Welfare

«Non cambia le vite: è solo una scorciatoia»

don Antonio Mazzi (Exodus)

di Redazione

Don Antonio Mazzi, 80 anni, ha fondato nel 1984 la Comunità Exodus. Oggi la fondazione omonima gestisce almeno 40 strutture di prevenzione e cura della tossicodipendenza, sparse in tutta Italia.
Vita: Nel 2009 tre tossicodipendenti su quattro hanno potuto usufruire dell’affido terapeutico. Come valuta questa tendenza: per il Cnca è un fatto positivo…
Don Antonio Mazzi: Non direi. Piuttosto in questo caso parliamo di soldi, ovvero del fatto che l’affido terapeutico è meno costoso per i servizi pubblici. E del fatto che per questi ragazzi l’affido è una scorciatoia che lascia il tempo che trova, perché non si cambia vita solo modificando il modo di somministrazione delle medicine. Si deve cambiare con la testa e comunque la maggior parte delle volte non ce la si può cavare da soli.
Vita: Cosa risponde a chi lo vede come un beneficio?
Mazzi: Che l’affido terapeutico può risultare un ulteriore modo per non andare in comunità. Invece la permanenza in una struttura terapeutica deve rappresentare una priorità, essendo il luogo più protetto in cui ci si può fermare per capire qual è il disagio di ogni singola persona che abusa di droga. Le strutture mediche somministrano i farmaci, ma non raggiungono la stessa profondità relazionale delle comunità.
Vita: E il fatto che ci sia un buon numero di persone, come sostiene ancora De Facci del Cnca, che chiede di entrare in comunità dopo aver iniziato l’affido terapeutico?
Mazzi: Dovrebbe essere il contrario: prima viene la comunità. E comunque lo ribadisco, mi sembra una scorciatoia pericolosa, una semplificazione della prassi, che rende più difficile da controllare la persona in trattamento. Vedremo in futuro quali saranno i risultati di questa ampia diffusione dell’affido. La speranza è di non andare incontro a disastri.

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