Non profit

Google, il confine della libertà

Sentenza discussa sulla responsabilità per il video pubblicato due anni fa

di Franco Bomprezzi

Fa discutere la sentenza di ieri che condanna tre dirigenti di Google ritenuti responsabili per la pubblicazione di un video proveniente da youtube, nel quale veniva documentato un grave episodio di bullismo nei confronti di un ragazzo disabile. La stampa si divide fra chi difende la libertà assoluta del web e chi pone il problema della responsabilità e della dignità delle persone.

Alla condanna di tre dirigenti Google è dedicato un titolo in prima e l’editoriale del CORRIERE DELLA SERA di oggi. L’editoriale di Massimo Gaggi intitolato “L’equilibrio dei diritti” sostiene che «Giustificato o meno che sia sul piano del formalismo giuridico, il tintinnio di manette della sentenza di ieri rischia di trasformare il quasi monopolista Google, giustamente «processato» dalle opinioni pubbliche di mezzo mondo per alcune sue tendenze orwelliane, nella vittima di un sistema giudiziario arcaico, incapace di capire quello che sta accadendo nel mondo della tecnologia e della comunicazione», ma conclude Gaggi «fissare i limiti entro i quali si può muovere la rete non è cosa da far decidere ai magistrati. E non è nemmeno opportuno che i governi fissino regole troppo stringenti che finirebbero per mortificare la libertà della rete. Ma non si può nemmeno lasciare tutto in mano agli ingegneri, come è stato fatto fino a oggi». A pag 12 e 13 l’approfondimento dedicato alla notizia della sentenza di condanna che tribunale di Milano ha inflitto a tre dirigenti di Google accusati di diffamazione e violazione della privacy per non avere impedito nel 2006 la pubblicazione sul motore di ricerca di un video che mostrava un minore affetto da sindrome di Down insultato e picchiato da quattro studenti di un istituto tecnico di Torino. Interessante la presa di posizione dall’ambasciatore americano a Roma, David Thorne. «Siamo negativamente colpiti dall’odierna decisione di condanna di alcuni dirigenti della Google (…) perché il principio fondamentale della libertà di Internet è vitale per le democrazie che riconoscono il valore della libertà di espressione».

“Video-shock su google condannati al carcere”: foto notizia di spalla sulla prima de LA REPUBBLICA che alla sentenza milanese dedica due pagine, la 18 e la 19.  Violazione della privacy è la condanna per i tre dirigenti Google (6 mesi di carcere, con pena sospesa) per non aver impedito la diffusione di un video nel quale un ragazzo torinese con ritardo mentale era umiliato dai suoi compagni (sono però stati assolti dall’accusa di diffamazione). Netta la reazione dell’azienda: «è un attacco ai principi fondamentali della libertà su cui è stato costruito internet». Anche l’ambasciatore americano in Italia fa sapere che la sentenza «colpisce negativamente gli Stati Uniti». I magistrati si limitano a rispondere che no, non è in discussione la libertà: «con questo processo abbiamo posto un problema serio, ossia la tutela della persona umana che deve prevalere sulla logica d’impresa». In appoggio intervista a Domenico Laforenza, direttore del Cnr (“Censura e controllo non servono la ricetta è solo la prevenzione”), il quale molto opportunamente sottolinea i tempi della vicenda: «non voglio pensare che una società come Google… abbia lucrato su quel video e sulla maggiore visibilità che garantiva. Sarebbe una cosa pazzesca… Però non posso non stigmatizzare il ritardo di due mesi con cui sono intervenuti per fermare quella giostra infernale». È vero però che «un controllo ex ante dei filmati postati è tecnicamente impossibile. Ma uno ex post, pur difficile per la quantità di filmati immessi in rete, è possibile e doveroso». Molto deve essere fatto a livello di responsabilizzazione e di prevenzione insegnando un uso consapevole e positivo della rete. Aggiunge che al Cnr stanno lavorando al codice della governance sul web. Nel suo commento, Giovanni Valentini (“Le regole nella rete”) sottolinea che «un motore di ricerca non è un organo di informazione, ma una piattaforma, uno spazio aperto, una bacheca elettronica… E dunque, come sostengono i paladini della rete, Internet non può essere sottoposta ad alcun limite o vincolo. In realtà … qui si tratta a ben vedere di regole. Lo sviluppo tumultuoso della rete non deve pregiudicare la sua matrice libertaria, tendenzialmente anarchica … Ma nell’interesse stesso di Internet, della sua libertà e creatività, neppure la moderna cultura digitale può eludere il principio di responsabilità nei confronti dei terzi».

