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Boom di tagli cesarei: le linee guida per metterci un freno

Documento dell'Istituto superiore di sanità

di Sara De Carli

In Italia quattro parti su dieci avvengono con taglio cesareo. Più del doppio della media europea, quasi tre volte più di quel che consiglia l’Oms. Un dato che ha portato l’Istituto superiore di sanità, di concerto con il ministero della Salute, a elaborare le nuove linee guida per il taglio cesareo, intitolate significativamente «Taglio cesareo, una scelta appropriata e consapevole».
«Il dato di un eccesso di cesarei in Italia rispetto alla media europea, 38% contro un 20-25%, è certamente un campanello d’allarme», spiega Serena Donati, epidemiologia dell’Iss, tra i coordinatori delle linee guida. «Se però ci aggiungiamo altri dati, arriviamo a concludere che il problema è quello di una inappropriatezza delle indicazioni: per questo abbiamo pensato a delle Linee guida». Gli altri indicatori sono l’enorme differenza territoriale esistente in materia fra Nord e Sud Italia: si va dal 23% di parti cesarei della Provincia autonoma di Trento e del Friuli Venezia Giulia, perfettamente in linea con la media europea, fino al 62% della Campania. «Chiaro che non c’è una ragione fisiologica per cui le donne campane debbano fare più ricorso delle altre al cesareo», spiega la Donati, «il fatto è che nel Sud si fa più ricorso al privato». E questa è l’altra questione: i cesarei infatti crescono di più nelle strutture private e in quelle dove il numero annuo di parti è più basso (sotto i 500). «Segno che non c’è correlazione fra complessità della gravidanza e scelta del taglio cesareo, visto che le gravidanze a rischio vanno nel pubblico, non nel privato».
Le Linee guida appena presentate affrontano solo alcuni aspetti della questione, quelli precedenti al parto vero e proprio, legati alla valutazione del rapporto benefici/danno del taglio cesareo, della comunicazione alla futura mamma, della scelta; entro fine anno arriveranno invece le indicazioni rivolte più nello specifico all’intervento. «Nessuno si illude che le Linee guida, da sole, cambino la pratica clinica», ammette la Donati. «Questa è una tappa di un programma complessivo che punta a ridurre la medicalizzazione eccessiva della gravidanza e dell’evento nascita». L’obiettivo è arrivare al 20% di cesarei. E siccome tra le principali ragioni di preferenza per il cesareo pare esserci la paura del dolore del parto, ecco che le Linee guida puntano moltissimo sull’informazione.
«Nessuno vuole criminalizzare il cesareo, che spesso è un intervento salvavita», dice la Donati, consapevole delle polemiche politiche che queste Linee guida hanno già provocato. «Però non è nemmeno vero che i benefici superano sempre i rischi». A volte sono proprio le mamme a chiedere il cesareo a priori (tra il 5 e il 10%), soprattutto per paura del parto, oppure i medici lo propongono più per timore di possibili denunce. «Pure questo è un problema da affrontare, anche perché è vero che facendo sempre meno parti naturali i giovani ginecologi sono sempre meno competenti ad affrontarne gli imprevisti. Da questo punto di vista le cose cambiererebbero smettendo di presentare la medicalizzazione come garanzia di cancellazione del rischio». Intanto però, ricorda la Donati, il 90% delle donne che ha partorito per via naturale, lo rifarebbe di nuovo: tra chi ha partorito con un cesareo, invece, il 30% non lo farebbe più.


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