Non profit

Eto’o è finito in carcere

L'impegno del bomber all'interno del penitenziario di Douala

di Emanuela Citterio

Il vincitore dell’Altropallone ha creato una fondazione che porta il suo nome: «La prima volta che sono andato in quella prigione ho visto cose impressionanti» «Samuel, i Mondiali saranno un’occasione anche per l’Africa?». Eto’o, in fuga dai cronisti sportivi e dalle telecamere, si blocca. Si gira, lo sguardo netto e preciso come se dovesse fare goal: «L’occasione che ha l’Africa è dimostrare che siamo capaci di organizzare un evento importante come i campionati mondiali di calcio. Sarà il Mondiale migliore giocato fino ad oggi».

Sono nato in un angolo
«Sono nato in un angolo sperduto dell’Africa, e ancora più sperduto del Camerun dove solo un ragazzo su dieci riesce ad arrivare a un buon livello di istruzione», aveva esordito qualche minuto prima l’attaccante dell’Inter. «Dio ha voluto che partissi da là e che arrivassi a essere la persona che sono ora. Sono molto credente, e un giorno mi sono detto: “Se Dio mi ha dato queste possibilità, perché non devo condividere quello che ho con gli altri?”». Eto’o è il mito di ogni bambino africano che sta aspettando i Mondiali di calcio, che si giocheranno dall’11 giugno all’11 luglio in Sudafrica. Eppure a Nkongmondo, sobborgo della città camerunese di Douala dov’è nato, dicono che da piccolo non emergeva più di tanto in mezzo agli altri ragazzini che sfidavano sé stessi e gli altri nel campetto di terra battuta del quartiere. Insomma, uno come tanti. Ed è così che si è presentato a Milano, il 21 febbraio, in jeans e maglioncino nero, per ricevere l’«Altropallone», premio nato in alternativa al «Pallone d’oro» perché si assegna non per i meriti calcistici in senso stretto ma per il fairplay e per le attività di solidarietà svolte fuori dal campo. Quest’anno, accanto al premio giunto ormai alla tredicesima edizione, è stata lanciata la campagna «Altrimondiali», un’iniziativa di sensibilizzazione di CoLomba, associazione che riunisce un centinaio di ong che hanno sede in Lombardia.
Eto’o in Camerun ha dato vita a un fondazione non profit che porta il suo nome, che ha avviato progetti che puntano a educare i bambini attraverso il calcio, organizzando tornei in giro per il Paese. Nel carcere di Douala, il peggiore del Camerun per condizioni di vita dei detenuti, ha organizzato un centro di formazione per i minori.
«Ho scoperto che quello che mi fa più piacere nella vita è condividere quello che ho con altre persone», afferma il calciatore. «Nei confronti dei ragazzi del mio Paese poi mi sento una sorta di fratello maggiore, così a un certo punto ho voluto formalizzare questo impegno e creare una fondazione per aiutare più persone a ritrovare una strada, attraverso le relazioni e anche attraverso lo sport». Eto’o è orgoglioso del lavoro fatto nella prigione di Douala: «Qui, mentre raccolgo questo premio, sono il volto visibile di chi lavora con me e che con me è riuscito a fare qualcosa per i minorenni in prigione», dice. «Quando sono andato nel carcere di Douala ho trovato ragazzini anche di 9 anni incarcerati insieme agli adulti in condizioni difficilissime». Sul sito della fondazione si legge che i minorenni, magari incarcerati per aver rubato frutta al mercato, rimangono in prigione per molto tempo solo perché non possono pagare la tassa giudiziale che equivale a 10 euro. «Stiamo combattendo perché questo non accada più», afferma Eto’o, «nel frattempo abbiamo creato una scuola nel carcere, con professori, computer, attrezzature e per me la più grande soddisfazione è stata vedere un ragazzo che ha preso la maturità in carcere. Io non giudico mai, è Dio solo che può giudicare perché un bambino sia in prigione. Quando mi hanno detto che avevo vinto il premio, ho pensato ai ragazzi che aiuto. La mia famiglia, oggi, è aumentata, non è stretta al mio nucleo personale. Ho pensato a questo ragazzo, che adesso è all’università».

Quel giorno a Saragozza
E in Italia? Sul razzismo negli stadi in Italia Eto’o si scalda: «Lo stadio è il riflesso della società. Chi viene a gridare “negro” lo fa per ignoranza, non ha avuto la possibilità di viaggiare e conoscere altre culture, altrimenti saprebbe che siamo bianchi, neri, rossi ma siamo uno. Perché io ho lo stesso sangue che hai tu, se mi ferisco sarà rosso come il tuo. È necessario aiutare queste persone a comprendere, ma certe posizioni non le può prendere il singolo giocatore. Spetta ai governanti, è una questione sociale e politica». In Italia Eto’o afferma di non avere avuto difficoltà da questo punto di vista, «ce le ha Mario (Balottelli, ndr), che però, guarda caso, è italiano». Il momento più duro per il calciatore camerunese è stato a Saragozza, in Spagna. «Solo lì mi è capitato che mi facessero il verso della scimmia. Mi sono sempre chiesto perché queste persone comprano un biglietto per venire a vedere giocare una scimmia».


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