Il caso Google in copertina de IL GIORNALE con la cronaca e due interventi. Oscurare il web è come ucciderlo a firma di Carlo Lottieri e “Ma anche la rete rispetti la dignità” di Vincenzo Vitale. Lottieri scrive: «I diritti della persona vanno difesi ma condannare chi non può scegliere i contenuti dei siti è assurdo. Il motore di ricerca offre per sua natura a chiunque la possibilità di diventare un autore. Impedirlo è cancellare l’identità della Rete». E ancora: «Il diritto è un insieme di pratiche chiamate a disciplinare le società proteggendo i singoli nei più vari contesti ma questo può avvenire solo se si comprendono le diverse realtà e quindi ci si avvicina alla rete con la consapevolezza che è un ambito in cui quella presunzione di  colpevolezza che ad esempio ci obbliga a  mostrare la carta d’identità in un internet point (anomalia del tutto italiana) è inammissibile. Il controcanto di Vincenzo Vitale «Tutti i media hanno la responsabilità di ciò che pubblicano. E l’omissione è peggio del reato. E’ urgente una legge che ponga limiti a chi pretende di offendere chi non può difendersi e a chi dà sfogo agli istinti peggiori. Nessuno può porsi al di sopra della legge: neppure Google».

Taglio alto su IL SOLE 24 ORE in prima per la vicenda che coinvolge il motore di ricerca Google, condannato ieri per violazione della privacy da un tribunale italiano. “Gli Usa protestano” sottolinea il titolo che prosegue a pagina 8 per mano di Alessandro Galimberti. A questo si aggiunge un doppio editoriale: Daniele Bellasio sostiene le ragioni del perché si tratta di una giusta condanna (In questo modo si potrà parlare del problema privacy in Internet), Alessandro Plateroti quelle del no (che osserva viceversa la continua tentazione dei governi a censurare la Rete). Per completare il quadro, a pagina 8, un affondo del giurista Andrea Monti che tira le somme su un caso controverso e per cui è ancora troppo presto per trarre conclusioni; caso in cui i tre manager di BigG sono stati accusati e condannati per non aver avvisato dei divieti imposti ai navigatori al momento del caricamento del video in questione, e per questo non aver sufficientemente vagliato il materiale. «Se si consolidasse questo orientamento giurisprudenziale» scrive Monti «le dinamiche di mercato potrebbero cambiare significativamente. A fronte di nuovi obblighi e relativi costi, i piccoli player potrebbero non resistere e le grandi imprese straniere potrebbero ripensare i loro investimenti in Italia». E dulcis in fundo, Luca Dello Iacovo, racconta sempre a pagina 8 dell’alta tensione che si respira a Bruxelles a causa di una nuova denuncia ai danni dello stesso Google formulata da tre aziende, capo d’accusa: concorrenza sleale. Eminenza grigia: Microsoft.

ITALIA OGGI dedica al caso Google un pezzo di Gabriele Frontini a pag 23 settore Giustizia e Società. “È condanna per Google” il titolo, «Brutto colpo per Google. Il giudice Oscar Magi della quarta sezione penale del tribunale di Milano ha condannato in primo grado a 6 mesi di reclusione (pena sospesa) tre alti dirigenti del motore di ricerca, David Drummond, Peter Fleischer e George Reyes, per mancato rispetto del codice italiano della privacy». Condanna relativa ad un video caricato nel 2006 che mostrava un minore disabile malmenato. Commenta Alessandro Barbetta, difensore civico per la città di Milano, che «è un precedente fondamentale che deve essere conosciuto nel mondo della disabilità e ben ricordato in quello della giustizia». 

