammaticamente in passivo: ogni anno, per una mina che viene rimossa, ne vengono poste almeno altre venti nuove. La somma degli ordigni inesplosi, sepolti e nascosti nei terreni di circa 70 Paesi, ha ormai raggiunto la cifra di 110 milioni. Una causa insondabile di morte per bambini, donne e uomini, oltreché di movimenti migratori di massa dovuti all?abbandono delle zone a rischio (spesso minate proprio perché ad alta densità o perché produttive). La situazione in Italia è in una strana fase di stallo, dopo che – nel novembre ?97, dunque un mese prima di Ottawa – il nostro Parlamento aveva approvato la legge 374, tra le più radicali al mondo per la totale messa al bando delle mine. Ma malgrado questa giocata d?anticipo, il nostro Paese è riuscito ad accumulare un notevole ritardo: Spagna e Svizzera, per esempio, pur avendo adeguato mesi più tardi la propria legislazione, hanno già iniziato l?opera di distruzione del proprio arsenale. La discussione sulla ratifica del Trattato ha, quindi, ripreso quota lo scorso mese, grazie a iniziative di sensibilizazione compiute sia dalle organizzazioni italiane che partecipano alla Campagna – in particolare Intersos (tel. 064466710) ed Emergency (tel. 0276001104) -, sia da alcuni gruppi parlamentari. Ma la strada non è certo in discesa, come spiega Carlo Garbagnati, vicepresidente di Emergency: «Il disegno di legge attraverso il quale si vuole ratificare il Trattato di Ottawa rappresenta un notevole passo indietro rispetto alla legge preesistente. E se, dunque, non verranno apportate delle modifiche sostanziali al Ddl, dubito seriamente che il Parlamento possa approvarlo». La 374/97, infatti, presenta molte meno ambiguità rispetto a quanto è scritto negli articoli del Trattato, a più riprese modificato per venire incontro alle ?esigenze? di tutti i Paesi firmatari. I punti di divergenza tra i due testi di legge italiani – probabilmente posti dal nostro governo, secondo gli esperti, per tendere una mano agli alleati d?oltreoceano – sono molteplici. «Prima di tutto la definizione delle mine, passate da antiuomo ad antipersona. Non si tratta di un sofisma linguistico – spiega ancora Carlo Garbagnati -, ma della fondamentale perdita di quell?elemento che definiva l?uso delle mine come un crimine contro l?umanità. Quindi, nel Disegno di legge viene anche a cadere l?articolo che riguarda le mine anticarro». Questi ordigni dall?innesco tarato su masse maggiori – e per questo motivo esclusi dal Trattato di Ottawa, ma non dalla 374 – hanno in realtà dei dispositivi antirimozione fortemente pericolosi per la popolazione civile. Ma il punto che lascia più perplessi gli addetti ai lavori è la mancanza di un chiaro riferimento, nel Disegno di legge, ai programmi di assistenza alle vittime. Il ricordo a questo punto torna all?opera della principessa Diana, che proprio all?assistenza di queste popolazioni aveva dedicato parte dei suoi ultimi mesi di vita. «È innegabile come l?opera di Lady D sia stata fondamentale per dare una scossa alla Campagna», riconosce Garbagnati. «Però il Nobel per la pace a cui si è arrivati, più che uno sprone ad andare avanti, è stato un vero e proprio telo funerario. Si è pensato che il più fosse fatto e che, quindi, ora la comunità internazionale potesse occuparsi d?altro». In realtà, secondo stime Onu, per l?assistenza sanitaria alle popolazioni servirebbero almeno altri 1.300 miliardi di lire. E se, a livello istituzionale, in Italia non viene sviluppata alcuna campagna in tal senso, la situazione non è più allegra in Europa, dove i finanziamenti per programmi di questo genere vengono ormai utilizzati solo dalle due organizzazioni italiane. Dove si trovano Egitto            23 milioni Iran            16 milioni Angola          15 milioni Afghanistan      10 milioni Cina              10 milioni Irak              10 milioni Cambogia          6 milioni Vietnam           3,5 milioni Bosnia         3 milioni Croazia          3 milioni Mozambico        3 milioni Eritrea           1 milione Somalia          1 milione Sudan            1 milione Ucraina          1 milione


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