Non profit
Il volontariato non arruola i pre-pensionati
Sono poche decine i dipendenti pubblici che hanno scelto di lasciare in anticipo il lavoro per dedicarsi al non profit
Meglio l’ufficio. Meglio le scartoffie di sempre e i colleghi di una vita. Meglio, soprattutto, lo stipendio pieno. Un monitoraggio ufficiale non c’è ancora ma, a giudicare dalla ricognizione effettuata da Vita, l’esodo anticipato dalla pubblica amministrazione verso il non profit non sembra aver riscosso grandi consensi. Il cosiddetto scivolo, introdotto dalla manovra estiva del 2008, prevede infatti che nel triennio 2009-2011 i pubblici dipendenti a cui mancano cinque anni ai quaranta utili per il ritiro possano essere esonerati dal servizio e spendere il tempo mancante in «attività di volontariato svolta in modo continuativo» presso onlus, associazioni di promozione sociale e ong. Gli “esonerati” ricevono il 70% dello stipendio (50% se invece lasciano il posto senza optare per il volontariato). Un modo, insomma, per incentivare lo sfoltimento dei ranghi della amministrazione centrale (esclusa la scuola). Il personale degli enti locali, infatti, non può utilizzare la misura.
Dai dati raccolti risulta che non ci sono dipendenti in esonero (la richiesta va presentata entro il 1° marzo di ogni anno) al ministero della Pubblica amministrazione e Innovazione (Brunetta). Sono, invece, nella condizione di “pre-pensionamento”, su circa 7mila dipendenti, 17 unità e altre 4 dell’Inpdap entro il prossimo luglio. Dati leggermente più alti al ministero del Welfare dove sono giunte 19 richieste (5 rigettate) nel 2009 e 10 quest’anno (la maggior parte ancora in istruttoria). Delle 13 accettate l’anno scorso, 7 hanno dichiarato di voler svolgere attività di volontariato. Numeri parziali, dunque, che tuttavia non inducono a brindare al successo dell’iniziativa di “rottamazione” degli statali. «È una norma fatta male, pensata peggio e che si inserisce in un quadro contraddittorio. Il governo, ad esempio, da un lato aumenta l’età pensionabile delle donne, dall’altro prevede lo scivolo anticipato», attacca Antonio Pellegrino della direzione dello Spi-Cgil. Sulla stessa lunghezza d’onda Michele Mangano, presidente dell’Auser. «Si possono avanzare più ipotesi: la scelta di non rinunciare allo stipendio intero in un momento di crisi; l’impossibilità di ottenere compensi da parte delle organizzazioni di volontariato se non i semplici rimborsi spese; la mancanza di informazione oppure, ancora, la discrezionalità dell’amministrazione nel dare il placet. Noi non abbiamo ricevuto richieste». Il motivo di fondo, prosegue Mangano, potrebbe essere tuttavia un altro. «La molla che fa scattare l’impegno nel volontariato è l’indignazione di fronte a diritti sociali negati piuttosto che il semplice calcolo degli anni che mancano alla pensione». Non si diventa volontari, insomma, perché stanchi di stare dietro una scrivania.
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