Per i giudici milanesi il colosso Usa responsabile per le immagini del ragazzo down deriso. Forti dubbi nel resto del mondo. Così in prima de IL MANIFESTO un piccolo richiamo annuncia le due pagine dedicate alla condanna da parte dei giudici di Milano di Google. Nel commento «Quale pirvacy nell’era digitale» Fiorello Cortiana osserva: «La condanna in primo grado dei responsabili di Google Italia per violazione della privacy equivale a considerare responsabili di “molestie sessuali” i dirigenti dell’azienda di trasporti municipali, anch’essi veicoli pubblicitari», Cortiana ricorda che la direttiva europea sul commercio elettronico esonera da qualsiasi responsabilità gli intermediari che hanno «un ruolo passivo nel “trasporto” di informazioni provenienti da terzi». Inoltre, negli altri articoli de IL MANIFESTO si osserva che «L’interpretazione dei giudici milanesi si scontra con altre giurisprudenze; secondo il Comitato per la gestione di internet in Brasile “la responsabilità illecita è solamente personale” e non di chi offre “servizi di connessione”». 

AVVENIRE dedica un piccolo richiamo nel quale si pongono i due estremi della notizia: la condanna da parte del tribunale di Milano e la reazione degli Usa. A pagina 5 oltre a ricostruire, anche cronologicamente, la vicenda a dare conto delle diverse reazioni e del «polverone diplomatico» che si è sollevato, oltre che delle reazioni del popolo di Internet tra cui quella di “TechCrunch”, uno dei più seguiti blog tecnologici statunitensi che ha commentato «Possiamo spiegare al giudice italiano cosa è YouTube?». Posizione contraria per il presidente dell’associazione telespettatori cattolici (Aiart)  – Luca Borgomeo – che osserva: «comincia a farsi strada il concetto che anche i siti internet sono responsabili dei contenuti che pubblicano». In pagina anche l’intervista alla sociologa Chiara Giaccardi sull’ansia di essere protagonisti dei giovani e sul fatto che «la rete offre un palcoscenico e un pubblico immenso, con migliaia di persone che subito si aggregano a questo delirio». La sociologa osserva anche che l’ossessione dell’identità e della libertà a tutti i costi crea tali deliri e che punire non serve, occorrono iniezioni di realtà. 
  
LA STAMPA dedica all’affare Google un editoriale del vicedirettore Vittorio Sabadin dal titolo “La libertà e l’anarchia”: «La sentenza di Milano non mette in pericolo la libertà di Internet, ma si limita a cercare di porre un confine tra la libertà e l’anarchia, ricordandoci che il potere richiede responsabilità e rispetto dei diritti degli altri. Chiunque abbia un proprio website o possa accedere ad un service è in grado di mettere online un video, ma è individualmente responsabile di quello che fa. Google pretende di non esserlo, poiché afferma di non poter controllare tutto. Il suo obiettivo è cercare di fare valere in ogni parte del mondo le leggi della California, cosa che ai giudici europei ovviamente non piace. Se Google cerca di trarre profitto da YouTube, ha sentenziato il magistrato milanese, si assume anche degli obblighi e non può agire al di fuori delle leggi italiane. E questa volta non può nemmeno fare finta di non sapere: il video incriminato è rimasto infatti online per due mesi, ed è stato tra i più visti nella sezione “Video divertenti”.  In gioco non sono i principi di libertà, che vanno sempre salvaguardati. Come ha detto Hillary Clinton, “Internet libero è un diritto umano inalienabile e va tutelato”. Pretendere di censurare il web per evitare violazioni è come illudersi di trovare un modo per non fare commettere più reati, è impossibile. L’importante è che ci siano sistemi di controllo che intervengono quando un reato viene commesso, e che i colpevoli vengano identificati e puniti.  Ma Google, YouTube, Yahoo! e altri grandi operatori del web hanno sempre pensato di essere intoccabili semplicemente perché non sapevano che cosa c’era nei loro server. La sentenza di Milano ha stabilito che questa scusa non è più accettabile quando si trae profitto dalla grande quantità di contenuti messi a disposizione spesso senza il minimo rispetto per i diritti di copyright, per la tutela della privacy e della decenza. Occorre dunque esercitare un controllo rimuovendo con rapidità quello che va rimosso. Anche se fa male al business».

