Welfare

affido terapeutico, uscire dal tunnel col “fai da te”

Ne usufruiscono 71mila persone

di Daniele Biella

Sono ormai tre su quattro gli eroinomani che gestiscono “in casa” la loro riabilitazione: «Ma i Sert non stanno smobilitando», rassicura Alfio Lucchini Boom dell’affido terapeutico per tossicodipendenti. In Italia oggi tre eroinomani su quattro possono portarsi le medicine a casa per curarsi senza recarsi ogni giorno ai Sert, i Servizi per le tossicodipendenze.
Parlano chiaro i dati dell’ultima ricerca Gfk-Eurisko, condotta consultando i medici di cento Sert di tutta Italia: nel 2009 il 75% dei pazienti dipendenti da eroina gestiva da sé la sua riabilitazione, un notevole balzo in avanti rispetto al 61% del 2008, anno della prima rilevazione. «Stiamo parlando di almeno 71mila persone sul totale di 95mila utenti dei Servizi in trattamento con farmaci sostitutivi», spiega Alfio Lucchini, presidente di Federserd, la federazione italiana degli operatori dei dipartimenti e dei servizi delle dipendenze. Proprio la Federserd, mettendo in contatto i medici dei Sert con i ricercatori di Gfk-Eurisko, ha avuto parte attiva nell’indagine, «dalla quale si nota un cambiamento sempre più forte fra gli eroinomani in cura», continua Lucchini, «autogestirsi il trattamento significa infatti essere più integrati dal punto di vista sociorelazionale e lavorativo, quindi avere maggiori possibilità di uscire dalla dipendenza».
La somministrazione “fai da te” è prevista fin dal dps 309 del 1990, ma «allora c’era incertezza sul numero dei giorni di somministrazione in autonomia», spiega Lucchini, «più chiarezza è arrivata prima con la Fini-Giovanardi del 2006, che ha equiparato l’affido terapeutico al trattamento delle malattie tumorali, consentendo di fornire dosi “casalinghe” fino a un mese (anche se oggi spesso non si superano i sette giorni), poi con le linee guida del ministro Turco, che hanno valorizzato operativamente la norma».
Oggi dei tre farmaci sostitutivi, assumibili in via orale e non endovenosa («i rischi per la salute sono così ridotti al minimo»), quello che va per la maggiore è a base di buprenorfina e naloxone, che ha “superato” il metadone e la cui composizione è «tale da impedire l’uso a sproposito e il riciclo sul mercato nero».
Resta da capire se l’affido porta all’effettiva uscita dal tunnel. Lucchini rimane cauto: «Mancano dati certi in merito, quello che si può constatare è che non sono aumentate le ricadute». La ricerca parla comunque di maggiore negatività delle urine nei test antidroga e più permanenza degli utenti nel programma terapeutico.
«Se l’affido terapeutico è condotto nel migliore nei modi e l’équipe (in cui rientrano educatori e infermieri, medico, psicologo e assistente sociale) che segue il singolo paziente mantiene la giusta attenzione, aumenta la possibilità per la persona di responsabilizzarsi e tornare a una vita normale», interviene Riccardo Gatti, direttore dipartimento Dipendenze dell’Asl Città di Milano e curatore del portale droga.net. «Attenzione, però: l’affido non deve servire solo a decongestionare i Sert, spesso sovraccarichi di utenti, perché il rischio è l’abbandono del tossicodipendente, che con il solo farmaco non si cura». Un’eventualità che Lucchini ritiene lontana: «A ogni persona corrisponde un programma, e l’affido è uno strumento importante, la cui finalità è la risocializzazione», riprende il presidente di Federserd, che poi chiosa: «L’aumento di questa pratica non rientra nella logica della riduzione dei costi e del personale. Anzi, servirebbero più operatori, fino a dieci volte quelli che ci sono oggi per seguire bene tutte le persone che oggi usufruiscono di questa opportunità».

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