Non profit
La disfatta dei neobelluini
L'editoriale di Giuseppe Frangi sull'atteggiamento di certi intellettuali italiani nei confronti del pacifismo.
S’aggira per l’Italia un nuovo tipo di intellettuale. Qualcuno, sagacemente, lo ha definito “neobelluino”. E’ un tipo strano, pieno di tic e di ossessioni. Vede mostri rivoluzionari dappertutto. Si scompone poco elegantemente se un ministro degli Esteri francese all’Onu osa contraddire lo zio Sam. Si accanisce con livore sui ragazzi arcobaleno, scaricando loro addosso colpe di cui loro non sanno e non possono sapere niente. S’arrabatta in modo patetico a giustificare un dogmatismo fuori dal tempo, a trovare perfette convergenze tra il cupolone di san Pietro e quello del Campidoglio di Washington. Un tipo davvero intrattabile l’intellettuale neobelluino. Immaginiamo come possa essere uscito dalla giornata del 15 febbraio quando si é trovato davanti uno scenario in cui tutti i suoi punti fermi sono caduti come castelli di carte. Che ne era delle bandiere rosse? E degli slogan duri e truci dei soliti antiamericani? E che ci facevano in mezzo al corteo tanti preti, suore e tutti quei ragazzi con al collo la promessa da boyscout? E perché tutte quelle famiglie, come se padri e figli la potessero pensare allo stesso modo? E che dire di tutta quella sfilza di sicuri elettori o addirittura eletti del centrodestra, che bandiera in mano si erano accodati al corteo (gli eletti quantomeno idealmente)?
Non c’e un’immagine di quella giornata, davvero fuori dall’ordinario, che stia dentro gli schemi consueti e tranquillizzanti. Sul Corriere un commentatore autorevole, e certo non tacciabile di criptocomunismo, Paolo Franchi, ammette che in Italia c’é una maggioranza nuova, con una sua faccia, un suo stile di vita, e con un sottile ma decisivo minimo comun denominatore: la certezza che la pace sia un’opzione più civile e più conveniente della guerra. Dalle colonne di Vita, un osservatore appassionato della realtà come Marco Revelli, lo aveva notato sin dalle terribili giornate del G8 genovese. Aveva scritto allora che nell’aria c’era qualcosa di nuovo, un modo di sentire la vita, un desiderio di un mondo diverso che poteva esser condiviso da una grande maggioranza. Così sta accadendo. Questa maggioranza non é etichettabile, ha un’idea aperta del mondo, cioé é disponibile a modificarsi sui contributi degli altri. Soprattutto non ha un suo elemento unificante in un “esser contro”, ma in un “esser per”. Ma é inutile aspettarla al varco per sentirle sulla bocca giudizi clementi su Saddam. Al suo fianco, infatti, sfilavano centinaia di curdi, prime vittime del dittatore iracheno.
E’ una maggioranza cui non interessa per niente la pace come utopia. Perché la pace é coniugata solo al presente. E così come non viene scaricata in un improbabile futuro, altrettanto non viene scaricata in mano altrui. La pace é dimensione quotidiana, vissuta ora per ora, gesto per gesto. E’ uno stile di vita, che di mano in mano, di pensiero in pensiero può rendere possibile un mondo diverso. Anzi più che renderlo possibile, lo rende già reale.
Per questo, con tutte le sue fragilità, con la sua molteplicità, il popolo del 15 febbraio rappresenta davvero qualcosa di nuova. E chi ama la vita e la realtà non può che guardarlo con tenerezza, non può non desiderare di esserne parte. Con buona pace di tutti i neobelluini d’Italia.
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