E inoltre sui giornali di oggi:

TRUFFA TELEFONIA

CORRIERE DELLA SERA – Il titolo di apertura e le pagine dalla 2 alla 9 del dedicate alla colossale truffa (sostiene il Gip) nella telefonia che vede coinvolte Fastweb e Telecom. Tra interrogatori (ieri i primi 15) e pubblicazioni di nuovi spezzoni di intercettazioni spuntano nomi di altri politici oltre all’accusato principale Di Girolamo. Questi i nomi nuovi di politici emersi dalle intercettazioni: l’ex leader di An, e ora presidente della Camera, Gianfranco Fini; il ministro per lo Sviluppo Economico Claudio Scajola, il sindaco di Roma, Gianni Alemanno e il senatore Pdl Aldo Scarabosio.

CORRUZIONE

LA REPUBBLICA –  In prima, editoriale di Roberto Saviano: “Ribellarsi allo scandalo”. «I giudici dicono che la ‘ndrangheta è entrata in Parlamento. È una affermazione terribile… Significa che il potere mafioso ha messo piede direttamente nel luogo più importante, delicato dello Stato: quello dove il popolo si fa sovrano… è questa la vera emergenza di cui dovremmo discutere… L’emergenza è che tutto passi come l’ennesimo scandalo silenzioso, al quale siamo rassegnati».

IL MANIFESTO – L’apertura è occupata da una grande vignetta di Vauro intitolata “Teatro dei pupi – Il Paladino” dove un mafioso con tanto di lupara a tracolla muove una marionetta vestita come un paladino del teatro dei pupi e con la faccia di Berlusconi. «Le inchieste sulla corruzione nel Pdl fanno saltare i nervi a Berlusconi, che lancia i “paladini della libertà” e attacca i magistrati: “intercettazioni barbare”. Il senato valuta la richieste di arresto per Nicola Di Girolamo: “Non ho legami con la ‘ndrangheta”. Ma alcune foto lo smentiscono. E l’ex numero uno di Fastweb Scaglia oggi si consegna ai pm» recita il sommario che rimanda alle quattro pagine dedicate al caso. Sempre in prima il commento «Povera casta» dove si legge «La casta è nuda e non perché si fa sorprendere dalle intercettazioni negli spogliatoi dei centri benessere. O perché vende la sua funzione pubblica per qualche favore sessuale. La casta è nuda perché si fa maltrattare da imprenditori di primo ma anche di ultimo livello che ne determina le fortune e poi la richiama all’ordine (…) Parlamentari e consiglieri comprati col vizio, con cinquemila euro in un pacchetto di sigarette, con un pranzo di aragoste possono essere la conferma della debolezza della politica (…)».

FISCO
ITALIA OGGI – “Intercettazioni pro fisco” è il titolo d’apertura del quotidiano economico seguito da un pezzo di Filippo De Magistris, “Il fisco ascolta al telefono”. «Intercettazioni telefoniche valide per l’accertamento fiscale. Gli atti trasmessi dalla guardia di finanza a un ufficio finanziario, con l’inclusione dei verbali redatti a seguito di trascrizioni telefoniche disposte in sede penale, se contenuti in atti allegati all’avviso di accertamento o nelle motivazioni dello stesso, costituiscono parte integrante del materiale indiziario e probatorio che il giudice tributario di merito è tenuto a valutare. In questi innovativi termini si esprime una sentenza della Cassazione valutando una fattispecie di frode carosello».  

CRISI
IL GIORNALE – Il quotidiano di Vittorio Feltri pubblica in copertina la notizia che nel Nord est sono già dieci i casi di imprenditori che hanno deciso «di suicidarsi per non licenziare gli operai». Il caso è raccontato da Luigi Bacialli che scrive: «l’ultimo si chiamava Paolo Trivellin, schiacciato dai debiti e da mesi alle prese con un committente che non pagava. La pagina arriva il giorno dopo ala vicenda Fastweb. «Perché in Italia ci sono i furbetti del quartierino, gli appalti truccati, le frodi colossal modello Fastweb, ma pure migliaia di imprenditori di cui nessuno parla e che in totale solitudine, senza aiuti e aiutino e nonostante una pressione fiscale e una burocrazia micidiali, lavorano  in silenzio  e rischiano ogni giorno, più che mai in tempi di recessione, l’osso del collo».

CASA
LA STAMPA – Lo scandalo degli alloggi sfitti in Italia. “Quattro milioni di case fantasma”: «Quattro milioni di case vuote. O meglio case «fantasma». Affittate, ma in nero. Abitate da inquilini che ci sono (e sono tanti: almeno 3 milioni di persone), ma non si devono vedere. Da residenti «mordi e fuggi» che firmano contratti di quindici giorni o, massimo, un mese. Stranieri che pagano in contanti e, all’occorrenza, smammano in fretta. Per un giro d’affari che sfugge al fisco e sfiora i 9 miliardi di euro l’anno. A preoccuparsi di mettere a nudo questo fenomeno sommerso (1 milione di alloggi vuoti, tre milioni affittati in nero) per la prima volta nella storia, in modo bipartisan, tutti i sindaci italiani.  Il record, secondo l’Anci, spetta a Roma e Milano quelle stesse città dove si registra una media che va dalle 30 mila alle 13 mila persone in coda per ottenere una casa popolare. E’ così: a fronte di una marea di alloggi vuoti o inutilizzati (almeno per la legge) in Italia le famiglie in coda per ottenere un tetto sono 600 mila. Con una media di attesa procapite per ottenere il sospirato alloggio che va dai cinque ai dieci anni». L’Anci propone soluzioni, come spiega  il presidente nazionale per le Politiche abitative per l’Anci Roberto Tricarico, assessore a Torino – «rendere il canone più conveniente e alleggerire le tasse a chi affitta. Soltanto fornendo incentivi fiscali ai proprietari, quali l’azzeramento dell’Ici per chi pratica canoni calmierati, una tassa fissa del 20 per cento sulla rendita derivante dalla locazione e la totale deducibilità dell’affitto da parte degli inquilini sulla denuncia dei redditi, si può favorire l’incontro fra domanda e offerta». 

MEZZOGIORNO
AVVENIRE – L’apertura è dedicata all’intervento della Cei sul Sud. I vescovi chiedono «uno sforzo comune per il Mezzogiorno. Classe politica inadeguata. E spesso lo stato è esautorato dalla criminalità» riassume in prima AVVENIRE che sottolinea tre punti: il federalismo solidale «via per il riscatto del Sud e per rafforzare l’unità del Paese. La sfida educativa: “priorità ineludibile” per rilanciare la cultura del bene comune e della legalità»; l’invito a un impegno corale del documento Cei che analizza ombre e luci della questione meridionale; infine si sottolinea i termini “strutture di peccato” con i quali vengono definite le mafie. «parole dure contro le mafie, ma anche per denunciare malapolitica, disoccupazione e povertà». 

BAMBINI SOLDATO
LA REPUBBLICA –
Dal Congo, una inchiesta di Pietro del Re sulla nuova vita dei piccoli guerrieri d’Africa. Al centro Madre Misericordia di Kamituga vengono accolti gli ex kadogo ovvero i bambini soldato costretti a impugnare il fucile e a commettere azioni nefande fin dalla più piccola età. Testimonianze di alcuni di loro e qualche dato: dal 2005 sono stati liberati 34mila bambini, dall’inizio del 2009 quasi 3mila. Il problema non è solo liberarli: è anche seguirli e aiutarli a reinserirli nella vita normale (anche perché i miliziani tentano di riportarli alla guerra).

IRAQ
AVVENIRE – In prima pagina il richiamo all’appello del Papa per i cristiani in Iraq. Preoccupazione e una lettera al premier Al-Maliki. Lo spunto dell’articolo (a pagina 15) è l’inconsueta pubblicazione sull’Osservatore Romano della lettera del cardinale Bertone scritta a nome del Papa al primo ministro al – Maliki che risale all’inizio dell’anno. «Lettera che evidentemente continua a essere di drammatica attualità» si osserva nell’articolo dove si dà anche conto della preoccupazione e del dolore del Papa per le uccisioni di cristiani nella zona di Mosul, le ultime risalgono a martedì


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